È stata inevitabilmente una giornata anomala per i tifosi spallini a Pavia: dalla notte in bianco per le conseguenze del terremoto, agli applausi riservati ai giocatori al triplice fischio dell’arbitro Pasqua di Tivoli. Nell’ampio settore dello stadio Fortunati hanno iniziato a cantare in dodici e hanno finito in ottanta. Effetti collaterali di metodi organizzativi e filosofie diverse, da una parte i club e dall’altra il nucleo pulsante del tifo della Ovest.
Gli ultras all’inizio scelgono di rimanere fuori come annunciato alla vigilia e fanno intuire la loro presenza solo nel minuto di raccoglimento prepartita, quando oltre le mura dello stadio si sentono rumorosi i cori della curva formato trasferta. Tutto particolare anche il rituale mattutino, con i tifosi ferraresi accolti quasi alla stregua di profughi nei bar e ristoranti della città a causa delle preoccupanti notizie sul terremoto. I pavesi chiedono, si informano e infine fanno gli auguri per il futuro, salvo ricordare che sugli auguri riguardanti la partita non si transige. La solidarietà è una cosa, ma il pallone impone di mantenere il campanilismo.
Al primo corner guadagnato da Fortunato sotto il settore ospiti la sparuta minoranza di tifosi spallini prova a intonare il tradizionale “Forza Spal” per propiziare il vantaggio, o quantomeno certificare la propria presenza. Missione non riuscita, almeno per quanto concerne il primo dei due propositi. In tribuna durante l’intervallo ci si chiede cosa ne sia della folta pattuglia di supporter rimasta fuori: entreranno? Stanno cantando? Non si riescono a reperire informazioni, il fitto vociare del pubblico locale impedisce di sintonizzarsi sulle frequenze dei cuori biancazzurri della Ovest.
Poi al decimo della ripresa la svolta: un ragazzo entra nel settore come una scheggia brandendo una bandiera con l’antico ovetto. È il segnale. Alla spicciolata e con il consueto carico di contagioso entusiasmo seguono tutti gli altri. Arriva un gigantesco bandierone, viene stesa una pezza dei tifosi della Carrarese, accorsi per dare man forte e ribadire l’amicizia con i tifosi ferraresi. Parte l’ouverture tradizionale: “Eh alé alé alé alé alé alé la Spaaaaaaal…” e come per una corrispondenza fisiologica da lì in poi la Spal torna padrona della situazione, fino al fischio finale. Il grosso del lavoro è fatto, Bedin, Zamboni e Capecchi salutano a braccia alzate regalando le loro divise. Ora serve l’ultimo sforzo, tra una settimana, tutti insieme, nel tempio del Paolo Mazza che deve per forza di cose essere, se non riempito, almeno meno desolante del solito.