Dice il saggio: farò quel che potrò per la mia Spal. E visto che il saggio in questione non ho idea di chi sia ma ha tutta la mia infinita stima perché quello slogan era, è e sarà sempre magnifico, ogni giorno che scende in terra mi rimetto al mio debitore con pazienza certosina, rispetto assoluto e cura totale.
Questa volta ho preso il detto forse troppo in parola. Fatto sta che due giorni prima della chiusura del mercato ero moderatamente preoccupato per la possibilità, concreta peraltro, che la stessa campagna estiva di rafforzamento finisse senza alcun arrivo. Consideravo, e l’avevo scritto, un gran peccato che mancasse un esterno alto bello tosto, uno capace di vincere l’uno contro uno, di spingere, di crossare. Insomma un esterno come c’erano una volta. Così, dopo aver capito, evidentemente male, che Melara non sarebbe arrivato ho appunto fatto il mio dovere di tifoso spallino. Ho fatto quel che potevo per la mia Spal. Purtroppo per lui, e lui è Cesare Butelli, il destinatario dell’imprescindibile dovere biancazzurro era appunto il Presidente. Al quale ho trifolato-massacrato-disintegrato-deflagrato-consumato-prosciugato-maciullato (…) i maroni con una serie di sms che, me lo dico e scrivo da solo, nemmeno alle elementari avrebbero avuto un senso logico minore. Ma siccome quando c’è il saggio – l’inventore dello slogan “Farò quel che potrò…” – c’è anche lo stolto, umilmente ho vissuto i panni di quest’ultimo e la cosa grave, l’ennesima, è che ci ho perso pure del tempo. Per la precisione ho cominciato ventiquattr’ore prima che il Comandante Pozzi e Staschenov Schena approdassero in quel di Milano, sede storica del calciomercato. Ripeto per i lettori più intransigenti o semplicemente in possesso (loro sì…) di tutte le facoltà mentali. Si tratta di sms assolutamente imbecilli come il loro inventore. Cioè io. Ho cominciato, scrivevo, la sera precedente all’ultimo giorno di trattative. E ho cominciato così: “Una Melara tira l’altra”. Ho continuato, pochi minuti dopo, con: “Un Melara al giorno leva la Lega Pro di torno”. Ho proseguito, la stessa sera, con altri tre. In quest’ordine: “Biancaneve mangiava la Melara avvelenata”, “Sto mangiando una marmellata di Melara cotogna” e “Vola al cinema. Ridanno il tempo della Melara”. Poi, la mattina dopo, ho sparato tutte insieme o quasi, le mie personalissime, ultime cartucce. Il primo era questo: “Mi piaceva molto quella canzone di Branduardi che faceva… Cogli la prima Melara”. Il secondo, orario da colazione, era a tema: “Sto mangiando una Melara cotta”. Poi ne ho mandati altri due che francamente – deve essere un barlume di materia grigia che ancora mi è rimasto e sta lì a ballonzolare a spasso per la mia deserta cavità cranica – non ricordo più. Poco prima delle 19, cioè a un passo dalla chiusura del mercato, quando ho saputo che Melara era stato acquistato, credo che il Presidente abbia tirato un sospiro di sollievo. Non tanto per il sacrificio economico fatto, anzi, quanto perché avrà pensato che finalmente mi sarei arreso. Invece no. Mi sono sentito in dovere di ringraziare e l’ho fatto a modo mio. Con altri due sms, cioè. Prima questo: “Ora la favola può cominciare. Titolo: la Melara stregata”. Poi l’ultimo, come ad assumermi la responsabilità di cotanta insistenza (cosa mai successa prima, ci tengo a specificarlo): “Non sarà una Melara marcia”.