IL COMMENTO. SPAL-REGGIANA

FERRARA – Quattro mesi, dodici partite, millecentododici minuti e un allenatore dopo, la Spal ritrova la tanto sperata, sofferta e agognata vittoria. Sudore, fatica e lacrime è il caso di dire nel derby numero sessantotto della storia contro la Reggiana che torna a casa con due gol sul groppone per la terza volta nelle ultime quattro partite giocate al “Paolo Mazza”, subite da una squadra che si può ufficialmente definire la bestia nera del popolo granata. Sempre per restare in tema di numeri è la gara vinta numero novecentonovantotto della storia dei biancazzurri, la cinquecentouno in terza serie nazionale, la prima di questo 2011. Niente male, è il caso di dire. Per carità, se qualcuno si aspettava di vedere in campo ritmi vertiginosi e gioco frizzante, rabone, colpi di tacco e sombreri, sarà certamente rimasto un pochino deluso perché, di fatto, poco hanno fatto i ventidue protagonisti e poco si è visto a dispetto dei tre gol e della traversa colpita da Temelin. Di sicuro, però, tutto questo ha comunque contribuito a scacciare i “cattivi pensieri” di chi si aspettava ufficialmente aperta la pasticceria del “Paolo Mazza”. Come dire che qui i biscotti non sono ancora pronti e per i frollini, semmai, deliziosi, burrosi e fragranti come non mai soprattutto a fine anno quando la ciccia se la son divisa gli altri, ripassare un’altra volta.
Spal e Reggiana di fronte dunque, due tradizioni calcistiche a confronto e non solo, da sempre rivali che han pasteggiato a suon di colpi enogastromici sin dai tempi che furono: e allora col pasticcio ferrarese, la salamina, i cappellacci, il pampepato e la coppia sul piatto dei ferraresi, l’erbazzone, l’aceto balsamico, l’acqua d’Orcio e il parmigiano sulla tavola imbandita dei granata, il tutto naturalmente innaffiato a suon di Bosco Eliceo Sauvignon da una parte e Lambrusco dall’altra, ecco presentata la sfida che ha il sapore del rilancio per gli uomini di casa nostra. Alla settimana sinfonia diretta da un Remondina, che appare sempre più uomo indovinato e direttore d’orchestra giusto alla guida di questa squadra, con gli uomini contati ma con cuore, grinta e gambe che sembrano andare a un passo più spedito di quello delle ultime uscite, davanti a pochissimo pubblico, arrivano i tre, meritatissimi punti. Inizio in sordina, per carità. Ritmi da amichevole estiva, più cavalieri che guerrieri in campo, più carinerie che barbarie è il caso di dire almeno per venticinque minuti, quando tocca a Vlado da Sremsca Mitrovica trovare il pertugio giusto alla sinistra di Manfredini, aiutato nell’occasione da una gentilissima deviazione della robusta barriera reggiana. Il sole è alto nel cielo, il vento culla la sfera che è un piacere e, a ogni campanile, c’è poco da star allegri visto che non si capisce bene che strada voglia seguire la palla. Ma la giornata sembra quella giusta anche perché per due volte Bortel si fa passare senza remora alcuna dall’ex di turno Temelin che riesce a mancare l’appuntamento con il pari in maniera quasi clamorosa: un po’ di veleno in questi anni deve averlo perso e non è più il bomber letale dei tempi che furono.
Letale invece, quanto una freccia al curaro, è il piede di Guidone nostro che, con ineffabile sicurezza, alla faccia di chi lo considerava finito ti sforna una prestazione da capogiro da terzino sinistro, costringe Manfredini a una super-parata prima e alla capitolazione poi nel giro di sessanta secondi con un colpo di testa chirurgico e imparabile che di fatto chiude la pratica con un tempo di anticipo. Domeniche così vanno ricordate, poco importa se la Reggiana tira quattro volte in più dei nostri, poco conta, ai fini del risultato, che ancora sia là che tremi la traversa colpita dal solito Temelin a inizio ripresa, conta meno di zero che Maritato abbia uccellato il povero Mendy (e Ravaglia), conta solo che la Spal oggi sia tornata alla vittoria, meritandola e sigillandola con una prestazione generosa, caparbia e concreta, riuscendo a mettere nel cassetto punti fondamentali in chiave salvezza. Guai a parlare di qualcosa di più. L’esperienza insegna che, se non altro, porta una sfiga maledetta sognare, anche sottovoce. Meglio restare ben ancorati con i piedi per terra o, se preferite, il sedere sul sellino, per alzarsi sui pedali occorre attendere di vedere almeno la cima perché è un attimo ritrovarsi dietro. Ma c’è una certezza, insindacabile: da questa sera i biancazzurri sono rientrati nel gruppo. In fondo non ci voleva poi tanto.

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