Dal 26 novembre 2012 alla guida del Comitato regionale Emilia Romagna della Figc c’è Paolo Braiati, sessantenne, primo ferrarese a ricoprire la carica di Presidente nella sede della Federcalcio di Bologna. Dagli inizi come dirigente nella società del Porta Mare Frutteti all’incarico da consigliere regionale e a quello successivo di vicepresidente prima di succedere a Maurizio Minetti. Raggiunto telefonicamente per fare il punto sul calcio in regione, gli impegni in Federazione, la SPAL e il momento professionale del figlio Edoardo, centrocampista spallino.
Presidente è ad un paio di mesi dallo spegnere la prima candelina dall’assunzione del suo incarico al CrER. Bilancio di quest’anno da numero uno della FIGC in Emilia Romagna?
“Ad esser sincero nel corso della mia precedente esperienza di quattro, cinque anni dove ho ricoperto il ruolo di vicepresidente pensavo di avere un’idea più chiara dei compiti e delle attività di Presidente. Invece, ho potuto costatare che occorre un impegno ancora maggiore. E’ una figura molto importante soprattutto perché ci sono tante questioni all’ordine del giorno. D’altronde la Federazione gestisce direttamente le attività dei campionati di Eccellenza, Promozione, Prima categoria e Juniores Regionali, poi attraverso le delegazioni provinciali il resto dei tornei. Ma non ci occupiamo solo del calcio a 11 maschile, c’è anche il settore femminile e il calcio a 5. Insomma circa 72 mila calciatori senza contare i vari tesserati, i collaboratori e i volontari che orbitano attorno al movimento calcistico. Poi attraversiamo una fase di cambiamento. Prima era l’organizzazione era basata esclusivamente sul volontariato, ora il volontariato resta un elemento fondamentale per il buon andamento del movimento calcistico regionale, ma a livello di Federazione occorre una gestione aziendale. D’altronde c’è da gestire qualcosa come mille società, dieci sedi, diciassette dipendenti e tre edifici di proprietà, di cui uno appena realizzato. E’ un ente che fra entrate e uscite muove circa sei milioni di euro. Accanto alla gestione aziendale ripeto resta fondamentale l’impegno dei centotrenta volontari impegnati nelle delegazioni provinciali”.
Qual è lo stato di saluto del calcio regionale?
“L’Emilia Romagna si trova ad affrontare un periodo di crisi come del resto accade in tutte le aree del nostro Paese. Alla crisi economica si è aggiunto il disastro del sisma. Un problema gravissimo che non ha colpito solo il modenese, ma tutta la Regione e l’Italia intera visto che si tratta di un distretto industriale che forniva il 5% del Pil nazionale. Ovvio che c’è stata una contrazione degli sponsor per via delle difficoltà nelle quali versano le aziende. Già da prima del sisma si erano registrati segnali negativi con le difficoltà nel reperire sponsorizzazioni e il calo dei volontari, il terremoto poi ha complicato ulteriormente le cose. Nella passata stagione agonistica si è registrato una flessione delle società iscritte, riduzione che si è verificata anche in quest’annata, anche se gli effetti delle situazioni nominate in precedenza sono stati contenuti. Nel calcio a 11, una sessantina di società non si sono iscritte, la maggior parte nei campionati delle categorie minori, tuttavia di queste tredici-quattordici hanno mantenuto il settore giovanile e un paio hanno ripiegato sul calcio a 5, l’unico movimento che non soffre al momento anzi fa registrare un incremento dell’attività. Sono trentaquattro i nuovi sodalizi”.
Ci sono differenze particolari fra le diverse delegazioni provinciali? E qual è la situazione del panorama ferrarese?
“Dalle delegazioni provinciali di grandi dimensioni come Bologna, Modena e Reggio Emilia a quelle di realtà più piccole come Forlì, Rimini e anche Ferrara vivono più o meno gli stessi problemi. Oltre alle province colpite dal sisma sono le zone montuose a vivere le problematiche maggiori, è veramente difficile fare calcio in alcune realtà anche nelle categorie minori. Sono stato per anni dirigente della società dilettantistica del Frutteti, conosco la realtà ferrarese e resto in contatto con i dirigenti locali. Posso dire che le società ferraresi si differenziano dalle altre perché sono abituate a vivere in condizioni particolari, sia per il fatto che si trovano in una posizione di confine, sia per il fatto di trovarsi in un contesto che da sempre vive problemi di natura imprenditoriale e quindi di scarsità di sponsorizzazioni. Diciamo che loro malgrado sono più allenate a lavorare in contesti difficili. Situazioni che in questo periodo storico toccano anche altre realtà. Ci sono comunque società che possono competere benissimo sia a livello regionale che nazionale”.
In un periodo così difficile la Federazione adotta una linea di contenimento delle difficoltà o ci sono margini per iniziative e progetti in grado di operare trasformazioni a livello organizzativo e di movimento?
“Ovvio che il momento non è dei migliori, ma stiamo operando su vari aspetti dell’organizzazione e anche cercando di sondare il terreno per trasformazioni a livello agonistico. Abbiamo una rete informatica di circa ottanta terminali dove occorrono oltre che risorse economiche anche risorse umane. Occorre formare i dirigenti all’utilizzo delle nuove tecnologie. Purtroppo molti dirigenti sono in là con gli anni e palesano un gap tecnologico, che proveremo a colmare con la formazione. Abbiamo puntato molto sulla comunicazione, lanciando anche un filo diretto con i tesserati attraverso i social network. Abbiamo inoltre messo a disposizione delle società in maniera gratuita un’assistenza dal punto di vista fiscale. Poi ripeto, tanta formazione. Proporremo dei seminari nelle delegazioni provinciali sui temi caldi della nostra attività (tesseramenti, assicurazioni, ecc…). Poi dal punto di vista agonistico continueremo nell’opera di potenziamento dell’attività delle varie Rappresentative e ho già avuto un parere positivo sulle modifiche riguardanti il campionato Juniores Regionali. Finora è stato aperto solo a società di Eccellenza e Promozione con squadre di Prima categoria chiamate a colmare i buchi. La proposta è di inserire promozioni e retrocessioni coinvolgendo formazioni giovanili anche di squadre di seconda e terza categoria. E’ una categoria difficile dovuta all’età dei ragazzi e spesso la gestione è complicata. Punto a valorizzare questo campionato”.
Un commento sui campionati dilettantistici.
“I campionati di Eccellenza e Promozione sono interessanti. Anche gli altri lo sono ovviamente per le categorie di appartenenza. Ognuno con la propria specificità. Non vado spesso alle partite, ma i miei collaboratori assicurano il buon livello dei tornei. Delle ferraresi mi hanno parlato bene dell’Argentana, Centese, S. Agostino, Copparese e della Portuense. Realtà che non sfigurano nel panorama regionale, nonostante siano espressione di un territorio poco sviluppato a livello economico. Nonostante tutti i problemi che ci sono le nostre comunità vivono di calcio, che rappresenta un terzo di tutta l’attività dello sport a livello nazionale. Le amministrazioni non danno più la mano di un tempo, ma è un problema che attraversano anche le altre regioni. Tuttavia le società emiliano romagnole riescono ad esprimersi e competere a livello nazionale. Lo scorso anno sia l’Imolese che la Correggese hanno raggiunto la serie D nazionale”.
Aumentano sempre di più le presenze nei campionati dilettantistici di ex giocatori del panorama professionistico, per restare in casa nostra: Marongiu alla Centese, Lunati al San Felice, Marchini addirittura in prima categoria col Comacchio. E’ l’effetto della crisi del professionismo? La nota positiva è l’aumento del livello dei tornei dilettantistici?
“E’ sicuramente l’effetto della trasformazione del calcio professionistico. Tutti gli anni sono tantissime le società che non riescono a sostenere i parametri dei professionisti e temo che la situazione peggiorerà nei prossimi anni. Già il prossimo anno si registrerà una contrazione di una trentina di società, sono tutti calciatori, tecnici, collaboratori che verranno, nella maggior parte dei casi, assorbiti dal mondo dilettantistico. I livelli dei tornei regionali aumenteranno, ma occorrerà valutare anche le conseguenze di questa trasformazione”.
Nel mondo dei professionisti, così come nei dilettanti (anche se in misura e in maniera diversa) si punta all’impiego dei giovani quasi in maniera forzata. Anche suo figlio Edoardo, nella SPAL, sembra una delle vittime di questi meccanismi. Da uomo delle istituzioni e da padre di un calciatore ormai non più in tenera età qual è la sua posizione?
“Credo fortemente nei giovani. L’impegno nel rafforzare l’attività delle Rappresentative come ulteriore vetrina lo dimostra. Sicuramente a livello dilettantistico i contributi destinati alle società per l’impiego dei giovani ha permesso a molte di loro di sopravvivere. Non posso giurare che questa regola poi abbia portato dei benefici ai giocatori in termini di qualità e salto in categoria superiore. Nelle categorie superiori, penso alla Serie A, gli stranieri sono oltre il 50% e la presenza aumenta anche nel campionato Primavera, anche in B lo spazio non è molto. Quando ho cominciato io le squadre erano formate da anziani e due o tre giovani oggi è il contrario”.
La SPAL vive un momento di appannamento. L’entusiasmo iniziale potrebbe svanire con i risultati che tardano ad arrivare?
“Sono un amico fraterno del presidente Walter Mattioli. E’ il dirigente migliore che abbia conosciuto nella mia vita. E’ stato l’artefice di una grandissima operazione. Bisogna dar tempo ai giocatori, allo staff e alla dirigenza di abituarsi a Ferrara. La categoria d’accordo è la stessa dello scorso anno, ma il contesto è totalmente un’altra cosa. Un conto è con la Giacomense avere al seguito cento o duecento spettatori, un altro e far calcio a Ferrara. I ferraresi sono molto esigenti. Ma per l’amicizia che mi lega a Walter (Mattioli, ndr) posso mettere la mano sul fuoco che lui è il primo ad esser convinto della possibilità di salvarsi e centrare l’obiettivo. Lo conosco da quando era dirigente in terza categoria. E’ una garanzia. Lasciamoli lavorare, occorre pazienza”.