Qualcuno ricorderà la Pasta Ponte, il cui marchio apparve sulle maglie del Perugia facendo scalpore: fu il primo caso di sponsorizzazione per un club italiano di calcio. Il primo? In teoria sì. Sicuramente sì se parliamo di scritta sulla maglia, appunto (in realtà si trattava di un logo rettangolare piccolissimo, giusto sopra il cuore). Ma non il primo caso in assoluto. La Spal in tal senso è stata un’antesignana. Stagione 1967/68, l’ultima dei biancazzurri in serie A. Al termine di quella annata la De Martino di Gibì Fabbri si laureò campione d’Italia. Per celebrare l’avvenimento la Tepa Sport, azienda emergente (e da lì a poco leader) nel settore delle calzature sportive, stampò una cartolina che ritraeva la rosa spallina e Gibì in posa davanti alla tribuna del Comunale; i biancazzurri calzavano ovviamente Tepa e sulla parte inferiore della cartolina campeggiava il marchio dell’azienda.
Raccontiamo questa cosa perché in questo momento in cui la Spal è priva di sponsor e gradirebbe pure qualche immissione di denaro fresco, una partnership con la Tepa potrebbe essere cosa buona e giusta, anche un occhiolino al passato (glorioso). Inoltre, per chi come il sottoscritto è abbondantemente negli “anta”, la Tepa è un mito. Scatola azzurra con V bianca sopra, un mondo stilizzato e la scritta All around in the world. Sono state le mie prime scarpe da calcio, nere con la V bianca davanti ed i lacci rossi. I primi ad usarle in massa sono stati quelli del Milan, poi si sono diffuse in tutta Italia e, per dire, nel 77/78 e subito dopo più di mezza Spal le indossava.
E ancora: dove e come potrebbe reperire risorse la Spal? A Cesena, dietro la gradinata del “Manuzzi” hanno allestito un gazebo, con fondo in erba sintetica identica a quella dello stadio adiacente. E’ una sorta di area-ospitality, di area-sponsor. Le principali industrie di Cesena e dintorni (dai marchi Technogym ed Orogel a tanti altri) si sono consorziate e garantiscono un contributo al club bianconero. Chi più, chi meno, chi apparendo sulla maglia, chi sulla cartellonistica, ma tutti insieme per sostenere la “loro” squadra. A Ferrara un’iniziativa del genere non sarebbe possibile? Non ci sono dieci aziende da 10.000 euro annui, e stiamo volutamente bassi? Non sarebbe un modo per appoggiare la squadra cittadina e creare o ricreare un legame forte col territorio?
Altra idea, non nuova: il museo della Spal. Allo stadio o altrove. Aperto tre o quattro giorni a settimana, biglietto d’entrata a prezzo popolare. Ferrara città turistica farebbe visitare e conoscere meglio anche “l’entità” che tra i ’50 ed i ’60 l’ha resa famosa in tutta Italia, e non solo. Mica si tratta di essere… blasfemi: a MIlano il museo di San Siro è il più visitato, o il secondo, della città. E poi, ognuno di noi “malati” può offrire il proprio materiale, o parte dello stesso, da maglie a quant’altro, per contribuire all’arricchimento del museo stesso.
Ultima cosa: il mio amico Valmir, laterale sinistro brasiliano classe 1986, ex Palmeiras e Vasco da Gama, Nazionale Olimpico (con Pato e compagnia) nel 2007, cerca un’opportunità in Europa. Si svincola tra una settimana: la Spal non può schierarlo (è extracomunitario, ma il caso di Fall al Lecco può aprire un precedente) ma con un gentlement agreement lo sistema in Svizzera o dove vuole, col patto che in caso di successo e quindi di ingaggio da parte del club che lo schiera o di futura cessione fruttifera almeno la metà dei benefici sarebbero per la Spal.
Io, al momento, il serbatoio delle idee l’ho esaurito. Di certo, con presunzione, le ritengo tutte strade percorribili.