Due domeniche fa. Un’ora dopo la fine di Spal-Spezia. Solita telefonata a Zambo che dice, testualmente: “Buon punto, Enri. Abbiamo giocato bene, questi sono bravi. Vedrai che andiamo a vincere a Reggio”. La forza della squadra di Notaristefano, secondo me, parte da qui, da questa consapevolezza figlia di allenamenti fatti bene, di unità di intenti reale, di tanta qualità. Quando, domenica scorsa alle 14.30 in punto, il mitico Barozzi e il grande Andrea Tebaldi mi hanno avvertito che si poteva vedere in televisione, il derby, mi ci sono buttato a pesce con le parole del capitano che ancora mi suonavano nelle orecchie.
Per uno strano scherzo del destino, proprio domenica ero andato a lavorare con la mia mascotte Socrate di sciarpetta biancazzurra vestito perché avevo ospiti a casa con una fobia per i pennuti. Ottenendo un permesso davvero raro grazie a un vigilantes laziale che ha evidentemente equivocato i colori della sciarpetta di cui sopra, per le solite, idiote ma sante scaramanzie mi ero ripromesso di vedere la partita in piedi con mio fratellino sulla spalla e mai, a qualsiasi costo, avrei potuto sedermi. Così ho fatto e voglio ringraziare davvero i colleghi di Raisport che hanno rinunciato alle partite di serie A comprendendo la mia assoluta trance spallina.
Ecco, i novanta e passa minuti li ho vissuti con la solita ansia, le altrettanto solite urla che oggi, vocalmente (non) parlando mi fanno assomigliare a uno dei trans del caso Marrazzo, ma sono passati fieri, con l’orgoglio che raramente mi è capitato di avere così sviluppato perché dettato dalla certezza di tifare per una grande squadra. E non era, e non è, merito dell’ottimismo anticipato del capitano. No, è che dopo quaranta secondi la Spal era tutta nella metà della Reggiana. E’ che la Spal, per tutto il primo tempo, ha tenuto il pallino, ha sfiorato il gol più volte, ha messo in campo anche un gioco fatto di triangolazioni e sovrapposizioni. E’ che anche nel secondo tempo, nonostante un giustificabile calo ma di nemmeno un quarto d’ora, la Spal ha dimostarto tutta la sua forza e la sua qualità. In sostanza la Spal è partita e ha finito con la voglia assoluta e totale e immensa e generale e incredibile di vincere. Da questo punto di vista confermo quanto già scritto domenica, nel commento alla gara. Non vedevo i biancazzurri così determinati dagli anni di Gibì. Sono convinto di questa dichiarazione forte che prescinde dai numeri. Numeri che dicono primo posto, migliore difesa, secondo migliore attacco, record di vittorie in trasferta, gol della scorsa stagione eguagliati da Cippo soltanto in questo scorcio di torneo e non solo. Ha ragione, il tecnico Notaristefano, quando fugge al giudizio sui singoli ma non si può evitare di parlare della gara di Zamboni e Cipriani. Mostruosi. Sul serio.
Così mi ritrovo qui a confezionare questa rubrica il giorno dopo una soddisfazione enorme, ancora brillo dal solitario brindisi notturno in un ristorante di amici. Non toccavo alcol da due mesi, causa una dieta, ma domenica sera volevo festeggiare perché ero felice come soltanto chi non sottovaluta la gioia che regala la passione del calcio (nonostante tutto…) può capire. Vestito di tutto punto, e cioè elegantissimo, con la mia maglietta della vecchia guardia, la felpa della Spal e una bellissima, quasi antica sciarpa dell’Astra Alcol (appunto!) ho trascorso la più bella domenica sera di questo campionato. E oggi, lunedì, sto persino meglio di ieri. Non riesco a scordare la partita della Spal. Questa vittoria netta, strameritata, esemplare, importante. Sì, sono orgoglioso di essere spallino come non mai. E non ho nemmeno altre parole per esternare questo stato di euforia per nulla sottile che mi pervade da ieri. Aggiungo soltanto la prudenza del caso. Guai a illudersi. Restare così. Volare bassi. Così facendo la Spal può arrivare ovunque. Avanti!
Siccome, ma questa è la vita, c’è sempre qualcosa o qualcuno che cerca di rovinare la felicità altrui, non posso evitare una coda polemica. Perché è proprio per tutta l’imbecillità che è stata messa in atto, per tutta la sciocchezza che mostra, per tutti i rischi che ci sono che è giusto, ognuno nel suo piccolo, continuare ad abbaiare alla luna. Il fatto è che può essere pure una soddisfazione, dopo, scrivere che lo si era detto prima, ma è roba da sfigati e serve a nulla.
Il discorso, proprio come la morale (bassa), è sempre quello. La tessera del tifoso. Aldilà delle tante incongruenze, della puzza di soldi, dei controsensi – tutte cose che in un paese normale basterebbero e avanzerebbero pure – qui la sostanza è che, come sempre, ci vorrà il morto prima di ritornare indietro. Perché indietro si tornerà per forza. Al ministro Maroni, Archimede dell’ultima follia tricolore da stadio, dedico un pezzo di un bellissimo e vecchissimo brano di Francesco De Gregori, “La ragazza e la miniera”. Quando il principe canta: “Se potessi tornare indietro, indietro io ci tornerei. Se potessi cominciare da capo, quello che ho fatto non lo rifarei”. Arriveremo a questo punto, stiano tranquilli i più duri e puri tra il popolo curvarolo. Ci arriveremo ma dopo l’ennesima, evitabilissima tragedia da stadio. E’ un po’ come quando succede una sciagura appunto prevista e tutti i mass media del mondo, a proposito di morti sul lavoro e non solo, si svegliano e cominciano a urlare che si poteva evitare, che non c’era la sicurezza necessaria, e tante altre belle, inutili parole. Come quando la vita di un ragazzino si interrompe per una testata fortuita contro la rete di recinzione non a norma di uno stadio qualsiasi e, a parte i primi giorni di generale indignazione, si ritorna alla vergogna di prima e si dichiara agibile persino tra i professionisti, per esempio, il campo di Sorrento.
Insomma, fa impressione anche soltanto a scriverlo ma rischia di essere una vita umana a far capire a lor signori che questa tessera del tifoso è un po’ come la Corazzata Potemkin. Una cagata pazzesca, cioè. Inutile e, anzi, pericolosa. Dopo i divieti ai tifosi della Spal sprovvisti dell’apposito talloncino in quel di Reggio Emilia, domenica prossima arriverà a Ferrara una larga rappresentanza di tifosi del Verona. Per carità, avranno tutti (o quasi…) la loro bella tesserina magari autografata da Maroni in persona ma il bello, si fa per dire, è proprio che con la tessera potranno assistere alla partita dove vorranno. Persino a una spanna di distanza dai supporter ferraresi come è successo con lo Spezia e non solo. Tutto, udite udite, in nome della sicurezza.
Ecco, stiano attenti quelli che devono garantirla, questa tanto chiacchierata e mai applicata sicurezza. Prevenire, dicono tutti gli spot progresso dell’universo, è meglio che curare. E allora che cosa aspettano i vari questori e non solo a far sapere a chi di dovere che così facendo e, soprattutto così tesserando, si rischia di incrementare il già penoso, vergognoso, numero dei morti da stadio. Perché finché ti sparano per sbaglio (!) all’autogrill hai voglia a raccontare schiocchezze, ma se poi ci lasci le penne con la tua fantastica tessera del tifoso in tasca o mentre stai seduto con il tuo caffè Borghetti in mano perché un pirla-delinquente qualsiasi non deve più fare nemmeno lo sforzo di scavalcare, allora che cosa si va a raccontare all’addormentata opinione pubblica? Certe volte gli scienziati di cui sopra, quando riescono ad annusare l’aria che tira, decidono di sparare alla carlona optando per le partite a porte chiuse. Ecco, sempre perché prevenire è meglio che curare, evitiamo anche quest’ennesima, inutile strada perché domani è un’altra giornata e quindi un’altra partita. E vietare e basta, è sotto gli occhi di tutti, Mister Magoo compreso, è come pensare di guarire Ruby e il suo utilizzatore finale dalla malattia del Bunga Bunga.
Attenzione, allora, perché domenica prossima, tessere inutili o meno, c’è da stare all’occhio e non si può rovinare una domenica che, spallinamente parlando, si annuncia tutta da vedere e da vivere. Con la Spal nel cuore, con questa voglia di vincere che deve restare tale, con l’orgoglio di questi (bei) tempi.