LA SPERANZA CHE LA COERENZA PAGHI E L’ATTESA RISPOSTA DELLA SQUADRA

L’unica cosa che va evitata, a qualsiasi, drammatico costo, è che subentri un clima di rassegnazione. Personalmente, persino più dell’ennesima sconfitta, mi preoccupa il clima. La curva attonita nella ripresa, la tribuna in questi casi, o in queste crisi, solitamente brontolona e invece domenica ammutolita, e poi una fase di partita, subito dopo l’ennesimo incredibile ma vero gol preso, moscia, confusionaria, faticosa.
Ora è giusto, anzi doveroso, guardarsi soltanto alle spalle dove l’ultimo posto è davvero vicinissimo ma va tenuto presente che razza di domeniche si celebrino in questa stagione visto che i playoff, nonostante tutto e malgrado tre sconfitte interne, restano ad appena due successi di distanza. Il problema, uno dei tanti vista la classifica, è cercare di spiegare l’ennesima sconfitta casalinga. Una sconfitta senza nemmeno un contorno sonoro di fischi che la dice lunga sulla sacrosanta delusione del pubblico ferrarese ma anche sull’incredibile corso delle cose del calcio durante questi ultimi novanta minuti spallini. Una sconfitta che stavolta è arrivata davanti alla capolista, è vero, una sconfitta che se finiva uno a uno non si lamentava nessuno, è altrettanto vero, ma si tratta pur sempre di un altro appuntamento rinviato con i tre punti e quel che è peggio è ancora una volta il modo, difficilmente spiegabile. Andiamo per ordine. La condizione fisica non è palesemente il motivo visto che a fine gara la Spal ha creato diverse occasioni. L’impegno non può essere un’altra spiegazione per lo stesso motivo e la mancanza di Arma o cazzate del genere non vanno nemmeno commentate. A guardarla dai singoli, quella che oggi si può tranquillamente definire crisi biancazzurra, qualche cosa appare più chiaro.  
Fin qui Capecchi non è certo il portiere che l’anno scorso ha regalato punti importanti, Lorenzi non sembra lui, Zamboni si è ripreso ma non è ancora il giocatore da otto in pagella fisso di un girone di andata fa e per rimanere nel reparto che fu il principale punto di forza dello scorso campionato il Cabeccia diventato stella sempre nello scorso torneo è irriconoscibile. Il discorso vale anche per Centi e Bracaletti, davvero impresentabile (anche se un po’ meglio contro il Pescara) ed è difficile spiegare come è possibile che uno con quei piedi e che ad agosto sembrava il Mannini sampdoriano di oggi appaia invece più simile al Martorella dei tempi peggiori. In più Bedin, il vero guerriero, a Ferrara l’abbiamo visto soltanto quest’estate. Per tutto questo, e non solo, pare dura sostenere la tesi dei problemi offensivi perché il problema, semmai, è crearle, le occasioni. Così come, rispetto alle prime gare, è arduo mettere anche la difesa sul banco degli imputati visto che anche le situazioni subite si contano con il contagocce.
Dove sta, allora, la spiegazione? Giuro che in tanti anni “obbligati” a vedere cinque, sei partite alla settimana per lavoro raramente sono rimasto così senza parole. Di sicuro si crea poco e, ma questo è un mio punto di vista, le fasce vanno sfruttate di più soprattutto ora che di fianco a Bazzani c’è Cipriani. I giovani, quando hanno giocato, hanno risposto bene. Domenica anche Marongiu, prima Laurenti, domani, sempre secondo me, risponderà alla grande anche Licata che oggi, in fatto di spinta e di cross per le torri, vale un Cabeccia sopra l’altro. Non è giusto, e serve a poco se non a crearsi pericolosi alibi, tirare in ballo la sfortuna e allora è meglio parlare poco e scrivere anche meno perché tutte le chiacchiere, ancora una volta, restano a zero.  
Di solito, nel calcio irrequieto e cosiddetto moderno, pagano sempre gli allenatori. La società biancazzurra ha difeso una domenica dopo l’altra il tecnico. Persino dopo il terzo ko casalingo, addirittura a un passo dall’ultimo posto. Credo abbia fatto bene perché tanti segnali, dalle esultanze all’impegno, non hanno mai fatto pensare a una squadra scollata dalla sua guida. Di sicuro Butelli e i suoi collaboratori hanno coraggio a difendere con i denti e con il ragionamento la propria, impopolare scelta. La vedo come loro perché non dimentico lo scorso anno e trovo assurdo che ci rimetta una persona soltanto se poi sbagliano in ventidue ma anche questa tesi, a sto punto, lascia il tempo che trova proprio perché, a proposito di tempo, non ce n’è più da perdere. Dolcetti, che è uomo di calcio e persona intelligente, lo sa meglio di chiunque altro persino se non condivide come è facile immaginare. E lo sa anche la squadra che, se tiene davvero al suo tecnico, domenica dovrà vincere e basta. Il punto non è l’impegno. Si può anche non giocare bene ma serve furore, rabbia e bava alla bocca. Caratteristiche, queste, fondamentali anche nel campionato amatori e finora spesso latitanti.

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