L’UMILTA’ DI BOMBER DE BRASI: SIAMO POVERI MA FELICI, A CASTENASO HO LA FORTUNA DI VIVERE IN UNA GRANDE FAMIGLIA

Davide De Brasi, l’uomo di punta della sorpresa Castenaso. Terzo campionato tra i felsinei, bolognese doc, i primi calci dati proprio con la maglia rossoblù insieme a Gigi Della Rocca, Claudio Terzi, Massimo Loviso e Nicolò Consolini. Attaccante abile e veloce, vede gli spazi come pochi e sa sfruttare al meglio la possibilità di eludere gli avversari giocando, come si dice, sul filo del fuorigioco. Alla sua seconda stagione in carriera in D, sono già cinque i centri messi a segno dal calciatore biancarancio, ormai prossimo ai ventotto anni, da sempre abituato a finire in doppia cifra, come testimonia il suo curriculum di tutto rispetto a spasso tra Eccellenza e Promozione. Ma il suo è un bottino da condividere, come ci spiega con grande umiltà, con un gruppo di amici vero, una seconda famiglia con la quale staccare la spina per il puro piacere di farlo dalla quotidianità del lavoro: è questa la vera forza del Castenaso, un qualcosa che va aldilà dell’aspetto tecnico e, forse, anche delle ambizioni. La Spal è avvisata. Domenica, al “Kennedy”, ci sarà da soffrire. Perché il Castenaso punta a un solo risultato: la vittoria. 

Partiamo da qualche dato: diciannove punti che, senza quell’errore tecnico, alla prima giornata, contro l’Atletico Piacenza, sarebbero venti, un quinto posto strameritato in classifica, il campo di casa mai violato senza dimenticare che, con la Bagnolese, avete raggiunto l’ottavo risultato utile consecutivo. Infine, è da due mesi che non conoscete la parola sconfitta. E’ il caso di dire che ci state prendendo gusto a rimanere lassù, in alta quota?
“Sinceramente non ci guardiamo. Fa piacere essere nel gruppo delle favorite ma non dobbiamo mai perdere di vista il nostro vero obbiettivo stagionale, che sono i quarantatré punti il prima possibile. E’ vero che la nostra unica sconfitta sul campo è stata, sin qui, quella di Budrio, con il Mezzolara che ci ha battuto per 3 a 0 alla terza di campionato: da lì in poi nessun’altra formazione ci ha dominato e non siamo mai stati inferiori ai nostri avversari. Siamo al primo anno in D, è una categoria nuova per molti di questi ragazzi, anche per quanto mi riguarda: benché sia tra i più anziani, per militanza, del Castenaso, questa è soltanto la mia seconda stagione. Ci piace scendere in campo con il sorriso, prima di ogni partita è la spensieratezza quello che fa la differenza, la comunione di vedute fuori e dentro al rettangolo di gioco. Solo chi vive quotidianamente la nostra realtà sa di che cosa parlo, è un’alchimia magica, di valori veri, che vanno oltre il risultato al novantesimo. E’ tutto troppo bello e troppo distante dal calcio tanto chiacchierato tutti i giorni sui giornali il nostro piccolo mondo. Siamo un’oasi felice e un grazie immenso va a tutta la società, ai dirigenti, al Presidente, all’allenatore e a tutti quelli che ci hanno permesso, sin qui, di vivere questo gioco nella maniera migliore. I risultati sono figli della nostra serenità, della voglia di stare insieme e di fare gruppo tra di noi. E’ bello stare lassù, finché dura io non dico basta di sicuro, essere considerati tra le sorprese del girone non è una brutta sensazione”.

Se ti chiedessero di racchiudere in una sola parola il Castenaso tu cosa diresti?
“E’ una famiglia, un insieme di persone che hanno sposato l’idea di fare calcio in questa dimensione insieme a tutti i dirigenti. Siamo una cosa sola e la forza reale della nostra squadra è proprio questo blocco granitico, inscindibile: ci spendiamo l’uno per l’altro, siamo praticamente sempre insieme con le rispettive fidanzate, anche loro trascinate dentro questa avventura grazie al nostro entusiasmo contagioso. Ci sono migliaia di aneddoti che racchiudono Castenaso, dalle feste tra di noi una volta al mese, alla domenica sugli spalti, quando, i nostri pochi sostenitori, applaudono e incitano tutti dall’inizio alla fine senza preoccuparsi minimamente degli avversari. Cose che succedono solo qui, forse, ma è proprio a Castenaso tanti di noi hanno trovato il calcio che avevano sognato sin da bambini. Per questo, alla fine, penso non ci manchi nulla. Ognuno di noi ha trovato, qui, la sua dimensione, la sua fetta di felicità che lo fa star bene e tranquillo. La traduzione sul campo di tutto questo è che il singolo rende e corre più degli altri. Di limiti ne abbiamo tanti, il primo è il budget: sappiamo che qui non potremo mai avere giocatori come quelli della Pistoiese, della Lucchese o della stessa Spal. Ma a noi tutti sta bene così, non abbiamo l’obbligo di vincere il campionato, abbiamo solo il dovere di stare bene tra di noi, divertirci e salvarci il prima possibile”.

La Spal, da questa stagione, affronta un campionato atipico sotto molti aspetti: tanto per toccarne uno, gli avversari stessi, nella maggior parte dei casi, non vivono di solo calcio ma, dietro l’impegno domenicale, c’è una vita vera, diversa, fatta di un lavoro, la vera e unica fonte di guadagno.
“A parte la nostra stella, il centrocampista bulgaro Chomakov che ha sempre fatto il professionista e la cui esperienza per noi è fondamentale, il Castenaso non vive di calcio. I più giovani studiano e vivono in famiglia, i più anziani hanno un lavoro, orari duri, svegliatacce di prima mattina paurose ma, nonostante tutto, agli allenamenti non manca mai nessuno. Ti faccio un esempio. Tutti i giorni alle sei inizia la mia giornata e finisce dodici ore dopo: nove ore di seguito, in piedi, come operaio addetto alla manutenzione in un’azienda di vernici per il legno di Minerbio, scandite dalla sola pausa pranzo. La mia vita vera, diciamo così, è questa, è il mio lavoro. Vale per me e per tutti gli altri: addirittura, ce ne sono diversi di miei compagni che si fanno chilometri e chilometri per venire ad allenarsi alla sera. La società è stata bravissima, ci è venuta incontro senza indugio, consapevole che non avremmo potuto vivere con i soli rimborsi spesa del campionato: alle diciotto e trenta inizia l’allenamento e in quelle due ore respiri l’aria di casa, stacchi la spina dai casini della giornata e trascorri con i tuoi amici una serata diversa dando due calci a un pallone. Io la vivo così e mi piace. Poi, non dobbiamo dimenticare che, pur di giocare in D, abbiamo rinunciato in estate, tutti d’accordo, a parte dei rimborsi spese: ci siamo praticamente autotassati pur di esserci e vivere questa esperienza tutti insieme, come abbiamo espressamente chiesto al Presidente. E così è stato”.

Un paio di episodi che fanno capire il rapporto tra voi e il Castenaso e il gioco del calcio.
“L’anno scorso ad Alfonsine, prima della finale di Eccellenza contro il Misano, eravamo tutti allegri e spensierati al ristorante, non c’era tensione, eravamo tranquilli come se nulla fosse, perché siamo noi così, il che non significa che prendiamo gli impegni a cuor leggero, i risultati del resto lo dimostrano, semplicemente è la nostra filosofia di gruppo. Ci piace dare la giusta importanza alle cose; a Rosignano, quest’anno, sei ore di trasferta in una giornata sola che non ti passano più, in pullman ho preso le redini della situazione e, microfono alla mano, ho trascinato i miei compagni e abbiamo iniziato a cantare tutti insieme. Anche questo è il Castenaso”.

Che giocatore incrocerà, domenica prossima, la difesa spallina?
“Forse il giocatore più “ignorante” di tutti, nel senso buono del termine, ovviamente. Non sono altissimo, non sono uno che tiene palla e fa salire la squadra o ti inventa i gol da trenta metri. Non sono diventato, come invece mi sarebbe piaciuto, Trezeguet. Mi piace attaccare gli spazi in profondità, giocarmela con i difensori avversari e l’assistente di linea sul filo del fuorigioco, la mia battaglia domenicale è questa. Sono fondamentalmente un opportunista, aspetto l’errore che tanto prima o poi fanno tutti in partita, io devo essere bravo a trovarmi nel punto giusto al momento giusto e buttarla dentro. A parole è facilissimo, con i fatti è tutta da vedere, la Spal, poi, è una delle signore squadre di questo girone e ha difensori esperti. Sarà dura”.

Una carriera trascorsa, sin qui, tra i campi spelacchiati di Promozione e Eccellenza dopo un inizio nelle giovanili del Bologna. Rimpianti?
“Ho iniziato a Pianoro prima che arrivasse la chiamata del Bologna con cui ho poi fatto due anni di Giovanissimi: poca roba, gli altri crescevano nel fisico, io rimanevo sempre uguale, era chiaro che nel calcio non avrei mai sfondato, ma sono riuscito a farmene presto una ragione. Ho giocato in quel Bologna che ha partorito i vari Della Rocca, Terzi, Loviso, Consolini o lo stesso Sacenti che ha speso la sua carriera tutta tra i professionisti ma che adesso è finito a Castelfranco e ritroverò da avversario. Sono ritornato a Pianoro e ci sono rimasto fino al 2006. Lì ho incontrato una persona speciale, importante, che ha creduto in me, si chiama Gianni Mazzoni e di professione fa l’allenatore. A sedici anni ha avuto il coraggio di buttarmi in Prima squadra, ho fatto il doppio salto dagli Allievi senza mai giocare una volta con la Juniores. Mi ha insegnato tanto e dato tutto quello che poteva: mi ricordo che, finito l’allenamento, rimanevo sempre più degli altri insieme al capitano, che era il difensore centrale della squadra, per imparare a proteggere il pallone, ad allargare le braccia, a fare possesso. Movimenti che oggi ripeto ogni domenica sul campo. Una persona speciale che ha pagato di tasca sua per portarmi con lui al Malba, dove sono rimasto una stagione e mezza, una volta lasciata la Pianorese. Diciamo che nei primi sette, otto anni, la media è stata di quindici, diciotto reti  a stagione e molto spesso sono anche venuto nel ferrarese, da avversario, tra Comacchio, Copparo e contro la Giacomense”. 

A ventitré anni, poi, ecco la chiamata dalla serie D: il Castel San Pietro bussa alla porta e Davide De Brasi dice sì.
“Ho iniziato a lavorare che avevo diciotto anni. Quando è arrivata la proposta, vista l’età, mi sono detto che certi treni, forse, passano solo una volta. E io l’ho preso e per questo ho dovuto licenziarmi. La sfortuna però, era dietro l’angolo: è stata una stagione travagliata, ho avuto diversi guai fisici, alla fine ho giocato e segnato poco. Pensavo, ci ho sperato fino all’ultimo, che il Castello mi avrebbe dato un’altra possibilità. Credevo nella riconferma. Invece mi sono ritrovato svincolato e disoccupato. Da lì ho ricominciato. Sono stato a Massalombarda, non un’esperienza esaltante dal punto di vista degli infortuni, ma qualcuno ancora si ricorda di me e dei gol che ho fatto, già questo mi fa molto piacere, vuol dire che non è stato un anno da buttare. E per finire eccomi qui, al Castenaso, per il terzo anno di fila dopo aver segnato ventisei reti l’anno scorso in Eccellenza”.

A Castello, aldilà della delusione tecnica, hai avuto modo di stringere una bella amicizia con un attaccante che adesso gioca in B.
“Con Antonio Picci (attaccante del Brescia n.d.r.) è nato da subito un bel rapporto, un’amicizia spontanea: lui è di Bari e quella era la sua prima esperienza lontano da casa. L’ho aiutato ad ambientarsi, diciamo così, la cosa è stata più semplice grazie al fatto che entrambi eravamo fidanzati e quindi uscivamo tutti insieme e pian piano abbiamo instaurato un legame che dura ancora adesso. Sabato scorso, tanto per dire, sono andato a trovarlo a Cesena dove giocava con la sua squadra e mi sono fatto regalare la sua maglia”.

Spal, ma non solo, sul mercato alla ricerca di una punta. Se domani bussasse alla tua porta una, per così dire, grande di questo campionato, tu cosa risponderesti?
“Che ho imparato sulla mia pelle l’importanza di avere un lavoro e tenerselo stretto. Fortunatamente ce l’ho e prima di lasciarlo deve arrivare una di quelle offerte che mi garantiscono un guadagno vero e per un certo numero di anni. Ho ventotto anni, parte della mia carriera l’ho fatta e non ho la smania di dover dimostrare chissà cosa. Mi piace il calcio del Castenaso, che si fa a Castenaso, come si fa a Castenaso e con i miei compagni del Castenaso. Questo è tutto per me. E’ chiaro che per un calciatore è gratificante sapere di essere tenuto in considerazione, che c’è sempre, nascosta, l’idea che possa capitare anche a te un’occasione irripetibile, di quelle che ti cambiano la vita. Ma non ne faccio una priorità: la Spal, come la Pistoiese o la Lucchese, è una società che ha fatto la storia del calcio e fino all’anno scorso era addirittura due piani sopra e, con i nomi che ha, si vede che ha tutte le intenzioni di abbandonare la D il prima possibile”.

Conosci qualcuno dei tuoi prossimi avversari?
“Conosco soltanto Marchini, siamo usciti un paio di volte con altri amici in comune, tra cui Claudio Terzi, ma non siamo rimasti in contatto. So che mancherà per squalifica domenica e, vista la qualità che ha e anche la capacità di decidere da solo le partite come domenica scorsa, possiamo dire tranquillamente che ci siamo tolti mezzo problema con la sua assenza. Ma la Spal, lo ripeto all’infinito, è una grande squadra in generale e sappiamo che per non uscire sconfitti dal confronto dovremo fare la partita perfetta, noi ci teniamo tantissimo a fare bella figura”.

Un pronostico per domenica?
“Mi auguro sia una bellissima partita, giocata su buoni ritmi, con qualche gol così il pubblico si divertirà. E poi, ovviamente, al novantesimo, la vinciamo noi! (ride)”.

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