STORIE DI (STRA)ORDINARIA TIFOSERIA.
Riceviamo e pubblichiamo il terzo contributo della rubrica curata da Michele Ronchi Stefanati.
Se anche voi volete mandarci i vostri ricordi, vicini e lontani e le vostre esperienze di tifo biancazzurro scriveteci a [email protected] .
C’era un coro, non troppo tempo fa, che si cantava in Curva e che riprendeva un pezzo celebre di Rita Pavone e partiva così: “Perché perché / alla domenica mi lasci sempre sola / per andare a vedere la partita della S.P.A.L?” con la risposta quasi scontata che arrivava immediatamente: “Perché / tifo S.P.A.L. / tifo S.P.A.L. alè alè”. Difficile da spiegare. Difficile da spiegare a chi resta a casa, a chi ti guarda – forse giustamente, dal loro punto di vista – incredulo quando dici che no, oggi proprio non puoi perché vai “alla S.P.A.L.”. Difficile da spiegare a chi si sente quasi tradito da questa fedele amante domenicale, che veste in biancazzurro e a cui tutti questi matti dedicano, almeno un giorno a settimana, le proprie maniacali attenzioni. Difficile da spiegare a chi non è affetto da quella malattia, a chi quando mette piede in uno stadio non sente proprio nulla, com’è normale, si dirà. Per tanti la S.P.A.L. è un amore vero, un amore di cui non si può essere gelosi, un amore, soltanto, da rispettare. Ti aiuta, la S.P.A.L. Come ci scrive Andrea Sabino, “ti aiuta insieme alle cose della vita”. Avere una squadra nel cuore è un’emozione che rimane intatta nel tempo, ma che è spesso legata a ricordi d’infanzia. E’ un “recupero settimanale all’infanzia”, come diceva Javier Marìas, scrittore spagnolo e grande tifoso del Madrid, del Real Madrid. C’è un inizio, di questa malattia, che coincide con un evento in particolare, un partita, una giornata, una divisa, una coreografia, un gol, una trasferta sfortunata o una vittoria esaltante. Ognuno ha il proprio momento in cui è scattato qualcosa che resterà indelebile per la vita intera. Andrea Sabino, che vive lontano dalla sua amata S.P.A.L., a Torino, quel momento non lo può proprio scordare mai perché coincide con uno dei periodi più straordinari della recente storia biancazzurra.
Era il 18 aprile del 1992, la S.P.A.L., allo stadio “Paolo Mazza” batte il Pavia per tre reti a una ed è proiettata verso la serie B, in un finale di stagione che la vedrà imbattuta, se si mettono insieme le sonore vittorie contro Pro Sesto (cinque a uno) e Spezia (due a zero) e i pareggi con Casale, Palazzolo, Como e Siena. Era, naturalmente, la S.P.A.L. di Gibì Fabbri, con Gian Cesare Discepoli suo vice. Una S.P.A.L. capace di chiudere la stagione in vetta alla classifica del girone A della serie C1 dopo esserne stata campione d’inverno, con il miglior attacco del torneo (quarantasei reti fatte contro le ventuno subite), sedici vittorie e soltanto tre sconfitte. Dominio totale. E da parte di una squadra appena promossa dalla C2 e che in due anni si ritrovò così ad un solo passo dalla massima serie. Gibì ama che le sue squadre giochino a pallone, e si vede. Torchia tra i pali, in difesa Mangoni e Servidei, con Paramatti e Lancini terzini, capitan Brescia, re Giorgio Zamuner e Andrea Bottazzi a suggerire verso il tridente, Mezzini che la butta dentro, Labardi ala sinistra mentre sulla fascia destra “vola, vola Messersì”. Il pubblico gradisce e accorre allo stadio numerosissimo. I ventimila del “Mazza” creano un’atmosfera unica, lo stadio diventa un catino incandescente, dove agli avversari tremano le gambe e vorrebbero soltanto stare dentro gli spogliatoi e non uscire mai, mentre i ragazzi terribili di Gibì si esaltano. Andrea Sabino vive all’ombra della Mole, dove tutti tifano Torino o Juventus. Ma i suoi nonni, ferraresi, attraverso i loro racconti gli trasmettono qualcos’altro e così, Andrea, abituato alla Vecchia Signora, si tuffa, in quello storico 18 aprile del 1992, in una realtà del tutto diversa da quella piemontese eppure, per un’infinità di ragioni, di gran lunga più entusiasmante ai suoi occhi. E’ un anno particolare, certo, l’ultimo veramente glorioso. Per Andrea, Ferrara è la città delle origini, oltre che la terra dove trascorre le vacanze fin da bambino. Era juventino, Andrea, prima di quell’aprile. I suoi colori erano, fino ad allora, il bianco ed il nero. Quel giorno, però, tutto cambia. Quando ad Andrea e a sua madre vengono consegnati i coriandoli da gettare in aria al momento della coreografia, quando in campo scendono i ragazzi di Gibì, Andrea sente un’emozione particolare e si trova ben presto a sventolare un bandierone biancazzurro, si lega al collo la sua prima sciarpa, con sopra la scritta: “Nel male o nella gloria, nel cuore un solo grido Forza Spal” e canta i cori che ancora non ha scordato: “Forza S.P.A.L. facci un gol / ed è la Ovest che te lo chiede” e “Donigaglia alè alè / vuol far grande la città / vuol portarci in serie A”. Passano gli anni. La S.P.A.L. vive alterne fortune e Andrea soffre con lei, pur continuando a vivere a Torino. Sono gli anni del secondo ciclo di Lippi in bianconero, culminato con lo scudetto vinto all’ultima giornata ai danni dell’Inter di Ronaldo, il 5 maggio del 2002. E un giorno, in un bar di Torino, Andrea incontra proprio l’allenatore della Juventus, Marcello Lippi, insieme all’allora suo giocatore Michele Paramatti, ex terzino della S.P.A.L. di Gibì. Andrea proprio non resiste, dà una pacca sulla spalla a Paramatti e gli dice: “Michele, per me il grido è sempre forza S.P.A.L.”, Paramatti sorride felice, quasi preferisse anche lui quell’incitamento al più attuale “forza Juve” e negli occhi gli si legge che quegli anni, anche per lui, non si dimenticano.