LA SEMPLICITA’ DI SASSARINI, I GOL DELLA DIFESA, L’INTESA DI ALE E ROBY E QUEL FINALE DA FAVOLA CHE TUTTI VORREMMO

La vittoria contro il Forcoli, dice il signor calendario e prima di lui anche la signora classifica, era il minimo sindacale che ci si poteva aspettare, dopo due sconfitte pesanti che avevano catapultato i biancazzurri addirittura all’ottavo posto. Dice Sassarini: “Non era facile e nemmeno così scontato che ce la facessimo”. Simpatia e gioco dei ruoli a parte, l’allenatore spezzino sa perfettamente che, se vuole vincere il campionato, non è di squadre come quella pisana che deve temere. Lasciamo da parte la presunzione, parliamo di fatti: vincere, ieri, era diritto divino, scritto persino nell’acqua. Basta leggere la Costituzione Italiana, articolo uno: qui c’è scritto, tra le altre cose: “La Spal non può non battere quel Forcoli lì, ci giocasse contro altre cinquecentosettantadue volte”. Proprio oggi è stata aggiunta la postilla voluta dal prolifico Ministero della Difesa in toto che dice: “Ed è altresì inammissibile pensare di lasciare anche solo un misero punto domenica prossima a questa Bagnolese, ci giocassimo contro altre novecento volte”. Non scherziamo. Sempre se vuoi arrivare primo, ovviamente. Sono intanto già cinque i gol arrivati dalla difesa sin qui: tre di Calistri, capocannoniere improvvisato di questo scorcio di stagione (Paris è pronto anche all’aggressione fisica nottetempo pur di tornare in vetta), uno di Cintoi (che ieri ne ha sfiorato un altro) e un altro Nodari (il palo a Rosignano è ancora là che trema dopo quella zuccata). Mai così bene la Spal dietro, in tutti i sensi, segno tangibile che la forza di questa squadra inizia, forse per la prima volta dopo anni, dal reparto più importante, senza contare un Gallo, ieri inoperoso, ma che ha già fatto vedere di possedere numeri interessanti. Va sottolineato ancora: abbiamo stra-vinto ma abbiamo fatto il pelo e il contropelo, o se preferite barba, baffi e capelli a una squadra che farà davvero tanta fatica a salvarsi. Ma tanta, ammesso che scenda sempre in campo così. Il Camaiore ci aveva fatto una pessima impressione. La squadra di Rossi, giornata no o meno, ha fatto anche peggio: zero tiri nello specchio, esterni di centrocampo che tornavano mai a dare una mano e rincorrevano a vuoto un Cucurnia e un Laurenti ancora lontani (!), per motivi diversi, dalla migliore forma ma che a confronto sembravano gazzelle, senza dimenticare bomber Fiorentini, tradito, forse, dall’emozione del “Mazza” (un po’ come Nako, svenuto prima del fischio d’inizio), come nella più classica delle occasioni, quando tocca a un giovane scendere su quel prato dove la Ferrara sportiva più importante ha scritto pagine indelebili della propria storia. 
Non si poteva cadere nel tranello architettato dalla Fortis dell’ultima gara interna, semplicemente perché Sassarini si è ben guardato dal fare altri esperimenti prima del tempo: 4411 e 442, tutti ai propri posti di combattimento con ordini e compiti ben precisi, senza strafare e senza la foga e l’irruenza di dover dimostrare chissà che cosa (e prima del tempo) come a Lucca. Se ci sono Massaccesi e Braiati in queste condizioni, stai sicuro, in mediana non passa neanche l’aria; se Marongiu gira intorno a Rocchi come ieri ma, soprattutto, se calcia da ogni dove come se ai piedi avesse il velluto senza dimenticare di possedere anche la “pacca”, come dimostrato nell’occasione del quarto gol (e di quello che si è mangiato, tanto per scaldarsi, a inizio gara), si possono dormire sogni tranquilli: con l’attaccante di Acquasparta, ieri, si è vista un’intesa innata, speciale, un incontro del destino per pochi eletti. Una conoscenza che vale la pena approfondire. Chissà se anche il mister sarà d’accordo. Di certo c’è che mai sino alla gara contro il Forcoli avevano giocato insieme dal primo minuto e, sarà un caso, mai così bene è andata davanti la Spal, benché la manovra che esige Sassarini negli ultimi venti, venticinque metri, si sia vista solo a sprazzi.
Prima del Forcoli, Ale e Roby, si erano intravisti appena sul campo: a Mezzolara ognuno parlava una lingua diversa: Rocchi era a Ferrara da tre giorni e con due allenamenti sulla groppa; Marongiu, intanto, si stava sforzando di mandare giù il primo e indigesto boccone amaro della stagione, salendo allo “Zucchini” di Budrio dopo che le sue natiche avevano scaldato e bene, alla faccia dei trentacinque gradi di quel giorno, per un’ora buona, la panchina. Vederla da lì, da quell’angolo di inferno a mordersi le mani, per uno come lui, dopo un’estate passata a sentirsi dire che la squadra gli era stata costruita intorno per rilanciarlo (Ranzani docet), avrebbe fatto incazzare chiunque. E di Rocchi non gliene poteva fregare un beneamato accidente. E si è visto: quando Ale entrò, Roby, non fu degnato della minima verticalizzazione, del più semplice dei passaggi. Morale della favola: uno, purtroppo, si infortunò, l’altro, invece, si preparò a esordire dal primo minuto e segnare (manco a dirlo) davanti al proprio pubblico sette giorni più tardi, prima di essere messo un po’ troppo frettolosamente in naftalina per cinque settimane giocando in tutto novantuno minuti prima di ieri. Di sentirsi un vecchio pastrano da buttare nell’armadio innanzi alla primavera che avanza o, peggio, un coniglio magico da estrarre dal cilindro per strappare gli ultimi applausi di giornata, il fantasista biancazzurro non ne ha mezza. Marongiu, si sa, in D può fare la differenza perché mano a mano sta diventando una realtà di questa squadra e chiede solo di sentirsi cucite addosso le responsabilità che gli competono: lo ha dimostrato, in parte, anche andando a prendersi il pallone per battere il rigore contro la Fortis, prima che Marchini gli ricordasse, diciamo così, le gerarchie, ammesso che ci fossero. Quando entra a gara in corso, invece, in lui subentra la frustrazione di sentirsi messo in discussione, di non essere importante come vorrebbe, anziché accendersi il sacro fuoco della rivalsa. E’ fatto così e così va preso per i suoi ventuno anni. Prendere o lasciare. Non fosse, ora, probabilmente sarebbe dove in tanti, molto presto, anzi troppo, lo avevano visto prima del tempo, sbagliando. E consegnandolo, di fatto, a questa anonima (ma provvisoria gli auguriamo) parentesi che qualcuno chiama ancora calcio, dove la pace che regna sulle tribune e nelle curve, non è altro che un modo più carino per nascondere il deserto che imperterrito avanza. 
Ieri, invece, il manoscritto chiamato Spal, con la musica di accompagnamento in sottofondo di Federico Massaccesi da Novara, è stato ripreso in mano da Sassarini senza astruse argomentazioni tattiche o cambi spettacolari. In attesa di vedere l’ultima pagina della sua romanzata stagione spallina di cui, però, ci ha già colpevolmente anticipato il finale nella sciagurata sfida contro la Fortis (cioè il 424, ma, è lecito chiedersi, sarà veramente questo?), il mister è tornato sui suoi passi, un po’ per le esigenze fisiche del malconcio Marchini finito a fare da spalla a Sassarini e guardare i compagni da bordo campo, un po’ per la necessità di dare ordine ed equilibrio alla manovra, capendo che per invogliare la gente a leggere il librone magico biancazzurro non servono thriller o manga giapponesi, ma favole semplici e dal finale che, anche se scontato, è pur vero che è sempre il più bello che c’è: “E viNsero tutti felici e contenti”. FORZA SPAL! 

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