L’IMPRESA (RIUSCITA), LA CRISI E LA DOVEROSA RISPOSTA

Non era facilissimo dare ragione a quelli che, contro la Cremonese, hanno fischiato a metà partita (sui cori “andate a lavorare”, invece, continuo a dissentire persino oggi). Ci voleva giusto una sconfitta a Pavia. Sul fatto che la Spal abbia tenuto palla per ottanta minuti, che non abbia giocato male come hanno detto i protagonisti, sui presunti aspetti positivi (?), cioè, sorvolo perché francamente me ne infischio. Davanti ai risultati tutte le attenuanti generiche del pianeta calcio, e non solo, contano zero. Assoluto. Restano i numeri, però. E purtroppo. Che non vogliono dire e non riguardano i falli fatti o i tiri subiti, no. Ma si riferiscono ai punti fatti. Uno in tre partite. Pochissimo. A Monza è successo quel che è successo. Vero ma adesso insignificante. Con la Cremonese il secondo tempo è stato buono. Altrettanto vero ma ora inutile. A Pavia si è fatto un passo avanti sul piano del possesso di palla. Sacrosanto anche questo ma altrettanto inutile.
Tirando le somme che, appunto, raccontano di un misero punticino sui nove disponibili, il momento attuale della Spal è il peggiore fin qui. Non è un atto di coraggio e nemmeno un atto di accusa usare il termine crisi. Il problema (eufemismo) è capire cosa cazzo (sì, cazzo!) succede. Nella facile ma anche normale caccia al capro espiatorio tutte le strade, e le critiche, portano – e non da adesso – a Notaristefano. Chi scrive, bella scoperta…, non crede alle soluzioni facili. Ero, sono e continuerò a essere per il cambio del manico – che pure avrà sbagliato qualcosa visti i risultati ma secondo me non più degli altri protagonisti – soltanto quando la squadra non seguirà più il verbo del tecnico. Cosa che mi sento di escludere anche oggi. Altri, invece, imputano al Direttore Pozzi che ha costruito la squadra la responsabilità maggiore. E pure qui non mi trovo d’accordo. I tantissimi punti conquistati all’andata (che in tutti i più recenti campionati avrebbero significato il parziale primato!) non si possono dimenticare. E, più in generale, quando le cose non vanno, cioè adesso, le colpe o presunte tali credo sia impossibile non distribuirle genericamente. Perché poi, nel bene e nel male, in cambio vanno i giocatori e se non tirano in porta, se si distraggono, se sono meno concentrati e poco sul pezzo ci puoi mettere pure Mourinho, Capello e miglior Gibì Fabbri, tutti insieme appassionatamente, in panca ma cambia poco. Ecco perché mi sottraggo al tiro al piccione. Sia esso, l’esempio animale intendo, Notaristefano, Pozzi, Fofana o chiunque altro.
Lo conoscono anche quelli che non hanno mai visto il film il detto “quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare”. E allora bisogna attuarlo, il concetto. Subito. Bisogna giocare con un altro piglio, con più determinazione e maggiore attenzione. Rombo o non rombo (se prendi Locatelli devi poi metterlo nelle migliori condizioni per fare davvero la differenza e allora c’è poco da stranirsi per il modulo di Pavia) la stessa Spal, con gli stessi giocatori, lo stesso allenatore e lo stesso Direttore prima di queste sciagurate partite ha dimostrato di poter giocare per vincere questo torneo. Ho sempre pensato, e scritto, che non sono i nomi a darti la certezza di vincere (vedere il Gubbio per credere) ma adesso diventa un fatto di orgoglio. Tocca a tutti, nessuno escluso, dimostrare la serietà delle tante cose pensate e dette e scritte per elogiare un gruppo che, sul campo, ha fin qui fatto vedere di non aver paura di alcuna squadra.
Poi, certo, e anche questo lo dicono gli ultimi risultati, qualche cosa che non va c’è eccome. A chi di dovere capire cosa e come uscirne. E’ fin troppo ovvio pensare e sperare che almeno un rinforzo arrivi in questa ultima settimana di mercato. Davanti, per esempio, a prescindere dall’infortunio di Fofana, la coperta è corta e se manca Cipriani sono dolori persistenti. Ecco, a proposito di Fofana. Lo impiega male l’allenatore? Non sta bene? Ha problemi suoi personali? Boh. Nessuno ha una risposta certa, assoluta. Personalmente non mi pare sia utilizzato così tanto diversamente dagli anni passati ma che il rendimento di uno degli investimenti più importanti della società sia altamente al di sotto delle aspettative è affermazione difficilmente contestabile. Qui il Direttore Pozzi farà bene a pensarci seriamente perché il problema è grave e serio. Lo stesso a centrocampo, almeno se si decide di giocare con il rombo. Di fianco a Migliorini che ormai, credo e spero, abbia definitivamente convinto anche i più scettici, manca un altro centrale dai cosiddetti piedi buoni. Dietro, invece, basterà mettere la testa a posto e sperare che il Belleri vero, quello tesserato per fare la differenza, si veda da dopo la sosta in poi. Ma a prescindere dal mercato – e nonostante l’ovviamente basso morale di queste ore credo che qualcosa si farà – il punto è che tocca a questi uomini, in campo o in panchina o dietro a una scrivania, dare risposte immediate. Non c’è bisogno di dire alcunché alla stampa o ai tifosi. Basta parlarsi chiaro e dentro agli spogliatoi. Domani. E poi svegliarsi. Dimostrare a chi oggi, e giustamente, è affranto, avvilito, preoccupato che è solamente, si fa per dire, un momentaccio. Non mi riferisco a chi dichiara che non andrà più allo stadio. Questo lo trovo un atteggiamento inutile e pure poco rilevante dal momento che a guardare i numeri le presenze al Paolo Mazza sono decisamente inferiori alle aspettative e alla classifica. Mi riferisco, invece, a chi è andato a Pavia e davanti a una sconfitta inaspettata e ingiustificabile non si è nemmeno scomposto proprio perché depresso, incredulo.
Il Gubbio è rivolato via ma gli altri risultati, dopo le penalizzazioni, danno un’ulteriore mano alla Spal. La mano, però, bisogna meritarsela. Parlando poco e correndo e allenandosi tanto e di più. Dice (e dico anch’io): ma hanno sempre corso e si sono sempre allenati bene. E’ vero, ma evidentemente non basta. E non lo dice il tifoso più pessimista (tanti) e neanche il più ottimista (io). Lo dicono i numeri (aridaje). Impietosi in questo inizio del girone di ritorno. Un punto in tre partite. Mi viene male anche soltanto a scriverlo. Ma è così. Personalmente sarei felicissimo di non passare più un’altra domenica bestiale del genere. Ma che dico, e scrivo: bestiale. Chiamiamola pure una domenica di merda. Ribadisco che contano nulla il possesso di palla, la buona prestazione dei centrocampisti tutti, quelli finora meno utilizzati compresi. A Pavia, davanti a un avversario modesto, la Spal ha regalato altri tre punti. Il fatto che le dirette avversarie – Gubbio a parte – abbiano fatto uguale o persino peggio è un’aggravante. Quella di aver gettato un’altra grossa, anzi di più, occasione. Ed è un’aggravante anche la prestazione non brutta nonostante il risultato conseguito che tutti, dirigenti, allenatore e giocatori hanno utilizzato a mo’di consolazione nel dopo partita, domenica scorsa. Se non giochi male e perdi a Pavia è anche peggio.
Lo dico ai giocatori della Spal. Ora tocca soltanto a voi. Vi serve una scusa facile? Dite al Presidente Butelli che Notaristefano non ci capisce un cazzo. Altrimenti, aldilà dei cali fisiologici di alcuni giocatori che ci possono pure stare e a prescindere dagli eventuali rinforzi che potrebbero arrivare (una punta e un centrocampista?) sfruttate queste due settimane per ritrovarvi, compattarvi e far ritrovare a tutti noi, denigratori del primo refolo o sostenitori dell’ultimo stadio, la vera Spal. Che non è e non può essere questa. E basta vedere la classifica per sostenere questa banale tesi. Non si fanno così tanti punti per caso. E nemmeno per culo. Si fanno quando si sta lì con la testa e si butta in campo il cuore e la voglia di vincere e, certo, anche la classe. Ma quets’ultima, da sola, non basta. Correndo, lottando e ovviamente tirando in porta, ecco come si esce da questo marasma. Dice (anche qui) e dico (sempre io): sì ma l’impegno non è mai mancato. Confermo, per quanto può contare e servire. Ma ribadisco. Evidentemente non basta più. Il girone di ritorno è un altro campionato. I valori si annullano o quasi. La leziosità, il tic toc, i passaggini servono poco. Non sono, e non sarò mai, un mero esteta del gioco del pallone, uno zemaniano tout court. Bisogna “solo” buttarla dentro. Punto. Anche con i lanci lunghi, pure su punizione, addirittura grazie a un rimpallo.
Sono stato il primo, e forse l’unico, quindi oggi sono colpevole e tutta la vita dalla parte del torto, a ritenere ingiusti e masochisti (sull’ultimo termine non ho mica tanto cambiato idea) i fischi, i mugugni o i cori. Ma, per ritornare all’inizio, così facendo, e più che altro non facendo, si dà ragione a quelli che adesso, invece di rasentare la depressione pura curabile soltanto da farmaci veri, quasi ci godono a sostenere e persino a scherzarci su (giuro sulla Spal che la mia è invidia pura: ma come cazzo fate?) che era cosa buona e giusta vedere tutto nero. Ecco, io voglio vedere solo biancazzurro, porca di quella troia sbomballata zozza regina del bunga bunga. E allora sveglia!
Tutti insieme, per quelli che ci vogliono stare. Fischiate, urlate, cantate, sbraitate, sputate, correte… Fate come vi pare e piace ma continuate, ognuno per quel che può, a fare quello che potete per la vostra Spal. In campo ma anche fuori. Poi, ma speriamo mai, ci sarà tempo per eventuali processi. Non ora, però. C’è ancora molto da fare e sostenere e dimostrare e vincere. Come prima. Anzi, più di prima.

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