Le 4:40 per chi scrive. Il viaggio vola, tra quei magnifici saliscendi che caratterizzano l’Italia centrale; in auto abbastanza cibo, niente alcol. Domande su domande che troveranno risposta solo giunti nella Capitale. Tra autogrill, sorpassi e antistadio riesco/riusciamo a salutare tanti fratelli. Già. L’appartenenza è un luogo sacro dell’anima. Dall’ingresso dell’antistadio ai tornelli son centinaia di metri che paiono chilometri. Mi innamoro della poliziotta. Provo insistentemente a farmi perquisire. Non siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Tace. Ma non acconsente. Sorride. Io anche, un po’meno. Poi l’Olimpico. Stento a guardare lo spettacolo magnifico, continuo a fissare il cielo, fatico a credere che siamo proprio noi, ben sapendo quali altri spettacoli abbiamo assaporato in tutte le categorie che ci separavano dall’Olimpo. Completamente rosa il cielo, mille facce, mille storie, increduli. Inizia la partita, la nord a causa di uno striscione non fatto entrare è muta per protesta; la Ovest bellissima e canterina come nei giorni migliori, come non mai, non manca nessuno (Ciao Pietro!).
Sergione è indemoniato, Vaisanen prova spiegare che non tutti i finlandesi da bambini vogliono fare i piloti. Soffriamo come giusto che sia. Viviani sente aria di derby e per poco ci manda in orbita. Si chiude il primo e ancora stiamo sognando. Se mai avrò un figlio gli racconterò di questo spettacolo. Come gli racconterò di campi infausti e personaggi tali. L’esercito dei selfie e la musica a palla nell’intervallo sono gli spaccati di questa società. Noi si preferisce la birra e gli abbracci. Si riparte, soffriamo, rischiamo, rischiamo di segnare, ancora soffriamo. Due infortuni, qualche contropiede, la squadra è trascinata dalla Ovest e viceversa. Misuro il tempo in sigarette, sarebbe allucinante scivolare ora, ma non deve succedere e non succederà. Pelle d’oca, lacrime. Tutto vero. Usciamo indenni e consapevoli. Rischiando di vincerla. Ci saranno momenti duri e di sconforto, se questo è lo spirito sapremo andare oltre. Oltre vent’anni di merda e falsi profeti, oltre le categorie e le invidie di chi non ha mai visto il cielo di Roma, una notte d’estate, una domenica di agosto.
Forza SPAL! G.