Filippo Savi nasce il ventinove gennaio di venticinque anni fa a Sala Baganza, un comune di poco più di cinquemila anime dell’entroterra parmigiano. Centrocampista pulito e ordinato, anzi, metronomo d’eccezione che lo portano direttamente nelle giovanili del Parma e farne tutta la trafila, a nemmeno diciotto anni compiuti fa il suo esordio in A con i ducali al “Meazza” di Milano contro il Milan. E’ alla sua prima alla Scala del calcio italiano. Pippo è un predestinato e presto gli addetti ai lavori se ne accorgono ma il Parma se lo tiene ben stretto e, la stagione dopo, colleziona otto gettoni nella massima serie. Inizia qui il calvario del giovanissimo Savi, due operazioni delicatissime che lo portano ai margini del calcio italiano e poi altre due ancora, l’ultima a maggio 2010. In mezzo la parentesi a Ferrara con la maglia della Spal dove, con Aldo Dolcetti, ha disputato ventitré incontri, prima ancora Monza e Arezzo: da allòra, il suo, è un peregrinare tra alti e bassi dovuti, come detto, a problemi fisici che ne hanno, di fatto, compromesso la carriera: Carpenedolo, Crociati Noceto, poi l’esperienza in Belgio con il Brussels. Pippo la sua stagione migliore l’ha vissuta proprio in biancazzurro. Oggi, il ritorno a casa, il Fidenza è l’ennesima occasione di riscatto, la voglia di mettere alla prova la sua immensa tenacia e determinazione contro le sfortune della vita che, incredibilmente, sembrano essersi accanite contro di lui. Ma Pippo è un osso duro, di quelli che non mollano mai. Contro la Spal, scherzo del destino, potrebbe toccare a lui, dopo aver saltato le prime due sfide per problemi di tesseramento.
Pippo Savi è prima di tutto uomo, che giocatore, immenso e dal carattere d’acciaio, che nasce non per caso. Ci vuoi ricordare i tuoi inizi a Parma?
“Sono entrato nel settore giovanile del Parma quando frequentavo la quinta elementare e ho fatto tutta la trafila fino alla Prima Squadra vincendo lo scudetto negli Allievi Nazionali. Essere allenato da persone che mi hanno trasmesso valori importanti come rispetto e disciplina è stato fondamentale per la mia crescita calcistica ma soprattutto per quella personale”.
Giovanissimo, quindi, entri a far parte della prima squadra del Parma, collezionando poche presenze in campo ma in compenso giocando in Coppa Uefa.
“E’ stato proprio dopo aver vinto lo scudetto con gli Allievi che l’allenatore Baldini mi ha fatto entrare in Prima Squadra. Con me c’erano Gilardino, Bonera, Morfeo, Frey e tanti altri. Mi ricordo ancora gli scherzi che mi facevano e i rimproveri che mi sono preso. Un tempo il giocatore più giovane era molto rispettoso verso i compagni più grandi. Ora invece le cosa sono cambiate dal momento che nelle squadre i giovani sono più numerosi dei senior. Non credo che questo sia un bene per la loro crescita, anzi”.
Te lo ricordi quando l’allora allenatore del Parma Carmigiani, durante un Milan–Parma di qualche anno fa ti fece entrare in campo dicendoti che dovevi marcare Kakà?
“Si certo che me lo ricordo anche se sono passati un bel un po’ di anni e ovviamente i ricordi si fanno sempre più sfocati. Però c’è una cosa che mi è rimasta impressa nella mente ed è la sua incredibile velocità con la palla, aveva un piede imprendibile””.
Parliamo di Spal: come mai sei arrivato proprio nella piazza ferrarese?
“Venivo da un campionato un po’ così così nell’Arezzo calcio. Ero in ritiro con il Parma quando mi ha chiamato Pozzi che in poco tempo è riuscito a convincermi a venire a Ferrara. L’idea di giocare in una piazza con tanta storia e con tanta fame di calcio mi allettava”.
Che ricordi hai di quel periodo?
“Sicuramente sono molti di più i ricordi positivi di quelli negativi. Eravamo partiti per salvarci e alla fine non siamo entrati nei playoff solo per un punto. Mi piaceva tantissimo fare riscaldamento sotto la curva prima della partita, era quasi sempre piena e per me era di grande stimolo”.
Lo sai che a Ferrara ti chiamavano “il metronomo” del centrocampo perché davi ritmo al centrocampo?
“Si me lo ricordo bene. Anche l’anno scorso in Belgio hanno finito per chiamarmi nello stesso modo. Ho sempre pensato fosse motivo di orgoglio essere chiamato così”.
Sei andato via dalla Spal perché ti mancava qualcosa?
“Se devo essere sincero sarei rimasto molto volentieri perché mi trovavo bene praticamente con tutti ma purtroppo la società non è riuscita a trovare un accordo con il Parma. Non è dipeso da me”.
Cosa rappresenta adesso Ferrara per te?
“Rappresenta una città in cui ho passato un anno di vita davvero molto piacevole. Fino all’anno scorso mi sentivo ancora con qualche mio ex compagno di squadra, ora però a Ferrara non ho più contatti con nessuno anche se conservo dei bei ricordi”.
Adesso giochi nel Fidenza, stessa serie e stesso girone di una certa Real Spal.
“Sarò sincero: speravo proprio di finire nello stesso girone della Real Spal! Ho davvero voglia di tornare a giocare a Ferrara, non vedo l’ora! Probabilmente l’ambiente non sarà più caldo come un tempo ma per me è comunque un vero piacere”.
Lo sai vero che sono cambiate davvero tante cose a Ferrara da quando non giochi più nella Spal.
“Purtroppo sì. Quando ho saputo che la Spal era stata cancellata dal professionismo, ci sono rimasto davvero male. Anche quando ero in Belgio il primo risultato di Lega Pro che andavo a guardare era quello della Spal. Sono rimasto un po’ tifoso”.
La tua carriera calcistica è stata spesso costellata da gravi infortuni fisici. Quanto hanno penalizzato la tua crescita professionale?
“Moltissimo. Le quattro operazioni che ho subito al ginocchio mi hanno ridimensionato sia a livello fisico che mentale, soprattutto nella prima parte della mia carriera”.
Per un calciatore stare ai box non deve essere facile, ancora di più quando a costringerti sono infortuni gravissimi. Hai mai pensato veramente di lasciare perdere tutto?
“Prima dell’ultima operazione, nel maggio 2010, avevo deciso di smettere. Era un intervento molto delicato che avrebbe richiesto tempo e non dava nessuna certezza di poter tornare a giocare. Poi però la mia voglia di giocare ha preso ancora il sopravvento. Probabilmente se tornassi indietro non lo so se continuerei a giocare perché, anche se la voglia di giocare è sempre stata tanta, i sacrifici non mi hanno mai ripagato, almeno fino a questo momento”.
Hai giocato anche all’estero, in Belgio nel Brussels. Com’è il calcio fuori dall’Italia?
“Sicuramente diverso in tante cose, anche per questo all’inizio ho fatto fatica. Poi mi sono abituato e alla fine credo di aver fatto un buon lavoro. I dirigenti del Brussels volevano che restassi con loro ma io ho preferito tornare in Italia perché sono venuti a mancare i motivi professionali e anche economici per restare”.
So che hai una famiglia molto unita che ti sostiene e ti segue sempre. Li ho incontrati molto spesso negli stadi.
“La mia famiglia mi ha sempre seguito tantissimo e soprattutto ovunque. Credo che continueranno a farlo anche quest’anno. Hanno fatto tanto per me e gli sono infinitamente grato per questo”.
Siamo ai saluti Pippo: in bocca al lupo, davvero, che questo sia l’inizio di una nuova carriera per te.
“Crepi e grazie per l’intervista, mi ha fatto veramente tanto piacere che avete pensato a me. Mando un saluto grande a tutta la città di Ferrara e ai tifosi spallini, ci vediamo presto, sotto quella magica e indimenticabile curva”.