A Ferrara è da qualche tempo che le fiabe non piacciono solo ai bambini, ma pure ai grandi. Sono due mesi che l’affare con la ‘cordata romana’ sembra fatto, peccato ci siano sempre quei maledetti ‘tempi tecnici’ a mettersi di traverso e manchi sempre quel qualcosa perché tutto si chiuda una volta per tutte con il brindisi di rito e i fuochi d’artificio a far da cornice al dì di festa. Lo aspettiamo con ansia, quel giorno, dall’alto dello Scalone di piazza Municipale.
Non ce ne vogliano i legionari romani di stanza all’ombra del Castello Estense dallo scorso 28 aprile ma, due mesi dopo, il futuro sportivo della Spal è ancora associato a un bel punto interrogativo e, proprio come un anno fa, sul tavolo delle istituzioni non c’è assolutamente nulla di concreto che possa garantire una stagione serena ai colori di casa nostra. Nulla. Dichiarazioni di facciata a parte, si sa solo che il sodalizio biancazzurro è diviso a metà: da una parte c’è il (possibile) futuro con il diggì Pontrelli e il diesse Guarracino che vogliono dare (giustamente) il benservito a Benasciutti e partire con un progetto su larga scala ma le cui fondamenta economiche, abbiam capito, certo non poggiano sul pozzo di San Patrizio; dall’altra c’è il quotidiano di nicchia con a capo Roberto Ranzani, il presidente in carica senza portafoglio, sempre più silenzioso, sempre più nero e imbufalito, pare, sempre più convinto di essere capitato, a malincuore, in una commedia poco ferrarese ma molto italiana e tutta ingarbugliata da cui districarsi sarà più difficile del previsto.
Abbiamo orecchie costruite ad arte per non sentire quella sveglia che è già suonata da un pezzo, noi ferraresi, abituati così tanto a soffrire che a confronto, questa situazione, la mandiamo giù come acqua fresca. Benasciutti intanto continua a non dire cosa vuol fare. Pare addirittura, da fonti piuttosto vicine all’attuale proprietario dei biancazzurri, che neppure lui sappia cosa fare e aspetti istruzioni per muoversi di conseguenza e spiegare, finalmente, alla città come finirà questa manfrina che manderebbe al manicomio anche un santo.
L’unica fiamma accesa è quella che tiene viva Vincent Candela. E’ atteso a breve in città per dare risposte ma quel che si aspetta e pure con una certa impazienza, più delle parole del futuro Presidente, è soprattutto la cosiddetta ‘pilla’ perché di chiacchiere ne abbiamo la pancia piena, così come fin sopra i capelli di promesse disattese. Servono solo i fatti. E i ‘zugadur’. Quelli buoni, però. Di categoria. Che abbiano possibilmente almeno un paio di campionati vinti in D, magari anche uno di Lega Pro se non chiediamo troppo. Non bastano i buoni prospetti per l’immediata risalita, serve gente matura, furba il giusto, che conosca a memoria le carte nautiche delle paludi mefitiche della serie D. A finir in secca o, peggio, affondare in tutta la melma, qui ci si mette meno tempo di quel che si pensa. A dichiarar guerra siamo capaci tutti, bisogna capire se ci si va con le freccette di gomma, i fiori e gli acquerelli insieme ai carri armati di Sturmtruppen o con l’artiglieria pesante, quella vera però. Mandare al martirio una dozzina di Von Nibelunghen sfornati dalle categorie inferiori è una buona strategia per arrivare primi sì, ma nella parte della destra della classifica, se va bene. Lecito anche questo, basta mettersi d’accordo prima però. E dirlo eventualmente per educare le masse. Perché non bastano le sole motivazioni per salire e nemmeno l’aver vissuto gli anni più belli tra Roma e la periferia a garanzia di successo. Aiuta, ma fino a un certo punto. Il campo è lungo e largo uguale per tutti, il pallone è sempre rotondo: ciò che davvero farà la differenza sarà, come sempre, la scelta degli uomini. Senza dimenticare che non si potrà parlare di Prima divisione immediata senza aver dato un occhio anche alle altre: sarà un girone dantesco il prossimo, a prescindere da venete o toscane. Aggiungiamoci poi che battere la Spal ti fa sempre vivere due giorni di festa ininterrotta e il gioco è fatto.
Saranno pronti i baldi giovani di cui tanto bene si parla a resistere all’urto emotivo di Ferrara e dei suoi tribunari da serie A? Qui, per chi non lo sapesse, è prassi attendere appena il tempo di due passaggi di fila sbagliati in verticale per inondare le orecchie del malcapitato di turno di fischi e insolenze fino alla quarta generazione.
D’accordo che siamo appena a giugno, d’accordo che la crisi imperversa (va così tanto di moda dirlo almeno mille volte al giorno che ormai sa quasi di scusante) ma visto che abbiamo già trascorso gli ultimi due anni a nuotare nel fango, non vorremmo che anche stavolta il vecchio detto ‘non c’è due senza il tre’ prendesse casa da queste parti, accovacciato e annidato dietro il solito sorriso di circostanza che fa sempre, ora da scudo, ora da contorno, al ping-pong di colpe e responsabilità che sono, naturalmente, sempre ‘degli altri’.
Intanto, come da prassi, i giocatori migliori si stanno guardando attorno e in pochi, al momento, sono stati avvistati dalle parti del casello di Ferrara Nord. Anche qui un motivo ci sarà.
La verità è che la Spal, al 24 giugno 2013, non ha ancora trovato la forza economica per arrivare a nessun obiettivo di rilievo e neppure a un bomber da quindici gol a stagione (ciao ciao Piccolo ndr), non può permettersi due corazzieri in difesa e, per non essere risucchiata nei bassifondi dovrà per forza puntare su qualche conferma eccellente della stagione appena conclusa. Quel che succederà da domani in poi, si vedrà. Ma oggi è il momento di raccontare quello che dice il presente e non le speranze che si riversano su di un futuro costellato all’orizzonte da nubi dense e minacciose, che solo il vento foriero di buone nuove proveniente dalla Francia potrebbe spazzare via una volta per tutte.
C’è tempo, dicono. D’altronde l’anno scorso si è iniziato il 23 luglio con un Pelliccioni-show in vena di cocomerata da centro ricreativo e la Spal, alla fine, almeno fino a marzo, è rimasta in corsa – certo non fosse arrivato Laurenti, forse a dicembre era già finita.
La città, ancora una volta, innanzi a questi colpi di testa e virate vorticose da capogiro cosa fa? Resta a guardare, anzi, preferisce aspettare. Inerme, in silenzio e nascondersi dietro a quel: “Ma cosa devo fare?”.
Si temporeggia e si procrastina, non si decide in quel tipico e irritante atteggiamento ‘politichese’ in cui ci stiamo addormentando certi che domani, comunque vada, il sole continuerà a sorgere anche senza prender parte a una discussione. Anche senza che esista o meno una squadra di calcio a Ferrara. In fondo i veri problemi sono altri, si dice, gelando il sangue nelle vene di chi l’ovetto, oltre che nel petto l’ha tatuato nel cuore e nell’anima.
Si vive alla giornata, un po’ a braccio e un po’ a sentimento, come se la Spal, in fondo, fosse già morta e sepolta e non esistesse più. Perché la sensazione è che della Spal e del suo futuro non interessi più a nessuno già da molto tempo.