L’AMAREZZA DI CAZZAMALLI, IL GRANDE EX: FERRARA E’ STATA L’OCCASIONE PIU’ IMPORTANTE DELLA MIA CARRIERA. NON DOVEVA FINIRE COSI’

Alessandro Cazzamalli è il grande ex della partita di domenica prossima in programma al “Garilli”. Classe 1979, dopo un’estate trascorsa ai margini del mercato e più in generale, di un sistema che, complice anche la crisi economica, chiede sempre di più, a gran voce, l’utilizzo dei calciatori più giovani, prima di gettare l’àncora a Piacenza, sponda Atletico, dal 2008 a gennaio del 2010 è stato un calciatore della Spal: quarantacinque partite e tre reti in tutto recita il suo curriculum, un primo anno vissuto da leader indiscusso per il gigante buono del centrocampo spallino, prima di essere pian piano relegato ai margini, preludio a una cessione, a dirla tutta, mai digerita fino in fondo, che ancora oggi fa tanto male. Il martello della mediana spallina, come ci piaceva chiamarlo, non è mai stato un tipo particolarmente chiacchierone: misurato e tranquillo nelle parole e nei modi fuori dal campo, alla domenica, invece, eccolo trasformarsi completamente e lasciare sciolte le briglia della sua indomabile potenza, che tanto male fece al Padova il 2 novembre del 2008. E con Ale, che torna dopo due anni a parlare di Spal, ripartiamo proprio da quel giorno.

Era un lontano novembre di quattro anni fa: “Cazzamalli per tutti”, titolava un nostro articolo che, di fatto, ti lanciava di diritto a entrare nel cuore di una squadra e di una tifoseria che stavi conquistando a suon di prestazioni eccellenti. Avevi appena sotterrato il Padova sotto la “Campione”, in una stagione in cui da ripescati, sfioraste addirittura gli spareggi promozione per una manciata di punti. Poteva essere un trionfo. E poi è finita, invece, che per un paio d’anni, di Spal, non ne hai più voluto parlare.
“Ferrara è una di quelle ferite che non si rimargineranno più. Per questo ho rifiutato di parlare negli anni scorsi. Ho trascorso una stagione bellissima, ho tanti ricordi e ancora adesso tengo contatti con qualcuno dei miei ex compagni, come Guidone (Ghetti n.d.r.) e Paolino (Rossi n.d.r.). Che dire, in carriera non mi era mai capitato di essere considerato un giocatore che remava contro nello spogliatoio o che creava malumore. Sono finito inspiegabilmente nel partito dei dissidenti e la cosa mi ha fatto male. O forse bisogna rendersi conto che questo è il calcio. E basta”.
La tua amarezza, si sente, è ancora grande.
“Guarda, fosse per me, sarei ancora lì. Ti dirò di più, se qualcuno si fosse ricordato di me, quest’estate, sarei tornato di corsa. La Spal è stata la mia unica e vera grande occasione di una carriera modesta. E’ lì e soltanto lì che ho conosciuto il calore di un tifo che la domenica, da solo, ti trascinava e sapeva come tirare fuori il meglio dai singoli giocatori. Doveva finire diversamente. Sto ancora aspettando che mi dicano in faccia che ero uno che spaccava lo spogliatoio”.
Per chi non fosse a conoscenza della faccenda la riassumiamo in due parole: l’arrivo di Notaristefano, quell’anno, coincise con l’allontanamento, nel mercato di gennaio, di Bracaletti, Centi e Cazzamalli, tutti giocatori considerati, dallo staff tecnico di allora, destabilizzanti lo spogliatoio. Ufficialmente si parlò, come da prassi, di motivi tecnici anche se, qualche tempo dopo, fu Notaristefano stesso a confermare i problemi interni aggiungendo però che dei tre, Cazzamalli, era quello che pagava il fatto di essere il più influenzabile. A te la società cosa disse di preciso?
“Nulla. Né il presidente Butelli, né il direttore Pozzi, né l’allenatore, se non che dovevo andare via. La versione che hai raccontato tu è quella che conosco anche io. Si vede che il calcio è questo, non penso di dover aggiungere altro, non mi va nemmeno. Mi è un po’ passata, non del tutto, è chiaro. Ma con il tempo ho capito che bisogna essere pronti anche a queste cose”.
Sul campo lasci tre gol, belli e importanti e sempre contro squadre venete. Quello di Verona fu splendido. 
“E’ vero, una strana casualità. Il gol al Verona, sotto l’incrocio, al “Bentegodi”, lo ricordo benissimo. Fu una serata magica, fortuna ha voluto che ci fossero anche le telecamere a trasmettere in diretta la partita; l’altro gol, con il Padova, lo segnai sotto la curva. Fu una rete decisiva in un momento importante della stagione perché, da ripescati, ci stavamo avvicinando sempre di più a grandi passi in testa alla classifica; l’ultima rete la segnai, sempre in casa, con il Venezia, un mese prima della disfatta contro il Cesena”.
Quello 0 a 1 firmato da Schelotto per i romagnoli, oggi tra l’altro titolarissimo in A con la maglia dell’Atalanta, fu uno dei tanti esami di maturità che quella Spal, a differenza di questa, non riusciva mai a superare.
“Probabilmente, quel giorno, perdemmo il treno dei playoff proprio quando sembrava che ormai tutto fosse deciso. Non avevamo fatto un grande girone di ritorno, è vero, ma avevamo appena vinto a Novara, sotto un diluvio torrenziale, con un gol del solito Arma, una partita per nulla facile. Loro in due anni sono poi arrivati in A, con la stessa dirigenza. In casa contro il Cesena, forse, ci sarebbe bastato non perdere. Saremmo andati a Lecco più sereni, tranquilli. Invece andammo a completare l’opera al contrario, uscendo addirittura sconfitti per 3 a 1”.
Inghiottito il boccone amaro, a mente fredda, con più calma e razionalità ti sei chiesto cosa sia potuto succedere a Ferrara?
“Se torno indietro con la memoria non c’è molto da dire, non vedo nulla di così poco chiaro: c’è chi prova a fare calcio, chi investe e tanto, ma se resti da solo poi fai fatica ad andare avanti. Io, ad essere sincero, non ho mai avuto la sensazione, sin dal mio arrivo, che le cose andassero così bene come magari venivano descritte. Ma ci sta, quando sei all’inizio, trovarti anche in queste condizioni. Sai quando e come inizi, non sai mai però, strada facendo, cosa puoi aspettarti, gli ostacoli che trovi. Bisogna essere pronti a qualsiasi situazione. Che il presidente fosse in difficoltà era palese e noi lo sapevamo. Ce lo aveva detto, a tutti, che avrebbe avuto bisogno di un sostegno che però tardava ad arrivare. Ho sempre avuto il sentore che l’impegno in quella società, per mettere a posto le cose, ci fosse eccome. Io ho preso tutto quello che mi spettava, sono andato via senza dover rincorrere nessuno. Ripeto, è il come mi hanno mandato via che mi ha fatto male, non il fatto che mi hanno mandato via”.
Dopo Ferrara, sembra un caso paradossale del destino ma, dove sei stato tu, poi, sono puntuali arrivati altri fallimenti o situazioni societarie non particolarmente felici.
“Sì, è così, Rodengo, Savona e Pergocrema, tanto per citare l’ultima squadra in cui ho militato. Situazioni decisamente complicate. Il Pergocrema non c’è neanche più, o meglio, adesso ha acquisito i diritti del Pizzighettone ed è tornato a chiamarsi con l’antica dicitura di Pergolettese e gioca in D. Se mi avessero voluto, forse, avrei continuato in D con loro, anche perché vivo a Crema”.
E invece eccoti a Piacenza, sull’altra sponda, nella parte meno nobile e riconosciuta, calcisticamente parlando, della città: con la Lupa, che invece milita in Eccellenza, come vivete questo dualismo?
“Mi ha voluto il presidente, Scorsetti, cremasco come me, insieme a Tacchini. Mi hanno dato fiducia, si sono ricordati che c’ero anche io a settembre. Ho colto l’occasione e ho firmato, una scommessa molto stimolante, devo ammetterlo, anche se la D la conosco bene, dal momento che l’ho fatta diversi anni fa a Palazzolo. Per quanto riguarda il dualismo io non lo vivo proprio: tutti i giorni faccio la spola da Crema con altri miei compagni. Là i giornali di Piacenza non arrivano e io non li leggo e non so cosa dicono di preciso”.
Stagione importante, la vostra, fino a questo momento.
“Sicuramente, non era nei nostri pensieri, a questo punto della stagione, essere lassù. Finché dura e ci divertiamo, perché non crederci? Il gruppo è molto ben assortito, ci sono giocator esperti come Colicchio, Fulcini, io, Matteassi e Nicolini, altri meno ma in cerca di rilancio come magari il bomber Piccolo e giovani molto interessanti come Boari, Pozzi, Bignotti e Jakimowsky. C’è tanta tranquillità intorno a noi, il nostro pubblico è di duecento persone circa, non ci sono pressioni, c’è il piacere di stare insieme e di condividere un’idea diversa di fare calcio in una città blasonata in un girone di assoluto spessore”.
Pur di giocare contro la Spal, diffidato, hai preso l’ammonizione e saltato chirurgicamente la trasferta contro il Forcoli di domenica scorsa: dobbiamo attenderci la cosiddetta partita perfetta dell’ex dal dente avvelenato?
“Ma no (ride), io non ce l’ho con nessuno e contro la Spal non ho nulla, davvero. Penso invece che sarà bello vedere ancora una volta i tanti tifosi che sono sicuro verranno a sostenervi e rivivere, da spettatore questa volta, un po’ di quelle emozioni di quel periodo”.

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