Premessa doverosa. Senza le penalizzazioni la Spal, questa Spal, si sarebbe salvata facile e, anzi, arriverebbe tra le prime otto vincendo domenica a Foligno. Perché è stata costruita bene, perché è formata da ragazzi perbene e con qualità, perché ha un signor allenatore, perché è fatta da uomini seri, perché non ha mai mollato un secondo. Dimostrazione che la base c’è, che le scelte sono state buone anche se con un budget ridotto e che il futuro, se si sistemeranno le questioni societarie, potrebbe essere decisamente importante. Dice: colpa della società, allora? Certo, perché quando non paghi regolarmente sei dalla parte del torto. Che poi ci siano delle attenuanti non qualsiasi, da qui il mio essere ancora filo societario, è un altro discorso. Proprio come quello che voglio fare in questa puntata della mia rubrica. Un altro discorso, cioè.
Ci sono i nostalgici. Quelli che la Spal, per loro, è solo una scritta maiuscola rigorosamente con i puntini in mezzo. Sono rimasti indietro di quasi mezzo secolo ma tant’è. Poi ci sono i contestatori. Quelli che non ne vogliono più sapere di Butelli & C. e quindi non vanno allo stadio perché non si riconoscono in questa gestione. Ci sono anche quelli che vanno allo stadio, pochissimi, perché la Spal è la Spal a prescindere da chi siano dirigenti e giocatori. Il resto sono gli smemorati. Quelli che si sono scordati degli ultimi trent’anni. Trent’anni, ripeto. Trent’anni nei quali la squadra di calcio, l’unica squadra di calcio di Ferrara, ha visto la serie B di sfuggita una volta con un presidente, Donigaglia, che per arrivare lì ha fatto quello che ha fatto e ci sono stati processi penali a ribadirlo. Trent’anni nei quali tutta l’Emilia Romagna nel pallone ha fatto di meglio. Sono cambiati sindaci, amministrazioni comunali, presidenti (quasi tutti non ferraresi), direttori sportivi, generazioni di tifosi… è cambiato tutto tranne noi giornalisti (saremo noi a portare sfiga?) ma non è cambiato il nostro destino. Siamo falliti, abbiamo rischiato di fallire nuovamente e il pericolo non è ancora scongiurato, siamo retrocessi non mi ricordo neanche quante volte, siamo stati ripescati, abbiamo vinto pochissimi campionati e siamo stati sempre, o quasi, scusate il termine, nella merda.
Da queste considerazioni poco contestabili la provocatoria foto di copertina. Bla, bla, bla. Chiacchiere, cioè. Perché in mezzo a tutte le tipologie di tifosi, ovviamente tutti rispettabili, c’è una maggioranza purtroppo poco silenziosa ovunque tranne che allo stadio che definirei quella dei chiacchieroni. Quelli che non va mai bene niente, i denigratori a prescindere, quelli che tizio l’è n’asan e caio n’aldamar, che il presidente ics l’è un ladar e il presidente ipsilon n’ignurant ma si tratta di sentenze ribadite un giorno sì e l’altro pure sul listone, in un bar qualsiasi, difficilmente, appunto, allo stadio. Per me, che sono colpevole perché lavorando a quattrocento chilometri di distanza alla Spal vado ogni morte di papa non certo per mia volontà perché ci dormirei su quegli spalti, il punto è soltanto questo. Soprattutto ora che c’è, tanto per non farci mancare nulla, persino il rischio di non poter vedere la Spal al Mazza l’anno prossimo se non, addirittura, la possibilità di non iscriversi al prossimo torneo per questa folle normativa Uefa della quale abbiamo già scritto, da soli, in questi giorni.
Il punto, allora, è questo. Diamo pure per scontato che negli ultimi trent’anni chiunque abbia gestito il club, per essere buoni, sia stato un incompetente (e non è vero). Mettiamo anche che tutte le amministrazioni comunali non abbiano mai avuto a cuore le sorti del club estense (e non è vero nemmeno questo). Mettiamo quello che volete ma sono anni, per quanto mi riguarda esattamente trentuno, che sento dire e leggo ovunque una frase che adesso comincia a darmi fastidio. Siamo noi la Spal, si sente ripetere ciclicamente. Io lo penso davvero che “siamo noi la Spal”. Noi che soffriamo e stiamo male la domenica ma anche il sabato, che cerchiamo con ansia notizie sui biancazzurri, che da ogni parte del mondo seguiamo la nostra squadra, che compriamo gadget biancazzurri. Che siamo noi e non Butelli o Tomasi o Pagliuso o Donigaglia la “nostra” Spal ma poi che cazzo facciamo, noi che “siamo la Spal”? Andiamo allo stadio in cinquecento (tra poco ci supererà persino il Carpi) e ogni volta ci scagliamo contro il capro espiatorio di tutto per trovare un colpevole, un responsabile alla nostra brutta fine nel purgatorio del calcio professionistico. Io credo sinceramente che se siamo messi così non può essere soltanto colpa di una persona o di un’istituzione o di un giocatore o di un tifoso. E’ colpa nostra. E’ colpa di Ferrara. E’ colpa degli imprenditori locali e degli appassionati ferraresi. Di tutti tranne di chi continua, ogni giorno, a fare quel che può per la sua Spal e la domenica, sempre da trent’anni, va a seguire la sua squadra in casa o in trasferta.
Che sia calcio o politica, non si risolve una beata mazza (con la emme minuscola) a disertare, a criticare e basta, a farsi scoraggiare. Anzi. E’ proprio – ma l’avrò scritto tremila volte e tanto per essere chiari anche con la precedente dirigenza – quando ci sono i problemi che l’unica risposta scandalosa è quella di scegliere di non esserci. Per natura, estrazione, idee, personalmente rispetto chiunque ma sempre e soltanto se è in prima linea. A contestare o a tifare, a insultare o a sostenere. Saranno pochi questi spallini fatti così ma a loro va tutta la mia stima e agli altri tutta la mia, per continuare a essere buoni, la mia totale incomprensione.
Domenica, contro l’Avellino, gara comunque importante in vista dei playout, c’erano quattro gatti a sostenere quelli che vanno in campo. Un gruppo e due allenatori, Vecchi e Brescia, oltre a tutto lo staff, cioè, che dall’inizio della stagione, con tutte le difficoltà del caso, ha sempre fatto l’unica cosa che i tifosi, veri o chiacchieroni che siano, chiedono da sempre: onorare la maglia. Beh, io questa presenza insostenibile di due giorni fa la considero scandalosa. Lo scrivo perché lo penso. Che si contesti chi si vuole ma la serietà di Zamboni e compagni non può essere messa in discussione e andrebbe, invece, applaudita tutti i sacrosanti giorni. Adesso mancano novanta minuti prima degli spareggi decisivi. Per quello che conta vorrei lanciare un appello. A chi ama la Spal davvero, a chi pensa che questo acronimo sia di proprietà sua e della città, a chi se ne sbatte di chi comanda, a chi ha una passione reale: fate quello che potete per la vostra Spal ma fate. Basta esserci, per chi può, anche contestando, persino imprecando, addirittura urlando il proprio dissenso. Ma dal vivo. A Foligno e poi nei playout. Io, colpevolmente lontanissimo ripeto, ho provoto a farmi perdonare dando vita prima e alimentando poi questo sito tutto biancazzurro. Nel frattempo due domeniche di ferie per i maledetti spareggi le ho già chieste, nero su bianco. Sarà un’impresa ma non mi rassegno. Barcollo ma non mollo. Perché “i ragazzi han bisogno di noi”. Butelliani o Tomasiani, ultrà da stadio o da tastiera poco importa. C’è bisogno di tutti. Chiacchieroni e gufi (quelli che inverecondamente sperano nel fallimento!) compresi. Forza Spal. La Spal di tutti quelli che se la meritano, però, a prescindere da idee e simpatie e giudizi e nostalgie. Per tutti gli altri c’è il calcio minore, un bell’abbonamento alla pay tv, l’oblio e – magari – un po’ di silenzio. Perché – anche questo l’ho già scritto una marea di volte – come diceva Busi bisogna davvero avere le palle (anche) per prenderlo nel culo. (Ari)pardon. Ma soltanto per il linguaggio, non certo per le idee.