Al momento di scrivere questo articolo l’auspicata risoluzione dei problemi societari non è ancora un fatto concreto. Purtroppo. Che poi questa auspicata risoluzione debba avvenire presto è ovvio e indiscutibile. Siccome toccherà aspettare ancora, però, almeno oggi se non mercoledì, scriverò d’altro. E che altro! Non prima, però, di aver specificato una cosa, almeno per me importante, visto che in mezzo alle tante critiche che ricevo, alcune ovviamente comprensibili, ce n’è una che speravo di aver sgombrato già martedì scorso con un articolo dal chiaro e netto (credevo!) titolo “Aridatece Ave Cesare”. Ecco, la pensavo e la penso ancora così pur avendo, ma non soltanto adesso, sottolineato alcuni errori peraltro talmente evidenti che non dovevo certo arrivare io per scoprirli. Avevo scritto, per farla breve, sempre martedì scorso, che l’idea di calcio che ha (non aveva) portato alla Spal Cesare Butelli è un’idea che mi piace (non piaceva) perché originale, diversa, affascinante. Ma è rimasta un’idea per gli errori di cui sopra e perché, e soprattutto, un miracolo come è stato il fotovoltaico non ha trovato la normalità che prima della crisi economica avrebbe portato qualsiasi istituto bancario ad anticipare cifre che, in questa portata di affari, si possono definire irrisorie. In sostanza, visto che l’interpretazione oltre che la mistificazione è uno sport diffuso, non sono sceso da nessun carro. Sono ancora qui a motivare la mia, discutibilissima sia chiaro perché i fatti sono fatti, idea senza rinnegare nulla. Non sono stato furbo, è vero, ma andrò avanti così perché sono proprio i furbi e i voltagabbana che non mi piacciono. Così come non mi piacciono gli avvoltoi, i non coerenti, quelli che guadagnano (inteso proprio come guadagno economico) sulle spalle degli altri o, peggio, sulle disgrazie altrui, e detesto quelli che vomitano alla rinfusa nonostante abbiano gli armadi pieni di scheletri dimenticando che prima o poi le ante si aprono e il rumore delle ossa che cadranno degli stessi scheletri sarà fragoroso. Chiudo il discorso, e chiedo scusa per la lunga premessa, perché come avevo anticipato all’inizio oggi si scrive di calcio. Meglio: di una squadra di calcio. Una squadra incredibile. Una squadra che sotto una marea di aspetti non ha eguali nella recente storia spallina.
Il titolo di questa rubrica preso in prestito da una stupenda canzone di Guccini suonerà magari un po’ forte ma tollerabile se la parola “eroi” viene rapportata e limitata a uno sport, in questo caso il calcio. L’epicità che mi sta a cuore sta tutta, ma non solo, racchiusa nell’ultima partita della Spal. Una partita importante, certo, ma soprattutto una partita giocata dopo mesi difficili e dopo una settimana, l’ultima, proibitiva. Inutile star qui a specificare dettagli e particolari che conoscono tutti. La Spal, intesa come giocatori, allenatori, preparatori, massaggiatori, impiegati e tutte le altre figure che lavorano per il club, non guadagna un euro da mesi. Negli ultimi giorni, poi, l’ambiente è stato messo a dura prova da una situazione pratica oggettivamente impossibile. Voci, trattative saltate, illusioni, speranze… ogni giorno è stato il contrario di quello precedente. In mezzo, appunto, quelli che lavorano per la Spal. Lì, in attesa, preoccupati, anche disperati, ad aspettare la notizia della salvezza mentre intorno soffiava il silenzio o il rumore delle contestazioni, l’incertezza o l’illusione degli affari fatti. Io, questi ragazzi o questi signori, queste ragazze o queste signore, li ho viste negli occhi martedì scorso o sentiti al telefono e tramite mail in questi mesi. Ho visto, tutti insieme, sentimenti nobili come passione – la vera forza che ha portato a meritare il titolo di “eroi” – ma anche paura e, ripeto, disperazione, preoccupazione, smarrimento e potrei continuare di questo triste passo. Quello che non è stato importante vedere nelle varie facce perché tutti gli spallini del mondo lo vedono nella realtà, è la serietà, è il coraggio, è la professionalità e anche qui potrei andare avanti a lungo con elogi tutti sentiti e altrettanto meritati.
Scrivevo qualche riga più su che Spal-Tritium è stata lo specchio di questa difficile e complicata e sofferta stagione che da un certo punto di vista, non vorrei essere frainteso, è anche bellissima. Secondo me il tifoso in generale, di una cosa ha sempre e comunque bisogno a prescindere dalle classifiche. Della fierezza. Dell’orgoglio di tifare per un gruppo di giocatori che, come si dice scioccamente e usando un lessico tipico del giornalista sportivo lobotomizzato, onorano la maglia. Penso ancora a domenica. In quel contesto già scritto e a tutti conosciuto, la Spal si prepara ad affrontare una partita che in caso di sconfitta ma anche di pareggio vuol dire giocarsi la salvezza quasi certamente ai terribili spareggi. La Spal, questa stessa partita, se la gioca con uno squalificato, cinque infortunati, un giocatore in condizioni precarie. La Spal – o quello che rimane della Spal visti i titolari che mancano – sempre questa partita, la gioca con la forza dell’orgoglio e poco altro e va pure in svantaggio. La Spal, questa partita già difficile da recuperare senza mezza squadra, la ribalta e la vince. Nella storia biancazzurra di giocatori ne sono passati una marea e di sfighe, ostacoli, complicazioni, difficoltà e pure di peggio se ne sono viste un anno sì e l’altro pure. Anche quest’anno. Eppure la Spal, questa Spal, non si arrende mai e aiutata dal suo pubblico – raramente come oggi così affezionato alla squadra e il perché nasce da tutto quanto appena scritto – riesce a farcela anche questa volta. Come premettevo sopra, al momento di scrivere questo elogio per nulla funebre, anzi, la tanto sperata salvezza societaria non è ancora conquistata. Nell’attesa e soprattutto nella speranza che questo avvenga presto, anzi prestissimo, quello che si sa già, invece, è che un tifoso spallino qualsiasi, in questo caso io, è orgoglioso come raramente è capitato, di questa squadra magnifica e di questo gruppo splendido. Di solito quando addirittura si agita lo spettro del fallimento il tifoso (sempre) qualsiasi si scoraggia, si distacca, fa altro. Invece no. Siamo tutti qui a trepidare e – nonostante la situazione – persino follemente a sognare. Non credo, per fare un esempio banale, di aver mai speso così tanti soldi come nell’ultimo mese tra scarpe, gadget vari, sciarpe, magliette, braccialetti tutti rigorosamente biancazzurri. E’ la passione, bellezza. Sì, certo, ovvio. Ma non quando l’aria che tira è giustamente piena di dubbi e paure. E invece no. Invece sono e siamo qui ad aspettare e sperare gonfi di spallinità come non succedeva da tempo. Merito di questi ragazzi e di tutti quelli che per il bianco e azzurro stanno facendo pazzie, miracoli e sacrifici. Ecco, a tutti voi, grazie. Davvero e di cuore, da un tifoso qualsiasi che ha cinquemilasettecentoquarantatré difetti e ha fatto e fa cinquecentosessantaquattromila errori ma, almeno questo, in quanto a spallinità e coerenza… veramente, lasciatemi stare. Se poi avrò anche la fortuna di continuare a vedere Arma al Paolo Mazza questa stagione, (ari)nonostante tutto, la conserverò tra le più belle della mia storia spallina dalla stagione 1977-78 a oggi.