L’importanza di chiamarsi Mariano Arini, spiegata da chi lo ha visto all’opera per tre anni

Anche i tifosi più distratti si saranno accorti che nelle ultime 48 ore Mariano Arini, nuovo centrocampista della SPAL, è stato letteralmente travolto da attestati di stima e affetto da parte dei suoi ex tifosi dell’Avellino.

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Venerdì, prima di raggiungere i compagni della SPAL in vista della partenza per Tarvisio, il centrocampista si è recato per un’ultima volta ad Avellino per completare il suo trasloco e salutare la sua vecchia squadra, come testimoniano la foto scattata assieme al ds De Vito e l’intervista rilasciata ai colleghi avellinesi.

Per capire meglio da dove venga tutta questa ammirazione per Arini, abbiamo interpellato Carmine Roca, collega di Avellino. Lo ringraziamo per il prezioso contributo.

Quando un calciatore spazza via tutto lo scetticismo iniziale, che lo avvolgeva al suo arrivo, in un paio di partite giocate, allora significa che quello stesso calciatore è destinato ad entrare di diritto nel cuore dei suoi tifosi. Mariano Arini è arrivato ad Avellino nel gennaio del 2013, accompagnato da una carriera che lo aveva visto lasciare l’Italia per i Rangers Glasgow e poi protagonista in terza e quarta serie con le maglie di Aversa Normanna e Andria, alla corte di Vincenzo Cosco, allenatore bravo quanto sfortunato, scomparso per un male incurabile e più volte ricordato dall’atleta partenopeo sul suo profilo Instagram. Pupillo del direttore sportivo Enzo De Vito che lo conosceva e stimava dai tempi di Aversa, ma evidentemente poco conosciuto dal pubblico biancoverde che si attendeva qualche nome altisonante per rinforzare una rosa che di lì a cinque mesi avrebbe ugualmente conquistato la promozione in serie B. Arini è stato uno degli artefici della rimonta operata a febbraio e del consolidamento della prima posizione in classifica. Suo il gol al Perugia al Renato Curi, fondamentale per tenere distanti i grifoni. Perché oltre a correre per due in mezzo al campo, ad Arini piace farsi trovare pronto anche in zona gol e le dodici marcature realizzate ad Avellino sono un biglietto da visita di cui tenere conto. Il trasferimento alla SPAL, improvviso se si considera l’importanza del calciatore, ha lasciato l’amaro in bocca ai tifosi irpini. Un addio inaspettato che di conseguenza ha reso la società del patron Walter Taccone destinataria di diverse invettive, proteste, mugugni. Perché nonostante il calcio non sia più quello di una volta, legato al business e ai trasferimenti vantaggiosi, la gente che ama questo sport quando si affeziona a un calciatore, lo fa con il cuore. Tre anni e mezzo non si dimenticano facilmente, soprattutto perché legati a doppio filo a una persona che ha rispettato la maglia dell’Avellino fino all’ultimo giorno. Il caso vuole che, al momento, quello di Arini al Cesena, sia l’ultimo gol realizzato dai biancoverdi in una gara ufficiale. Professionista esemplare dentro e fuori dal campo, pronto a metterci la faccia dopo una sconfitta e a proferire parole mai banali. La città di Avellino e il suo popolo porteranno nel cuore Arini, così come Arini lascerà un pezzo del suo nella città che lo ha adottato e che gli è stata vicino anche quando il mondo rischiava di crollargli addosso. E quando le due parti si ritroveranno da avversari, sul terreno di gioco, si alzerà al cielo il suono di un applauso spontaneo. Gli occhi diverranno lucidi. Questo significa che c’è ancora qualcuno in grado di farti emozionare con il gioco del pallone. Perché qui ad Avellino lo abbiamo imparato bene: bisogna essere prima uomini e poi calciatori. E Mariano Arini è un uomo vero.

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