LE DEDICHE, LA SERENITA’, IL GIOCO I MERITI, I SINGOLI E CIPPO PER TUTTI

E’ in questi dopo-partita che non ti viene voglia di andare a leggere i commenti, le interviste, di guardare la classifica. Quando vai allo stadio e vedi questa Spal tutto il resto è noia davvero. Che dire o scrivere dei biancazzurri che hanno fatto apparire l’Andria come un manipolo di pippe che non è? Che sono stati perfetti. Se qualcuno ha voglia di andarsi a (ri)leggere l’intervista che ci ha concesso Notaristefano venerdì scorso è facile capire i segreti di questa rinascita dell’Ars et Labor. Molti meriti, infatti, li ha lo stesso tecnico che della pretattica se ne infischia e si occupa invece di calcio. Cose semplici illustrate e raccontate bene, appunto, venerdì. “Dobbiamo aggredirli subito perché capiscano che qui non si portano via punti”. E poi: “Dobbiamo fargli male tra i centrali e i terzini”. Questo, in sostanza, il volere del mister applicato alla grande in campo. Partita chiusa in venti minuti e un Valtulina mai visto a fare a pezzi la difesa avversaria proprio tra i centrali e i laterali.
Il discorso, però, almeno il mio, parte da lontano. Dai momenti di difficoltà ora definitivamente – sissignore – alle spalle. Erano pochissimi quelli che con la Spal ultima o quasi non si sono arresi e hanno continuato ad abbaiare alla luna che quella non era la squadra vera costruita, anzi perfezionata, l’estate scorsa. Pochi ma buoni e soprattutto fiduciosi. Credo sia giusto rendere omaggio a quelli che non hanno mai mollato e in silenzio, dopo aver preso vagonate di merda in faccia, hanno continuato a fare quello che sanno fare molto bene. A lavorare, appunto, ma anche a giocare. Gianbortolo Pozzi detto non a caso il Comandante, ai più, gli stessi che lo osannavano pochi mesi fa, appariva come un idiota, presuntuoso, rincoglionito. Renato Schena, invece, come un povero omarino sfigato che si affannava a ripetere, anche su queste pagine, che la Spal si sarebbe ripresa. Cosa vuoi che dica, si diceva e scriveva. E poi Zamboni, praticamente un ubriacone. Capecchi, un vecchio bacucco. Cabeccia, un pirla presuntuoso. Bedin, semplicemente finito. Valtulina nemmeno a nominarlo, per carità. Migliorini buono al massimo per il Rovigo. Bazzani un ex giocatore e via di questo felice, masochista passo che ha rischiato di fare più danni di Felipe Melo al centrocampo della Juventus.
E qui, per fortuna e per merito, ecco la società Spal. Dal Presidente a Schena, da Pozzi a Bena, da  Gessi a Zecchi e agli altri lavoratori spallini, tutti insieme e appassionatamente a prendere in mano la situazione, a difendere giocatori e staff, a sostituire seppure a malincuore Dolcetti e a insistere che i fatti, alla fine, avrebbero dato loro ragione. Hanno fatto benissimo e, molto dopo, armati soltanto di stima, fiducia e passione, abbiamo fatto bene noi insieme con parecchi tifosi a non mollare mai, a continuare a diffondere il seme della fiducia scrivendo un pezzo o continuando ad andare ovunque in trasferta. Oggi abbiamo vinto. In campo e fuori, a prescindere da come finirà il campionato. E’ forse, anzi quasi certamente, tardi per alimentare sogni di gloria ma prima, ed è giusto così, ci portiamo a casa questa salvezza e poi, all’ultima giornata, guarderemo la classifica sperando di non dover smadonnare per pochi punti pieni di rimpianti. Ma pazienza. Andrà (molto) meglio l’anno prossimo perché adesso c’è tutto per crescere ancora. Le basi sono belle toste e presto lo saranno ancora di più (ma di questo ne parleremo lungamente tra poche settimane). La squadra c’è e per puntare a questa benedetta serie B non serve così tanto. Per adesso godiamoci questa Spal che vince, diverte, non subisce e mette in mostra un cuore e un impegno grandi così. La faccia e le prestazioni di Giacomo Cipriani credo siano la bandiera migliore a rappresentare la Spal di oggi. Abnegazione, convinzione, cattiveria, lucidità, altruismo, qualità, voglia… C’è tutto e anche di più nelle partite del Cippo. C’è tutto, e non è ancora finita, nell’anima della Spal di Notaristefano. Da tifosi o da giornalisti, non cambia. Quel che deve cambiare è soltanto l’atteggiamento di chi non entra in campo. Fiducia, sempre e comunque. E ogni tanto, anzi ogni spesso, silenzio e ringraziare tutti quelli che la domenica – da un anno e mezzo e per altre stagioni ancora – ci regalano un ritrovato orgoglio, una rinata appartenenza, un’infinita e potenzialmente ancora in crescita passione spallina. Sarà, ma io ogni volta che rivedo i miei tatuaggi, che entro al Paolo Mazza, che leggo un tabellino con il nome Spal, che apro il nostro sito impronto senza accorgermi un’espressione palesemente idiota e fissa su un sorrisino ebete pieno di soddisfazione. Essere della Spal, cari lettori, era, è e sarà sempre questa la differenza rispetto a tutti, ma proprio tutti, gli altri.

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