“Giocavamo da soli e non di squadra”. In questa frase pronunciata a caldo negli spogliatoi nel dopo partita di Monza-Spal da mister Vecchi c’è tutto il riassunto della prestazione della Spal allo stadio Brianteo. E purtroppo è arrivata così la terza sconfitta consecutiva nella cattedrale del deserto dello stadio brianzolo. E, lasciando stare le analisi tecniche sulla partita che non ci competono, proprio sul contesto in cui è stata giocata Monza-Spal e si gioca la quasi totalità delle partite di Prima Divisione, qualche considerazione merita di essere fatta. E’ sotto gli occhi di tutti che questo campionato (e per la verità anche molti dei precedenti) si disputa con spalti pressochè ovunque desolatamente vuoti. Prendiamo la Gazzetta dello Sport di oggi e vediamo i dati delle otto partite di ieri: Ternana-Pavia paganti 4.113, abbonati 1.273; Sorrento-Carpi 383 paganti + 286 abbonati; Lumezzane-Viareggio 53 (!) paganti + 254 abbonati; Como-Tritium 833 paganti + 353 abbonati; Reggiana-Pisa 1332 paganti + 1241 abbonati; Monza-Spal 229 paganti + 316 abbonati; Foggia-Avellino 1450 paganti + 1838 abbonati; Pro Vercelli-Foligno 667 paganti + 670 abbonati. I dati sono eloquenti e parlano da soli. Come non pensare alle sole 2.500 persone nell’immenso catino del Giglio di Reggio Emilia e ai 1.100 di Como? Ovunque (con la parziale eccezione di Terni e si sa che il primo posto in classifica comporta a tutte le latitudini un valore aggiunto di presenze) si è giocato in un contesto desolante. Ferrara da tempo non riesce più ad andare al di là di determinati numeri. Se anche in altre realtà in cui il calcio ha tradizione (Reggio Emilia, Como, Foggia, Vercelli) la situazione è questa c’è da preoccuparsi. E molto. Sono note le ragioni che, in Italia, hanno portato a questa situazione: le enormi difficoltà tra controlli e tessere che incontrano le persone che vogliono passare una domenica allo stadio hanno stancato molti che non vanno più allo stadio. La sempre più radicata abitudine a guardare le partite in televisione, il periodo di crisi che fa contrarre ogni tipo di spesa non basilare in molte famiglie e un fattore culturale che porta a interessarsi sempre più a Milan, Juventus e Inter e non a Pro Vercelli, Spal o Avellino fanno tutto il resto. Si potrebbe andare avanti ancora per molto a elencare le ragioni che hanno portato a questa situazione. Ma dal dato di fatto degli attuali stadi vuoti la domanda da porsi ora è una sola: c’è la voglia in questo paese, a tutti i livelli, di provare a fare qualcosa per cambiare questa situazione? A invertire questa tendenza. C’è l’intenzione di aprire un tavolo e fare qualcosa? Giocare a pallone in stadi desolatamente vuoti, al di là delle sconfitte e delle vittorie mette solo grande tristezza.