Alla fine, dopo una ventina di telefonate e quattro quotidiani, mi sono convinto che le tre parole, soltanto tre parole, più adatte a spiegare l’ennesimo crollo casalingo erano, sono e continueranno a essere quelle del saggio Orso, uno dei leader massimi degli spallinati. Che ha scritto soltanto: “Ac du marun”. Inutile la tradizione, semplice e azzecatissimo il concetto. Sì, perché dopo aver strapazzato la Reggiana, la Spal è ripiombata in quella sindrome del Paolo Mazza che qualche spiegazione ce l’ha e qualche giustificazione invece no.
Le parole di Orso le faccio mie. Ho “sentito” questa sensazione tra l’incredulità dell’immediato e la ricerca di un motivo valido a spiegare l’occasione persa. Siccome non faccio parte della categoria dei disfattisti che chiedono la testa di Dolcetti e una marea di altre, secondo me, fesserie, e nemmeno appartengo al gruppo dei rivoluzionari del novantesimo minuto che invocano l’utilizzo dei ragazzi della Berretti oltre a pensarla, sempre e comunque, esattamente all’opposto di un altro spallinato (sic!) che si fa chiamare Flores, ho dormito poco e male prima di scrivere queste righe e, viceversa, ho pensato molto. Il bello, o il brutto, dipende dai punti di vista, è che tornando indietro non mi pare così strano che ci sia un problema di personalità. Le modalità e la categoria e i tempi della costruzione di questa squadra assecondano questa tesi. Al resto ci ha pensato questa sconfitta, la terza in casa in quattro partite considerando il girone di ritorno.
Quando arriva il momento di fare il salto di qualità, di alzare il tiro delle proprie, legittime ambizioni la Spal si scioglie, va in confusione e in sei giorni smarrisce persino le basi del suo gioco. Pare incredibile e invece, e purtroppo, è vero. La cosa che infastidisce maggiormente di questo passo falso è che, e non è la prima volta, si è buttata via un’occasione clamorosa. Sostenevo e continuo a sostenere che questo torneo si deciderà all’ulimo secondo e si vincerà contro le formazioni minori. I risultati dell’ultima domenica confermano tutto a cominciare dalla sconfitta spallina. Dovendo scegliere una parola sola opto, appunto, per personalità. Personalità che non si compra al calciomercato ma si sviluppa con il tempo e, certo, è difficile da acquisire al primo anno. Personalità che ti regalano i giocatori più esperti, soprattutto i centrocampisti, e chissà che non si siano pentiti quelli che, oltre alla testa del tecnico, volevano quella dell’ex capitano. Ecco, Centi, da solo, ne mette in campo un bel po’ di personalità rispetto, per esempio, a un Rivaldo dai bei piedi ma dalla personalità zero.
Finisco qui con il tentativo di analizzare questa sconfitta che, per quanto mi riguarda, brucia più del crollo con il Ravenna per modi e tempi. Smetto perché non sono pagato per questo e perché confido ciecamente nella capacità del tecnico e della società (a proposito: prevedo un mezzogiorno di fuoco alla ripresa degli allenamenti con il Comandante Pozzi davanti alla squadra… faccina che strizza l’occhio) di invertire l’incomprensibile tendenza. Sto con Dolcetti anche sul giudicare inopportuna la sosta immediata perché ci sarebbe da tornare in campo subito e di nuovo con la bava alla bocca, atteggiamento obbligatorio per questa squadra. Ma tant’è, la sosta c’è e dopo ci sarà anche una trasferta particolare che si chiama Portogruaro, proprio lì dove cominciò l’attuale presente spallino. Importante sarà arrivarci smettendo di battere la testa contro il muro per il passo falso recente. Basta, partita finita, punti zero, giustificazioni anche meno. Guardare avanti, sempre. Questo è il mio motto da tifoso. Al resto penseranno quelli che hanno questo compito alle voci del proprio stipendio. Per essere molto chiaro, continuo a pensare che questa Spal abbia tutte le possibilità di chiudere la stagione calcistica regalando al proprio pubblico un miracolo pallonaro. Quello che anche la classifica di oggi lascia immaginare, quello che rappresenterebbe un posto nei playoff. Il problema è che quando ti abitui bene è difficile, se non impossibile, accontentarsi. La società di Butelli (bontà sua) ha viziato il popolo biancazzurro. Le premesse, le basi, i rimedi, il tempo per continuare a sognare ci sono ancora tutti. Basta ritrovare quella voglia che in questa categoria, dove fuoriclasse ce ne sono pochi, è l’unica caratteristica capace di fare la differenza. Questa è l’unica, imprescindibile strada alla quale la squadra tutta non può sottrarsi. Per il resto basta sapere che è un sogno e basta crederci. Io non è che ci spero, io ci credo. Eccome se ci credo. E se qualcuno non ci crede può sempre accomodarsi in panchina o tifare per un’altra squadra.