Mercoledì ventotto ottobre. Vinicio Paris, nel giorno del suo ventottesimo compleanno, manco a farlo apposta, tra le tantissime chiamate d’affetto ricevute da ogni parte d’Italia per questo giorno speciale, decide di farne una lui, in sede. E’ il patron Roberto Benasciutti l’interlocutore che alza il ricevitore dall’altra parte. Si danno un appuntamento, c’è qualcosa da sistemare, nulla di preoccupante, a quanto pare: si parla di un trasloco imminente, forse, con Paris che, dopo l’addio di Mazzoli, sarebbe stato sistemato dall’alloggio singolo a Pontelagoscuro, in un altro appartamento, dove già vivono Calistri e Rosati e dove, appunto, aveva trovato posto lo sfortunato esterno romagnolo prima del taglio. Ma Vinicio, quando arriva, si ritrova davanti a un’altra verità, un colpo di scena. E la sua storia con la Spal finisce, con grande rammarico, praticamente nel momento più bello della stagione dei biancazzurri.
Dieci presenze in tredici incontri, poco meno di cinquecento minuti effettivi passati in campo, due reti, tanto belle quanto importanti contro Formigine e Rosignano, nell’ormai scordato mese di settembre, dopo un inizio faticoso. Il ritratto del Paris in biancazzurro è questo: per cinque volte sostituito, per quattro subentrato a gara in corso, si conta appena una partita giocata dall’inizio alla fine (proprio a Rosignano) prima di un costante calo, sia per l’arrivo di Laurenti, sia per problemi fisici più o meno fastidiosi che lo hanno costretto ad allenarsi con scarsa continuità. Che non sia un fenomeno non ci piove. Che non sia un giocatore che da solo alteri gli equilibri di una partita pure. Ma la decisione, però, spiazza e non poco l’esterno avezzanese che, prima di affrontare il lungo viaggio di ritorno verso casa (quasi cinquecento chilometri n.d.r.) ci tiene a salutare la città, i compagni, i tifosi e tutte quelle persone che in questi tre mesi hanno fatto parte integrante della sua quotidianità. Un caloroso arrivederci e un sincero in bocca al lupo a tutti i suoi compagni di squadra.
“Me ne vado e non posso dire di esserci rimasto bene. Nell’aria avevo il sospetto che ci fosse qualcosa, qualche voce mi era arrivata ma pensavo fosse solo una maniera come un’altra per spronarmi a dare di più. Invece adesso vado in sede, sistemo le ultime cose e sbrigo le pratiche che sono rimaste. Ieri (giovedì per chi legge n.d.r.) ho salutato i miei compagni, ho preso i miei effetti personali dal campo e da domani si ricomincia”. Sono le undici e cinquantotto minuti di venerdì, è l’ultimo giorno di novembre e piove a dirotto quando Vinicio gira le chiavi della sua Audi ed è ormai pronto a partire verso l’Abruzzo. “La cosa che mi fa più male è che umanamente non sono riuscito a legare con il patron Benasciutti, o forse è il calcio che è fatto così ormai e bisognerebbe non farci nemmeno più di tanto caso”. La voce è rassegnata e triste, ci sono lunghe pause tra una frase e l’altra. Vinicio, ora lo si può dire senza alcun riserbo, era uno dei pilastri dello spogliatoio biancazzurro, ma nemmeno questo è servito per la sua permanenza. “Ho ventotto anni, qualche anno di C l’ho fatto, dove sono stato mi hanno sempre voluto bene tutti. Non sono un fenomeno, sarei altrove altrimenti, non sono uno che si monta la testa, che si crede di essere un titolare inamovibile. Il gruppo viene prima di tutto e questo è un gruppo importante. Lascio la parte più bella, legami importanti, non solo con i compagni. Di me Ferrara ha sentito solo il profumo, è da ieri che non so quante persone mi hanno chiamato per ringraziarmi, per salutarmi. Sì, Ferrara mi mancherà”. All’apparenza scorbutico e presuntuoso, quasi irriverente, visto da lontano o per strada, Paris incute quel timore e quella diffidenza che poi, appena inizia il dialogo, scompaiono immediatamente. E lo sanno bene anche i ragazzi più giovani della rosa spallina. “Ieri sera (giovedì per chi legge n.d.r.) ci siamo ritrovati tutti insieme per l’ultima cena. Io ne ho salutati tanti di compagni, questi momenti li conosco bene, a volte tocca a te, altre sono gli altri a venirti a dire arrivederci. E’ il calcio, ci fai l’abitudine. Credi di essere sempre pronto, invece, ogni volta è diverso. Ieri sera mi stavano facendo commuovere e io non sono uno che esterna le emozioni, quelle me le tengo per me, mentre me ne vado a casa, ad esempio, lo so già che mi incazzerò, che sbollirò un po’, ma lo farò da solo. Ho visto ragazzi di diciotto anni con gli occhi lucidi, ho visto Gallo e Massaccesi a testa bassa, ho abbracciato forte il capitano, Edo, Calistri, Alex, mi sono intrattenuto un po’ di più con Rocchi che domenica scorsa mi ha dedicato il gol, l’avevo caricato a mille per tutta la settimana e gliel’avevo pronosticato che sarebbe riuscito a sbloccarsi. Con lui avevo legato parecchio”. E poi c’è il pensiero per Shqypi, il giovane esterno mancino (il ruolo naturale di Vinicio n.d.r.) a cui Paris non ha mai fatto mancare il proprio sostegno dall’inizio del campionato: “A diciotto anni hai in testa solo di divertirti, delle cazzate, non ci pensi ai valori, il tuo cervello non è ancora maturo abbastanza. Lui è diverso, è molto critico con se stesso, troppo, forse. E questo lo penalizza. Se si libera di certi mostri e di certe pressioni, vedrete che sarà una bella, scoperta anche per la Spal, migliora a vista d’occhio, di settimana in settimana”. Le ultime battute sono per Ranzani e Sassarini, non prima di aver lanciato una frecciatina d’orgoglio al patron Benasciutti: “Doveva alleggerire il monte ingaggi, si è capito che in queste condizioni avrebbe fatto fatica a pagarmi. Siamo rimasti novanta minuti nel suo ufficio, vista dalla sua parte è ineccepibile, il suo discorso non fa una grinza e io lo apprezzo perché è stato onesto, me l’ha detto chiaramente e io posso già mettermi alla ricerca di un’altra squadra. Per venire qui ho rifiutato molti soldi da piazze, però, meno blasonate. La Spal è storia, era, rimane e sarà una vetrina importante per chiunque in questa categoria. E magari qualcuno che accetta di mettere persi tre o quattro rimborsi, chiamiamoli così, in cambio della vittoria del campionato si trova sicuramente. Io vengo da troppo lontano però, l’età è quella che è, quello che dovevo dimostrare l’ho dimostrato e non credo che, alla fine, il gioco valga la candela. Io so giocare al calcio e vivo per quello, è il mio mestiere, il mio futuro non posso costruirlo con i sogni e le speranze. Già in estate mi avevano ribassato il contratto rispetto alle cifre che mi avevano proposto all’inizio con l’accordo di massima che ci saremmo rivisti intorno a questo periodo per chiarire la situazione. Ed eccoci qui. Ho salutato Benasciutti e gli ho augurato di vincere ma gli ho anche detto che una squadra per vincere ha bisogno di quindici, sedici uomini titolari non di undici. E se si fa male qualcuno? Lui non mi ha risposto. Umanamente non siamo entrati in sintonia. Pazienza. Di Ranzani e Sassarini non posso che parlare bene: due professionisti che mi hanno apprezzato, come giocatore ma soprattutto come uomo. Mi hanno detto arrivederci e questo vuol dire tutto per uno come me. Se fosse stato per loro io sarei rimasto qui”. E poi gli ultimi pensieri in libertà: “Grazie all’affetto di Salvatore (Diolosa, aiuto magazziniere dei biancazzurri n.d.r. ) che mi ha persino chiesto se poteva rubare il numero dalla bacheca pur di continuare a sentirci e non perderci di vista, a Livio (Zecchi n.d.r.) che è l’anima della Spal, a Sergio (Pesci, il fotografo n.d.r.), con cui avevo un rapporto speciale, senza dimenticare i ristoratori dell’Archibugio e del Pulcinella e tutti quei ragazzi della Città del Ragazzo. Un pensiero affettuoso, infine, anche a Mauro e Gianna del Bar Caffè Ristretto, le ultime persone che ho salutato, ma tra le prime che porterò insieme a me nei ricordi di questa esperienza”. Si ferma Vinicio, guarda l’orologio, c’è un pranzo di lavoro, dice, (con qualche società probabilmente) a metà strada. E’ ora di partire ma c’è il tempo per un’ultima battuta: “Non so quante persone non ho salutato. Di solito succede quando prima o poi ti ritrovi. Aspettiamo che il destino decida quando succederà di nuovo”. Piove a dirotto dal cielo sopra Ferrara e l’acqua che scivola sul lunotto si confonde con l’ultimo sorriso di Vinicio. Amarezza e rassegnazione si leggono negli occhi di un ragazzo di ventotto anni che il calcio lo conosce fin troppo bene e con cui, negli anni, ha imparato a convivere e farci l’abitudine.