A tu per tu con Pedro Espindola: Al Kaos sto bene, ora però voglio giocarmi la finale

Eliminando Asti, e, di conseguenza, approdando alle semifinali play-off il Kaos Futsal ha appena scritto una nuova e importantissima pagina di storia per quanto riguarda il calcio a 5 estense. Quindi, perché non andare a fare quattro chiacchiere con chi è stato protagonista di questa impresa? Le nostre domande questa volta sono rivolte al volto nuovo dei neri di patron Calzolari, Pedro Espindola, che, pur essendo arrivato a stagione in corso – nella sessione di mercato invernale -, ha contribuito a rendere la difesa della compagine guidata da mister Leopoldo Capurso una delle meno penetrate dell’intero lotto, senza però far mancare anche il suo contributo in fase offensiva. Il giovane verdeoro, classe 1993, è un vero mastino e fonte inesauribile di energia e intensità. Il suo innesto in rosa ha fatto fare al Kaos un salto di qualità, e, soprattutto, di quantità, dando dinamismo e un’incredibile voglia di lottare su ogni singolo pallone. Il buon Pedro anche si è stanziato da poco in Italia cerca di parlare italiano senza indugio alcuno, dimostrandosi, nonostante la giovane età, un vero e proprio uomo di mondo.

Battendo Asti e raggiungendo la semifinale scudetto avete scritto una pagina di storia importante per futsal estense, e in particolar modo per il Kaos, siete contenti?
Si siamo contenti, molto contenti. Appena sono arrivato qua a firmare il contratto mi è stato detto che l’obiettivo stagionale del Kaos era quello di raggiungere almeno la semifinale play-off; direi che ce l’abbiamo fatta. Poi se non sbaglio – ride -, anche per la finale, quindi, sarebbe la prima volta, e noi ce la metteremo tutta per raggiungerla.

Si, però, prima di arrivare alla finale dovrete almeno battere due volte la Luparense, che aspettative avete a riguardo?
Io contro di loro purtroppo non ho mai giocato perché non ero ancora arrivato in Italia, quindi un mio giudizio personale su di loro non me lo sono ancora potuto fare; guarderò dei video in internet in settimana. Però da quello che sento dire dai miei compagni negli spogliatoi sono una squadra molto forte che ha anche delle individualità spiccate ma comunque il Kaos ha già trovato il modo di batterli una volta, e per di più in casa loro, dunque non è necessario allarmarsi prima e non più del dovuto. Ce la giocheremo fino alla fine, come del resto abbiamo fatto con Asti, perché oggi più che mai il gruppo ha tanta fiducia, e remiamo tutti dalla stessa parte. Tutti i miei compagni, dal primo all’ultimo, vogliono giocarsi la finale.

Pedro, visto che sei in Italia da oramai quattro mesi, puoi dirci come ti trovi qui? E al Kaos come stai?
Fino ad un attimo prima di firmare il contratto avevo un pò paura, ma credo fosse normale anche perché era la mia prima esperienza lavorativa all’estero. Però la società, e per questo li ringrazio infinitamente, mi ha messo subito a mio agio non facendomi mai mancare nulla quando ho avuto bisogno. Qui sto davvero bene perché pur lavorando duro non ci si dimentica mai qual è il vero spirito del gioco: divertirsi. Con il mister e i miei compagni ho veramente un bel rapporto, e il gruppo è molto unito e questo mi fa lavorare, imparare e divertire allo stesso tempo. Poi Ferrara è davvero una bella cittadina dove abitare, vivere, e, soprattutto mangiare, ma nei giorni liberi non ho resistito e sono andato a vedere altri posti e città famose come Roma, Venezia, Firenze e le Cinque Terre, di cui mi sono innamorato.

Concentrandosi adesso più sull’aspetto tattico del gioco, sai dirmi quali differenze tra il futsal brasiliano e il nostro ti hanno impressionato maggiormente?
Oddio, non è facile rispondere con chiarezza a questa domanda perché è un pò particolare, però posso dirti che il futsal che si gioca qui in Italia è un pò più individualista. Provo a spiegarmi meglio: qui da voi si cerca sempre, e in maniera quasi ossessiva, la giocata ad effetto o individuale che possa risolvere la partita in un batter d’occhio, mentre in Brasile si privilegia il gioco corale, costruito collettivamente, in cui tutti, praticamente ad ogni azione, toccano il pallone almeno una volta. Però la mia non vuole essere una critica aperta e diretta al modo di giocare che si interpreta in Italia, anzi, qui sto imparando davvero tanto ed è un piacere per me trarre ispirazione dai miei compagni di squadra più esperti, da cui ogni volta riesco a imparare qualcosa di nuovo. In Brasile invece posso dire che si gioca troppo: tre partite a settimana, tra campionato e coppa, sono davvero estenuanti. Qui invece c’è la frequenza giusta: una partita a settimana, mentre il resto del tempo è impiegato per allenarsi e trovare il modo migliore per stare in campo.

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