VECCHI E NUOVI COMUNICATI: TRA DIFFERENZE, INTERROGATIVI E UNA VERITA’ SCOMODA DURA DA ACCETTARE

Alla fine è successo, di nuovo. Nella sala stampa del Paolo Mazza è sembrato di rivedere la stessa identica scena dell’anno scorso in via Copparo, con poche differenze significative. È cambiata la gestione, ma la sostanza sembra essere rimasta immutata. Tutti i giocatori riuniti dietro a un tavolo per esternare il proprio disagio riguardo a una situazione societaria divenuta ormai insostenibile. Stesso copione: un comunicato accuratamente preparato, sguardi perlopiù verso il basso, i dirigenti accostati alla porta a prendere atto di una situazione che conoscono fin troppo bene.

Poco più di un anno fa Davide Marchini sedeva dietro a Stefano Vecchi mentre l’allenatore leggeva le sue riflessioni sul drammatico stato gestionale della Spal 1907. Ieri il capitano è passato in prima linea, come d’altronde è da tempo e non solo in campo, per farsi portavoce di un gruppo arrivato al limite della sopportazione. Dal primo campanello d’allarme, lo sciopero dagli allenamenti del 13 febbraio, sono passati poco più di quaranta giorni in cui da un lato la società ha provato a gettare acqua sul fuoco (guadagnano almeno un po’ di tempo) e dall’altro i giocatori hanno momentaneamente accantonato la tentazione di rendere pubbliche le loro ansie e i loro problemi in nome della ragione di stato. Anzi, di risultato. Il tutto però è servito solo ad acuire il divario tra le due parti: la lettura del comunicato di domenica segna in termini palesi un’incomunicabilità ormai quasi definitiva tra giocatori e proprietà e lascia il presidente Ranzani nella delicata situazione di chi ogni giorno deve mediare per tenere la squadra un minimo concentrata sulle questioni del campo. Ma non è e non sarà facile da qui a maggio, perché l’uscita dei giocatori rivela una crisi decisamente più grave di quanto si potesse credere. Se il quadro generale delineato dal comunicato era ormai chiaro agli addetti ai lavori già prima di domenica, ci hanno pensato alcuni dettagli supplementari a rendere ancora più drammatica la situazione e a far prendere piena coscienza delle dimensioni del problema. E viene il dubbio che il credito accordato a questa Spal poco se non nulla Real, sia stato eccessivo, malgrado le buone intenzioni di chi l’ha messa alla luce e cresciuta in questi mesi. 

Ieri il patron Roberto Benasciutti ha lasciato il Paolo Mazza senza passare dalla sala stampa, ritenendo probabilmente di aver già detto abbastanza negli ultimi giorni, domenica scorsa in particolare quando ha lanciato l’allarme sulla sua solitudine a capo della Spal. Di fatto è stata questa mossa, probabilmente tardiva, a incoraggiare una sorta di risposta da parte dei giocatori come detto anche da Marchini. E ora gli interrogativi si sprecano. Che succederà? Chi interverrà? Come si comporterà la squadra da qui al termine del campionato? Su quest’ultimo punto l’esperienza dell’anno scorso insegna: Sassarini, come il suo predecessore Vecchi, ormai non può che accompagnare la squadra fino a fine stagione, puntando tutto sull’orgoglio dei giocatori e lavorando sulla loro psiche. Anche se è quantomeno curioso rilevare come l’allenatore, così come Braiati, sia rimasto fuori dall’inquadratura mentre Marchini leggeva le righe preparate assieme ai compagni. Va comunque da sé che – a meno di sorprese che non si vedono dietro l’angolo – anche in caso di raggiungimento dei playoff (o addirittura della promozione) ci sarà gran poco da festeggiare.

Le crisi di Spal 1907 e Real Spal hanno diversi punti in comune e un unico comune denominatore: la Spal – a prescindere da prefissi e suffissi – è ormai una realtà che interessa a pochi. E a quei pochi a cui interessa mancano i soldi per garantirle un presente sereno e un futuro di speranza. Butelli e Benasciutti sono persone molto diverse con storie molto diverse, ma possono lamentare lo stesso problema: la sopravvalutazione delle risorse cittadine per il supporto della sua principale squadra di calcio. L’amara verità è che oggi la Spal non è affatto appetibile come potremmo pensare. È una squadra di quinta serie con un passato glorioso e con un futuro tremendamente incerto, in un epoca in cui le risorse economiche vanno restringendosi e in cui gli imprenditori non intendono più accollarsi grossi rischi. Le attribuiamo un enorme valore affettivo, ma nelle mani di un qualunque commercialista ignaro della sua storia, varrebbe come tante altre piccole società di provincia che partecipano alla serie D. Ed è forse questo l’errore principale dell’attuale patron: farsi tradire dall’ottica dell’innamorato di Spal e credere che l’appeal dell’ovetto potesse essere lo stesso di venti o trenta anni fa. E che il suo prezzo, in grezzi termini monetari, fosse quello di una realtà di successo. Spiace dirlo, ma non è così. E ora Ferrara diverrà, di nuovo e a meno di interventi decisivi, tappa di uomini d’affari avventurosi e speculatori desiderosi di farsi belli col nome della “gloriosa Spal”. Accostare imprenditori di spicco come Massimo Zanetti o Diego Della Valle alla Spal in questo momento sembra solo utile ad alimentare fantasiose aspettative di una tifoseria ormai mortificata da troppi anni di delusioni e di gestioni totalmente deficitarie. 

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