Evito accuratamente di affidarmi ai numeri e alle statistiche. Primo perché esattamente un anno fa eravamo qui a compilare una classifica dell’anno solare con la Spal tra le prime dieci in Italia e Notaristefano addirittura tra i primi cinque tecnici italiani come media punti. Secondo perché sarebbe un esercizio di stile inutile e deprimente. Non ci vuole Archimede Pitagorico per scoprire che questo 2011 che si avvia finalmente alla conclusione è stato un anno orrendo. Anzi: terribile. Meglio: schifoso. La seconda parte dello scorso torneo, la prima di questo campionato… Messe insieme saremmo in Seconda Divisione e da un pezzo. In più i problemi societari, quindi le penalizzazioni, le polemiche, i contributi dei giovani persi, la vicenda fotovoltaico. Nemmeno il più ottimista degli ottimisti e neanche Lupo de Lupis, oggi, potrebbe avere il morale alto in questa settimana che almeno dal punto di vista del club – ma non è un punto di vista secondario – si annuncia come decisiva. Staremo a vedere e stiamo a sperare. Nel frattempo la situazione è quella che è. E la classifica pure. Una classifica magari non meritata ma questa è e con questa si devono fare i conti. Ora anche soltanto pensare di evitare i playout sarebbe folle. Certo, il precedente di poche stagioni stagioni fa, quello che portò all’esonero di Dolcetti con la Spal in fondo alla graduatoria, vale solamente come una misera consolazione. Che, se tutto verrà sistemato entro Natale come ogni tifoso della Spal farebbe bene ad auspicare, potrebbe servire e non poco ma non adesso.
Perché adesso siamo così, laggiù, e con l’aggravante psicologica di non aver meritato, almeno dal punto di vista tecnico, un girone di andata così deludente. La striscia negativa di sconfitte è imbarazzante, preoccupante, allarmante. E peggio ancora è il fatto che molte di queste siano state immeritate. Perché quando giochi e perdi vuol dire tanto ed è un “tanto” esclusivamente negativo. Lo dice la storia del calcio in tutte le categorie.
L’ultima sconfitta, quella di Avellino, vista in televisione mi ha fatto un’impressione, tra le altre, assai preoccupante. Quella di una squadra dove alcuni giocatori, anche tra i più importanti, giochino un po’ per conto loro in cerca di un ingaggio altrove. Spero di sbagliarmi ma se fosse così meglio rinunciare a un po’ di tecnica perché finché si gioca da squadra si può persino supplire alla mancanza di stipendi ma se ognuno balla con sua nonna qui non ci salva nemmeno Padre Pio.
A parte il solito Pozzi, ora è finito sul banco degli imputati il tecnico Vecchi. Cosa anche normale viste le sconfitte consecutive se estrapolate dalle prestazioni. Di sicuro anche l’allenatore è responsabile almeno come tutti ma qui, insisto, come già scritto una settimana fa, gli ultimi tre anni dovrebbero insegnare qualcosa. Quattro mister in quattro stagioni bastano e avanzano a sottolineare come il problema non possa essere totalmente ascrivibile all’allenatore di turno a prescindere da una formazione sbagliata o da un cambio non azzeccato. Il problema, evidentemente e purtroppo, è più grande. Ecco perché – aridaje – c’è soltanto una cosa (scrivibile) a cui aggrapparsi. Ed è la solita. Quella di cui sopra. Che questa settimana, cioè, sia davvero decisiva per mettere a posto tutte le questioni economiche che riguardano la società. Altrimenti persino un miracolo affidato alle ragioni del cuore tipo Capello in panchina sarebbe inutile. Ormai è questione di giorni se non di ore. Aspettiamo, vediamo, speriamo. Nel frattempo mi schiero insieme a quei ragazzi, giovani o vecchi importa poco, che dal basso della loro posizione e dall’alto del loro semplice tifo stanno, non da oggi, facendo l’impossibile per dare una mano al club con varie iniziative, cene o azionariato popolare che sia, partendo dall’unico presupposto reale aldilà della comprensibile e generale delusione. Un presupposto fondamentale. Quello di sapere che in gioco, più degli interessi veri o presunti di chicchessia, c’è soltanto il destino della nostra, ripeto nostra, Spal. Da difendere e da amare sempre, comunque, e nonostante tutto e tutti. E chi, invece di criticare come è giusto e sacrosanto che sia, preferisce ironizzare, fare battute, pontificare, dare pseudo consigli e si diverte a cercare il solito capro espiatorio senza fare nulla di pratico e reale, senza soffrire, stando semplicemente a guardare o, peggio ad aspettare che magari passi il cadavere, non soltanto ha capito poco ma anche sbagliato squadra e passione. Ma non c’è fretta, il tempo per capire e per cambiare c’è ancora. Basta chiamare Cece e tifare per il Portogruaro.