Vent’anni di ricordi spallini e quell’episodio curioso legato a Spal-Napoli

E NON RESISTO LONTANO DA TE.
STORIE DI (STRA)ORDINARIA TIFOSERIA.
Riceviamo e pubblichiamo il quarto contributo della rubrica curata da Michele Ronchi Stefanati.
Se anche voi volete mandarci i vostri ricordi, vicini e lontani e le vostre esperienze di tifo biancazzurro scriveteci a [email protected] .

Le “storie di (stra)ordinaria tifoseria” che ci inviate sono spesso la cronistoria di un’epoca spallina, dal primo incontro con il biancazzurro fino ai giorni nostri. E, spesso, le vostre storie cominciano con un brivido. E’ il caso del racconto di Marco, tifoso spallino da vent’anni. Ed è il caso del brivido che ogni volta si prova quando si salgono le scale della tribuna del “Paolo Mazza”. Marco la prima volta venne accompagnato da suo zio Gabriele. Era il 1993, aveva sei anni e la S.P.A.L. era appena scesa dalla serie B.

In tribuna, però, Marco non ci va più da tempo. E’ un uomo di curva, ormai, ed è proprio un’altra mentalità: “Tribuna di mummie”, si dice tra i gradoni della Ovest e Marco ricorda sorridendo quando suo zio venne insultato dalla Ovest perché, urlando dalla Tribuna verso la Curva, contestò i fischi e i canti di scherno dedicati dagli ultras agli avversari di turno della S.P.A.L., che avevano perso ma, secondo suo zio Gabriele, giocando bene e, sempre secondo suo zio, meritavano applausi, non umiliazioni. Quando Gabriele tacque, dalla Ovest gli venne addirittura dedicato un coro, ma non proprio di quelli che si dedicano ai propri idoli in campo: “Lo scemo non canta più / lo scemo non canta più”.

Marco ricorda un playout con l’Alzano Virescit. Era l’ultimo atto della stagione 1996/1997. C’era un centrale difensivo pelato, un certo Quaglia, che poi andò infatti a giocare in B e un po’ anche in A, col Modena. La S.P.A.L., quel giorno, perse la partita e finì in serie C2. La retrocessione, nella mente di Marco bambino, non era prevista. Non era mai successo, nella sua fino ad allora breve carriera di tifoso, che la S.P.A.L. dovesse scendere di categoria e, per lui, era un evento inimmaginabile e tragico. Chiese a suo zio: e adesso? E lui: adesso ci facciamo una squadra di giovani e proviamo a risalire tra qualche anno. Lo disse con amarezza, lo zio, ma, in fondo, Marco si sentì rassicurato: la cosa non era poi così grave, la retrocessione non era l’inferno, forse.

Sulla previsione, però, lo zio di Marco si sbagliava: l’anno successivo arrivò l’armata invincibile allestita da Ranzani e guidata da De Biasi: primo posto, ventuno vittorie su trentaquattro partite e settanta punti in cascina. Fu al termine di quella stagione finalmente esaltante che Marco riuscì a prendere al volo la maglia numero 2, quella indossata dal biondo Venturi, e lanciata verso la tribuna alla fine dell’ultima di campionato dall’allora secondo portiere, Cervellati.

E’ di quegli stessi anni, un altro ricordo curioso: la rovesciata del Cance contro il Modena capolista, era il 12 marzo del 2000. Finì 0a0 e tutti maledissero quel gesto stupendo, con la palla di un nulla sopra la traversa. Ma se fosse andata dentro, così, in sforbiciata, sotto la Ovest, sarebbe stata una goduria infinita. E così il gesto del barese fu perdonato, anche in nome dei suoi tanti gol, delle “bombe da lontan”, del suo essere bomber di razza.

Una vita allo stadio, quella di Marco. Ricordi sparsi gli si affollano nella mente, mentre racconta: la “tristezza” di Martorella e Bruniera, il trofeo Campione ogni fine estate, contro Bologna e Lodigiani, la Curva piena che terrorizzava i rigoristi avversari al termine dei mini tempi. I primi giocatori che Marco ha amato, da bambino. Era portiere, Marco, e amava i portieri: Brancaccio, Boschin, Pierobon e poi le punte, da cui venivano le emozioni più grandi, i gol: Bizzarri, Putelli, Ginestra, Pellissier. Poi, continuando a fare calcio nei campi di provincia, Marco prese a giocare a centrocampo e allora cominciò ad apprezzare gente come Di Vicino, Pirri, Botteghi, Consonni, e anche trequartisti, come Cunico, Cerbone, Sesa. Si entusiasmò nei pochi mesi di Discepoli, il grande Discepoli! E a un certo punto comparve, come Direttore Tecnico, persino Gibi Fabbri, la cui figura leggendaria ricorreva nelle narrazioni dei più grandi. Persino nell’era Pagliuso, qualche meteora appassionò Marco: l’ala Apa, il centrale Marco Aurelio, l’altro centrale Pagani, e ancora Sadotti e l’attaccante Arcadio, che ogni volta che sbagliava un gol veniva pronunciato, naturalmente, Arcadìo. Così come esultò, e parecchio, ai gol di Bisso e Agostinelli qualche anno più tardi, c’era già Gianfranco Tomasi come presidente, ed era tutto un “Agostinelli gol / la Curva esulta”. Poi, però, lo stesso centravanti arrivò da avversario e, per esorcizzare la legge dell’ex, quello stesso coro divenne: “Agostinelli gol / non l’ho mai visto”. Degli anni di Tomasi, Marco non dimentica l’umiltà di Agodirin, i gesti, la classe e le indolenze di La Grotteria, detto ‘La Cristalleria’ per la tendenza agli infortuni, mi piacevano i lanci, le scivolate, e poi, qualche anno più tardi, con Butelli presidente, le urla e le sportellate che erano lo stile di gioco di Marco Zamboni, il suo modo di chiamare il fuorigioco, alzando il braccio alla Baresi e bestemmiando come un contadino della ‘bassa’, e ancora i gol di Rachid “Rascio” Arma, le volate di Melara, la generosità di Marchini, la velocità di un altro grande cuore biancazzurro: Gianluca Laurenti.

Marco ricorda anche, in Curva e per le vie di Ferrara, il vecchio Olao che urlava: “Dacci la caricaaaaa”, oppure, verso l’arbitro, “Vai a segnare le marchette che fa tua moglie” e ancora: “Vai con l’attacco mitragliaaaaaa”. Ricorda, naturalmente, i cori che canta ogni domenica, e ricorda che quando giocava in categoria, dunque alla domenica, un giorno si fece espellere apposta (tirata di maglia, ultimo uomo, una giornata di squalifica: perfetto!) perché la domenica successiva, al Mazza, sarebbe arrivato il Napoli, sceso in C per il fallimento. S.P.A.L. – Napoli, dunque. Non poteva perderla per nulla al mondo, finì zero a zero ma Marco non si pente e, anzi, lo rifarebbe cento volte. Per la sua S.P.A.L. questo e altro, per altri venti e tanti altri anni ancora.

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