IL SOGNO DI RITORNARE DI UNO SPALLINO VERO: EDO BRAIATI

Sicuramente da piccolo, seguendo la sua amata Spal dagli spalti del Mazza, il ferraresisismo Edoardo Braiati non immaginava lo scherzo che la sua brillante carriera sul rettangolo verde gli avrebbe riservato qualche anno dopo. Per ironia della sorte, infatti, ora Edo difende i gloriosi colori di una storica ed acerrima avversaria dei biancazzurri, nella seconda divisione nazionale: quel Vicenza che da anni staziona ai piani nobili del pallone italico.

Come ti trovi a Vicenza?
“Sono in territorio nemico (ride). A parte gli scherzi, la squadra e i compagni sono ok. Anche la città è bella, ma è un po’ chiusa, e non è facile farsi amici qui. A livello sportivo, non è un momento felice, perché l’anno scorso e in questo inizio di stagione sono stato bersagliato da infortuni, tant’è vero che quest’anno, finora, sono riuscito a scendere in campo solo una volta. Inoltre, con l’allenatore non c’è feeling, calcisticamente parlando”.

Sei ferrarese da generazioni. In quale quartiere sei cresciuto?
“Al Villaggio Satellite, prima di trasferirmi in zona Camicie Rosse”.

Dove sei cresciuto calcisticamente, e quando sei entrato a far parte delle giovanili della Spal?
“Ho cominciato all’Audax, poi ho fatto il settore giovanile al Porta Mare Frutteti. Alla Spal sono arrivato a nove anni. Dovevo entrare l’anno dopo, ma ci fu un tentativo di “sabotaggio” del Bologna, così mi fecero cominciare prima, e io che sono un ’80 giocavo con i ’78. La mia fortuna è stata di essere allenato da Pasetti, che mi ha insegnato tanto”.

La Spal era la tua squadra del cuore, da bambino?
“Sì, fin da quando mio zio mi portava a vederla. Il mio sogno era di giocare nella Spal, e poi nella Juve”.

Cosa ricordi del tuo esordio in prima squadra?
“Ricordo tutto, anche l’odore del campo. La partita era Saronno-Spal (tra l’altro, in seguito andai a giocare proprio nella squadra avversaria). Entrai e feci una discreta partita. Conservo ancora la maglia sporca e i pantaloncini”.

Dopo la stagione dell’esordio in biancazzurro, un anno nella Primavera della Juve, poi un ritorno poco fortunato a Ferrara prima di doverla abbandonare: com’è andata?
“Alla Juve potevo rimanere, ma ho scelto di tornare alla Spal (sbagliando) perché c’era l’obbligo degli under, e pensavo di ritagliarmi uno spazio importante. Gli under eravamo io, Manfredini e Ginestra, ma De Biasi non mi faceva giocare perché ero acerbo”.

Col senno di poi, si può dire che la tua mancata riconferma al termine di quella stagione fu un errore di valutazione.
“Almeno apprezzai la sincerità di chi mi disse che non ero ancora pronto per essere un giocatore da Spal”.

Sia a Novara sia a Pisa sei diventato una bandiera: quali doti bisogna avere per esserlo?
“Credo che dipenda non solo da quanto il pubblico ti vede lottare per la maglia, ma anche e soprattutto da come ti comporti fuori dal campo. Quando dimostri di essere una persona seria e umile, godi della fiducia di tutti, dall’allenatore al magazziniere, dai compagni ai tifosi. A Novara ho passato sei anni straordinari dal punto di vista calcistico e umano. Lo striscione “Ciao guerriero” che mi hanno dedicato i tifosi novaresi a Pisa, quando già giocavo coi nerazzurri, mi ha regalato un’emozione indescrivibile. Pisa è una città ideale per fare calcio, e me ne sono andato con le lacrime agli occhi, dopo il fallimento. Là ho stretto tante amicizie, soprattutto fuori dal campo, e le ho tuttora”.

Qual è stato fin qui il momento più esaltante e quello più triste della tua carriera?
“I momenti più belli sono stati la promozione in C1 col Novara e i due anni a Pisa: il primo terminato con la promozione in B, e il secondo con i playoff per la serie A. Il più brutto è stato la retrocessione del Pisa in C, che ha anche determinato il fallimento”.

Hai avuto modo di vivere di persona anche la crisi del calcio, con la scomparsa del Pisa: cosa pensi della situazione del calcio attuale?
“I contratti sono scesi tantissimo; in B e soprattutto in C a volte gli stipendi assomigliano più a quelli di un operaio, ma spendendo con moderazione si può ancora fare calcio. A Pisa qualcuno aveva rubato i soldi, e questo dimostra che nel calcio si può anche farlo senza andare in galera”.

Ora Arma è un tuo compagno di squadra: perché in serie B sta facendo così fatica ad imporsi? E come sta reagendo alle difficoltà?
“Arma reagisce bene, in allenamento fa sempre gol, e in B ci può stare. A me, poi, sta simpatico, perché ha segnato tanto per la Spal”! (ride)

Vai ancora in Curva Ovest ogni tanto?
“Quest’anno non ci sono ancora riuscito, ma quando posso ci vado. Sono un tifoso normale, e faccio la fila al botteghino”.

Hai qualche ricordo particolare dei tuoi trascorsi al seguito della Spal?
“Ne ho tanti. Ad esempio, il treno speciale a Pistoia, quando ci volevano far pagare le cuccette: perdemmo 1-0 con gol di Pino Lorenzo. Ricordo anche il treno speciale a Rovigo, partita decisiva per andare ai play off di C2: pioveva, e fummo costretti a restare tre ore fuori dalla stazione, ma ci divertimmo un sacco!”.

Quando accendi il televideo, di quali squadre (in rigoroso ordine di precedenza) vai a cercare il risultato?
“La prima è la Spal, seguita dal Pisa. Il Novara già lo so, perché gioca al sabato come noi, e poi guardo cos’ha fatto la Giacomense, di cui conosco anche il presidente Mattioli”.

Ai tempi del fallimento del Pisa, era venuta fuori la voce che saresti potuto tornare a Ferrara: c’era qualcosa di vero?
“Ci fu qualche abboccamento, ma non se ne fece nulla, e io privilegiai la carriera, rimanendo a giocare in B”.

Adesso torneresti alla Spal?
“Ora come ora, dopo quattro anni di B, sarei disposto a scendere di categoria, e Spal e Pisa sarebbero le prime scelte. A Ferrara tornerei subito, perché Pozzi è molto preparato, fa le cose serie e garantite, e la società merita un plauso perché agisce nel modo più saggio, nei limiti delle proprie possibilità economiche, andando avanti per obiettivi, senza rischiare il fallimento”.

Non temi il detto “nemo propheta in patria”?
“C’è sempre l’eccezione che conferma la regola!”.

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