L’AMAREZZA DI UNO SPETTATORE INTERESSATO CHE ASSISTE A UNA COMMEDIA ALL’ITALIANA E I MERITI DI UN GRUPPO CHE RIESCE AD ANDARE AVANTI

Per chi ricorda la trama spicciola della commedia italiana degli anni Ottanta diretta da Sergio Martino, il riassunto di questa settimana è che (forse) abbiam capito che se tutto va bene siamo rovinati. Immaginiamoci se oggi fosse dimesso da un ospedale psichiatrico un paziente  come quell’Andrea di questa pellicola che oltre ai suoi già noti problemi di instabilità mentale, magari, se ne era aggiunto dalla nascita pure un altro, quello che di questi tempi è pure peggio, cioè di essere un tifoso spallino.  Catapultato di punto in bianco alla mercé di questo labirinto intricato di scartoffie che si gioca tra le stanze di via Copparo, non son così convinto che al capirci qualcosa, preferisca piuttosto tornarsene a gambe levate al manicomio. Ecco, ammetto di sentirmi così. Spaesato. Confuso. Amareggiato. E incazzato come una iena. Personalmente non sono un grande appassionato di inchieste, cronaca nera e cronaca giudiziaria (provo a occuparmi, alla meno peggio, di calcio), di quello che non so, ma soprattutto di quello a cui non voglio credere possa mai accadere (e soprattutto) nella mia città, preferisco tacere e lasciare agli altri l’arduo compito di tracciare il profilo corretto della scena del delitto e scoprire chi è l’assassino (sportivo). C’è a chi piace farlo e chi no. Non sono un buon profiler, non ne ho né l’esperienza, né la faccia tosta di additare qualcuno tirando per aria una moneta o solo per il gusto di farlo, preferisco raccontare Melara in magazzino con Giovanni Rossi, preferisco raccontare Pulici e la sua battaglia contro la Sla, preferisco Pisacane e il suo coraggio, mi piace lo sport, quello vero che si gioca la domenica in campo, perché mi piace rimanere ancorato a questo pianeta nel modo in cui sono cresciuto sin da bambino.
Di fronte a tutto il resto mi metto di lato e osservo, con occhi sbarrati e orecchie dritte, da spettatore non pagante: porto con me un bel cestone di frutta e verdura da una parte, e un centinaio di uova dall’altra, sai com’è, gli steward all’entrata non c’erano (non li pagano dal secolo scorso d’altronde) e sono pronto ad esprimere così il mio dissenso in questo teatrino, in questo triste balletto di figuranti dove l’acronimo Spal e il nome Ferrara stanno diventando un pretesto e niente più. Vorrei tornassimo a questo. In fretta. Non importa dove. Importa solo ricominciare. E che calasse la notte, il buio e il silenzio sugli ultimi mesi che stanno distruggendo ancora una volta la passione del pubblico (S T U P E N D O) ferrarese.  Ho sempre distinto l’amico dall’alleato perché il primo si interessa a te per davvero e ti chiede sempre come prima domanda come stai e come sta la tua famiglia, il secondo invece si preoccupa come prima cosa di informarti su quello che fa. Mi hanno sempre insegnato a non prendere posizione nelle questioni private che siano di famiglia, in quelle cioè dove le parti in causa non siano legate a te al punto da potergli mollare due ceffoni al grido di “fatela finita!”. Ed è mia personale intenzione continuare a farlo (a non prenderne parte, ovviamente). Questo perché trovo poco intelligente ed edificante lo schierarsi a priori da una parte o dall’altra del guado se non sulla base di sensazioni o, peggio, di interessi, che non ho. Diventerebbe gossip. Pettegolezzo. Illazione. Un dovere è informare ma farlo senza prove e magari godendone pure di creare malcontento attorno, beh, perdonate, ma è una responsabilità che non ci si può mai prendere per il rispetto verso chi legge. O si è sicuri e si fanno nomi, cognomi e si descrivono fatti per filo e per segno, oppure, ahimè (sì, ahimè), si tace e non si lanciano inutili messaggi cifrati in uno stagno in cui pesci grossi e piranha la fanno da padrone ma dove anche l’acqua cheta come si dice, pian piano spacca i ponti. ?Mi chiedo se sia mai nato il tanto osannato clima di distensione popolare che fa (anche) vincere i campionati e proclamato il sei agosto 2008, quando, tra le altre cose, ci si erano dati quattro campionati di tempo per arrivare in B: tutti uniti, tutti dalla stessa parte, tutti per un solo obiettivo (forse non ci siamo mai detti quale fosse). Pazzesco vedere dove siamo finiti, a che stucchevole gioco tra le parti siamo costretti ad assistere e partecipare indirettamente, all’obbligo di schierarci e mettersi tutti contro tutti, di prender parte a un partito anziché a un altro. Ci stanno dividendo, ci stanno massacrando e portando tutti fuori strada e lontano dalla dimensione della nostra “vera” Spal. Questo non bisogna permetterlo.  Ora è il Caos, una voragine senza fine, sterminata e nera con il popolo biancazzurro oggi l’unico demiurgo possibile a tener le fila di un discorso sportivo che sta vivendo una delle notti più buie e lunghe della propria storia sportiva.
Il finale? Naturalmente e solo per il bene della Spal, finiscono le (non) amicizie, si cercano nuove alleanze da aggiungere a quelle già strette prima e intanto la squadra, vera e unica protagonista (o almeno così dovrebbe essere) che gagliardamente, coraggiosamente e impavida sembra letteralmente fottersene di quanto gli sta accadendo intorno, continua a lavorare, a vincere, perdere e pareggiare, a prendere punti di penalizzazione a tutto spiano, a dare l’anima ogni santa domenica per novantacinque minuti a partita a costo di lasciare sul campo la maglia e, dulcis in fundo, senza prendere un euro da giugno. Scusate se è poco ma questa è la Spal di cui dovremmo soltanto parlare. Non è una Spal di eroi, questa, per carità, ma questi ragazzi, se riusciranno a salvare sul campo questa città avranno il dovere di non essere dimenticati proprio come i ragazzi dell’ultima promozione e avranno tutto il diritto di chiedere al sindaco (loro sì) una strameritata e sacrosanta immortalità sportiva.

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