La mia Spal

IL CUORE NELLA CURVA

di Matteo Capucci

Quante volte… Quante volte hai cercato di spiegare agli altri chi sei… Quante volte hai raccontato la tua vita sperando che la gente ti capisse… Genitori… Amici… Fidanzati… Ancora ricordi le loro facce stupite quando gli dicevi che stavi per partire da solo per un altra città per seguire la tua squadra… C’hai provato in tutti i modi a trasmettergli quello che provi… Se per magia riuscissi a fargli sentire per un minuto… un solo minuto… la decima parte delle emozioni che ti ha dato il calcio… Che ti ha dato la tua squadra… Se per quel minuto potessero provare un decimo di quello che hai provato tu in anni di stadi imbandierati… di prati verdi incorniciati da quattro linee bianche… di radioline schiacciate nell’orecchio… Se quel minuto potesse fargli sentire il caldo delle partite giocate a settembre… il freddo delle partite in notturna… il rumore della pioggia sul cappuccio del tuo giaccone… Se in quel minuto potessero rivivere quello che provi prima che battano un rigore… con quei deficienti che esultano prima che venga tirato e te che invece sei paralizzato dalla paura con gli occhi fissi al dischetto… Se potessero sentire quella sensazione di dolce soffocamento che ti provoca lo sconosciuto che ti abbraccia… Se avessero per un solo minuto nelle orecchie i cori… le urla… il fragore delle bombe carta…Se potessero sentire come stai nei minuti di recupero quando vinci 1 a 0… O cosa provi ad un gol fatto allo scadere… Forse se potessero sentire per un minuto tutto questo non ti parlerebbero così… Quante volte hai litigato con i tuoi amici, ragazze/i perché dovevate uscire insieme domenica… gli hai detto che domenica c’era la tua squadra e per loro il fatto che non ci sia qui è una mancanza di amore/amicizia… ma come fai a spiegarle che non è possibile che tu possa stare altrove? Ed è proprio in quei momenti che pagheresti oro affinché potesse provare quel minuto di emozioni… e allora forse capirebbero…
Sono ormai un po di anni che la tua vita è questa… In piedi su dei gradoni fianco a fianco con i tuoi mille amici sconosciuti… Con i quali da una vita vivi le stesse gioie… soffri gli stessi dolori… canti gli stessi cori… hai viaggiato sugli stessi treni… hai mangiato negli stessi autogrill… hai preso le stesse manganellate… hai respirato gli stessi lacrimogeni… hai visto le stesse partite… hai fatto le stesse file… hai preso e dato le stesse botte… hai passato le stesse notti insonni… hai versato le stesse lacrime negli stessi momenti… Pensaci un attimo… Con quante persone nella tua vita hai fatto tutte queste cose? Con quante persone che conosci personalmente al di fuori dello stadio puoi poter dire di aver condiviso emozioni simili? Non te ne viene in mente nessuna vero? Noi sappiamo cosa prova l’altro anche se non lo conosciamo… Noi abbiamo una confidenza e una complicità unica… Magari in fila ai cancelli c’è un ragazzino che prova a entrare senza biglietto… Tu manco sai chi sia ma armi la caciara insieme ad altre persone, che non conosci e che non lo conoscono, per farlo entrare… E allora spingi, minacci il bigliettaio, urli tra una spinta e qualche manata “il bambino” che magari è più grande di te entra… ti ringrazia con un cenno della testa e te gli rispondi con un sorriso impercettibile mentre annuisci… Come a dire …”Tutto a posto…Che problema c’è?”… Se solo poteste provare un decimo di tutto questo per un solo minuto… uno solo… allora forse capireste chi sono… chi siamo… Ma forse è meglio così… Uscitevene pure nella vostra bella città e andate nel vostro bel locale e lasciatemi in pace nella mia Curva! Anzi la nostra Curva! Da una vita…


LA MIA SPAL PURTROPPO LONTANA

di Stefano Bellati
Lavoro da ormai sedici mesi a Londra in Inghilterra e una della cose che mi mancano di più è proprio la cara, vecchia, non sempre bella ed entusiasmante Spal! Il problema, si fa per dire, è che amo la Spal come si ama una donna quando si è innamorati! Mi manca la partita vissuta in diretta e il fatto di dovere essere informato via sms dagli amici! Quando la Spal perde la settimana inizia male, al lavoro sono nervoso e mi rendo conto di non lavorare tranquillo! Ringrazio Lo Spallino che mi tiene informato ogni giorno sulla mia sempre e comunque amata Spal! Un saluto grande a tutti i tifosi biancazzurri.

LA CURVA CHE REGALA NUOVI AMICI
E LE TRASFERTE-GITE MEMORABILI

di Olga Frontini

Vado alla Spal da pochi anni e, ci tengo a sottolinearlo, per libera scelta. Non mi sono mai permessa e non lo farò mai, di dare alcun tipo di giudizio tecnico sulle partite, soprattutto perché devo ancora capire come avviene il fuorigioco… sto studiando ragazzi e prima o poi…
Non sono qui per scrivere un fiume di parole sulla squadra, non ne sono capace, in realtà voglio esprimere ciò che provo tutte le domeniche, al Mazza o in qualche stadio sperduto, vicino o lontano. La Spal mi ha dato la possibilità di conoscere persone straordinarie, dotate di umanità e doti rare, capaci di regalarmi allegria e di farmi sentire fresca e motivata (forse più motivata data la non più tenera età!). Per sempre porterò dentro di me sorrisi, abbracci sinceri e parole buone, alcuni momenti veramente indimenticabili, come a Mezzano… Lecco… Lumezzane….Novara. Ora ho degli amici nuovi e non sono soltanto facce della domenica. Amici cui voglio bene davvero, capaci di dimostrarmi rispetto e affetto, anche se non sono una spallina da cent’anni e tantomeno ferrarese. Ferrara è ormai la mia città, il Mazza e gli altri stadi sono le mie gite domenicali al mare e lo saranno per molto tempo. Vorrei che tante mogli, invece che rompere i c… ai mariti, venissero alla Spal, sono sicura che tante frustrazioni e lamentele sparirebbero in poco tempo! Il calore della curva mi fa dimenticare le sconfitte e la classifica che poco importano. Quello che m’importa veramente è che ora sono malata di Spal, e che ogni domenica sera sono già proiettata alla domenica successiva, guardo mio marito e gli dico “domenica bisogna vincere”.
Finisco, non voglio sembrare troppo sentimentale… ma l’ultima cosa che devo e voglio scrivere è: GRAZIE COF, GRAZIE SPALLINI dal profondo del mio cuore… Un cuore bianco e azzurro.

Come una poesia pochi ma chiari concetti per la “cosa più bella che c’è”
LA MIA RAGAZZA SPAL
di Alex Giaon

La mia Spal è una ragazza meravigliosa, la più bella del mondo!
Le piace vestirsi di bianco e azzurro, a volte di nero e altre di bianco.
La mia Spal è una ragazza unica, mi fa sognare, mi fa soffrire, mi ha tradito ed è capitato che mi deludesse tantissimo…
ma la Amo, con la A maiuscola e non riesco a starle lontano.
La mia Spal è il mio mondo, un mondo condiviso da persone infinitamente speciali, nei loro pregi e difetti… la mia Spal è che “Siamo sempre al tuo fianco, io di te non mi stanco, sei la cosa piu’ bella che c’e’!

In rima e no una dopo l’altro tanti motivi per una fede sola ma senza confini
LA MIA SPAL
di Luigi Telloli

La mia SPAL non perde mai e quando le capita è sempre per mano altrui.
La mia SPAL, l’importante è che abbia i suoi quattro puntini, nata in incerta data, amor vero e litigarello, lo trovo giusto lo trovo bello.
Alla mia SPAL ci credo per davvero perché nelle parole, ben più che nella vita mi reputo sincero.
La mia SPAL ha i miei anni, almeno il triplo, la mia SPAL non conosce il lodo Petrucci, i Maroni e l’Amato legiferar.
La mia SPAL non gioca in lega pro, la mia SPAL è ancora in A e sempre sarà.
La mia SPAL è ovunque, in ogni dove e non è mai sola, la mia SPAL è un isola se la chiami utopia.
La mia SPAL sono tante rinunce ogni volta che, in un’ipotetica bilancia, non raggiungono mai il “peso” che essa ha nella mia di vita, è una partita infinita, la mia SPAL è la rima che non ho mai trovato, la mia SPAL è la fortuna di creder sempre ben oltre le delusioni, la mia SPAL è un destino avverso nel qual scorgere in esso e attraverso.
La mia SPAL è lente e inchiostro, la mia SPAL son le persone migliori con le quali piango e rido di lei come di altro.
La mia SPAL sarà sempre lo Zio (ZAMUNER), Mino, “Dore” Bacci, Consonni (GIGI), Airoldi, Brescia, Labardi e chi non trovo nei ricordi…
La mia SPAL è iniziare a fumare solo per comprare le sigarette dal “Kaiser” Giulio Boldrini, la mia SPAL è con l’Alzano, l’Iperzola, il Napoli e il Bologna, la mia SPAL più che giorni son anni interi, la mia SPAL è diplomarsi il giorno dell’ultima promozione sul campo, la mia SPAL è rima forzata e incanto.
La mia SPAL è un mantra che mi rende vivo.
La mia SPAL sarà sempre vanto e tormento, razionalità zero e tanto sentimento.
La mia SPAL son io con gli occhi blu che guardo il cielo.
La mia SPAL è lei che mi diceva comunque t’amo, la domenica sola, la tele e il divano.
La mia SPAL sarà sempre a strisce verticali e sottili.
La mia SPAL è ovunque, in Italia e nel mondo, la mia SPAL è il suo dieci che da lassù melanconicamente sorride a un destino beffardo e senza ritorno.
La mia SPAL è antidoto e tormento, la mia SPAL è un tramonto e al contempo l’alba del nuovo giorno.
La mia SPAL è tant’altro e tanto, tanto ancora, la mia SPAL siam tanti, dal bambino al vecchio, la mia SPAL è ogni giorno, quando la mattina mi guardo allo specchio.
CIAO BEA, in sottofondo Golden brown, THE STRANGLERS…

La squadra del 1952, la prima volta in cui un tifoso vede Massei e poi scopre Picchi e assiste gratis all’ultimo quarto d’ora
IL GIRO D’EUROPA PENSANDO ALLA SPAL
di Silvano Gessi da Legnano (MI)

Avevo una età, ora mi rendo conto, in cui si comincia a ragionare e da lì in poi ad avere ricordi coscienti, probabilmente quattro anni o forse nemmeno. Con mio padre ero allo stadio della Spal una domenica in cui giocava appunto la Spal con il Torino. Era, credo il 1952, e quello che più mi colpì era l’entusiasmo e l’ammirazione della gente per un giocatore che perfino io vedevo che era forte: Massei. Mi feci raccontare da mio padre chi era quel Massei e lui mi disse che era un giocatore che veniva da lontano, dal Sudamerica e da quando c’era Lui alla Spal si vinceva spesso. Da allora seguii sempre per radio la Spal fino a quando a undici, dodici anni seppi che si poteva entrare gratis nell’ultimo quarto d’ora della partita. Io e un  mio amico tutte le domeniche che la Spal giocava in casa aspettavamo fuori dallo stadio che aprissero le porte per vedere gli ultimi minuti di partita, e una di quelle domeniche assistetti ad un fatto che mi colpì come Massei quando avevo quattro anni. Ero aggrappato alla rete dietro la porta della Spal, la partita era Spal-Catania forse del 1959-60, il portiere passò la palla a un nostro giocatore non lontano che correndo dritto verso la porta avversaria (lo vedevo in prospettiva) scartava uno, due, tre, quattro giocatori e faceva goal e la Spal vinceva. Era Armando Picchi e persino io vedevo che era un fenomeno. In tutti gli anni vissuti in provincia di Milano e durante i lunghi e frequenti viaggi in tutta Europa per lavoro ho sempre cercato sui giornali, alla radio, in televisione notizie sulla mia Spal sperando sempre di trovare notizie esaltanti su nuovi Massei e Picchi e per la verità non ho ancora perso la speranza.

Un racconto sulle origini dell’amore per la squadra biancoazzurra. Come conciliare il lavoro con il tifo
UN GIORNALAIO MALATO DI SPAL
di Federico Pansini

Immaginate che guaio: uno fa il cazzone per ventidue beati anni di esistenza, una vita agiata (grazie a quei santi di mamma e papà), una, parallela, universitaria che definire da “serie D” è forse un complimento (D fra le altre cose era anche la media voto di uno dei miei ultimi anni alle medie, credo quello in cui venni – giustamente – bocciato o “troncato” come si usa dire qui a Ferrara). Voglia di studiare, quindi, pochissima e di lavorare tanto meno (se non in estate, in campagna, a raggranellare i soldi per le vacanze con gli amici). Poi una bella mattina, questo classico esempio di “giovane non più così giovane di cui si parla spesso in tv scuotendo la testa” (cit.) si sveglia e pensa che l’unica cosa che gli riusciva, ai tempi del Liceo, era forse la scrittura, e che l’unica cosa a cui prestava un attenzione a dir poco “scolastica” era il pallone, in tutte le sue forme. E quindi perché non provarci, a fare il giornalista sportivo (parola grossa, grossissima, visto che nemmeno oggi, professionalmente, posso definirmi tale)?
Da qui, parte, o meglio, riparte il senso della mia malattia spallina. Facciamo un passettino indietro, ulteriore. Inizio con un tirocinio formativo, durata due mesi, sfioro la Spal con un paio di servizi. Era quella di Melotti e anche quella di Carrus a cui faccio la prima intervista da neo acquisto del mercato invernale. Mi ricordo una delle prime domande: «Ma è vero che in Sardegna ti hanno accoltellato per questioni amorose?». Sguardo da serial killer, la sua risposta migliore.
Che brutto inizio. Dire che ero alle prime armi, è forse poco: per questo probabilmente, all’epoca, il quotidiano che mi diede la possibilità di svolgere il tirocinio, mi rimandò a fare i “vox” agli anziani in piazza, argomento i “bagni pubblici” di futura costruzione.
Abbattuto, o meglio, sconfortato, ho mollato il mio sogno, e sono tornato a recitare il ruolo di pessimo studente, fino a quando la voglia di scrivere (la passione calcistica non è mai passata) si è rifatta sentire. Due anni e mezzo dopo. Altro giro, altra corsa, risultati – visto che ancora lo faccio – decisamente migliori. Diciamo subito che l’inizio non è dei più esaltanti: conferenze stampe, di cui fare l’articolo, riguardanti “maratone”, “concorsi automobilistici”, trofei di tennis provinciali. «Due palle» penserete: lo ammetto, l’ho pensato anche io.
Fino a quando, in un venerdì pomeriggio di fine aprile, arriva la chiamata tanto attesa, o forse meglio dire “sognata”: «Domani c’è la rifinitura della Spal, la seguiresti». Da quel pomeriggio, la Spal fa parte strettamente della mia vita. Pioggia, vento, neve, umido o caldo afoso: non me ne frega un cazzo. Per me andare al Centro di via Copparo, per quasi tutti i pomeriggi dell’anno, è un autentica liberazione da tutto: pensieri, scazzi amorosi (difficile conciliare donna e Spal, questo lo si sa), malumori. Pensateci, al guaio: uno pensa di fare il professionista serio, ma fatica a staccare da questo la propria passione. Forse non diventerò mai una firma prestigiosa (anche se i miei “maestri”, in questo campo, sono stati e sono a tutt’oggi fantastici) e chissà se questo sarà davvero il mio lavoro, anche perché fare il collaboratore a vita non ti garantisce la sopravvivenza (a livello economico, intendo), ma posso assicurare che unire un ambizione lavorativa ad una passione forte è la cosa più bella che possa accadere. Oltre che una discreta botta di culo. La Spal, la sua galassia, mi hanno regalato tanto in pochissimo tempo. Potrei raccontare dei “millemila” pomeriggi passati al Centro negli ultimi anni, del bel rapporto instaurato con i tecnici-dirigenti e i giocatori. Dei primi, soprattutto, ricordo le prediche “religiose” di Nicoletti, il garbo e la classe di Rossi, la carica di Buglio e la sua fame, l’amicizia spontanea con Roby Labardi, la timidezza, troppa, di Alessio, e non ultima l’originalità di Dolcetti. Poi ancora il rapporto di stima con Mangoni, quello un po’ più traballante con Tomasi. E l’ottimo, a livello lavorativo, attuale con Schena in primis, poi Butelli, Pozzi e Bena. Spostandomi al di fuori dell’ambito squadra, ripenso a Lillo e ai “fedelissimi” del Centro, che con tutti i loro discorsi ridondanti mi hanno spesso fatto rischiare l’abbiocco seduto sulla tribunetta di via Copparo; agli amici della Curva Ovest con cui si è instaurato un bellissimo rapporto di simpatia e rispetto reciproco, a quelli spallini e “Spallinati” conosciuti in questi cinque anni, alle serate emozionanti (Sala Estense e Boldini) che mi hanno fatto capire quanto sia stato strepitoso il passato dei colori biancazzurri. Io già un po’ lo sapevo, a dire la verità: grazie al mio babbo, bolognese e rossoblù purosangue (ahimè, ma non si può avere tutto dalla vita) che però alla Spal vuole bene, ed ebbe la bella intuizione di portarmi a vedere uno Spal-Verona in gradinata. Credo fosse il 93: tredici anni, pochi, ma utili per capire che il “Mazza” (“bolso” di gente), e la Curva Ovest che faceva venire i brividi solo a guardarla, avevano e hanno tutt’ora qualcosa di speciale, unico. Utili, per le pazzie da “sbarbo”, come quella di partire in treno per Bologna l’anno dopo, insieme a qualche altro amico folle, e godere come un “riccio” (scusa, papà) in mezzo ai nostri cinquemila al gol dello Zio “nel sette”. Oppure quella che nell’ultima giornata del ’98 (dopo altre partite memorabili vissute in Curva, come il derby con il Rimini) mi ha portato ad invadere il campo, scavalcando insieme ad altri amici pazzi di Spal, per andare a festeggiare la promozione e ad abbracciare Gianni De Biasi, che come altri miei idoli dell’epoca, ho avuto, grazie al lavoro, la fortuna di poter intervistare qualche anno dopo. Oggi, quando sono in tribuna stampa e mi sento fortunato per ciò che faccio, guardo però spesso, in silenzio emozionato, la Ovest e tutti quelli che sono li con un pizzico di invidia, perché vorrei essere li con loro: cantare, imprecare, soffrire, esultare. Essere giornalisti-tifosi è difficile, e forse per questo che “giornalaio”, come in molti simpaticamente mi chiamano, (chissà, magari un giorno aprirò una bella edicola) è il termine che meglio mi si addice. Forza Spal!

Un racconto sul calcio e sulla voglia di Spal in questo momento particolare
IO IL PALLONE E LA BENEAMATA
di Beatrice Bergamini

“Sei proprio un maschio”, o meglio, “tiè propria un masciuzz”. Me lo sento dire da quando ho circa tre anni. Però per me era un complimento. Sì perché i maschi giocavano a calcio. E io li invidio da quando ho più o meno cinque-sei anni. Campetto della parrocchia di Pontegradella, i maschi giocavano a calcio, le femmine guardavano. E io mi annoiavo. Loro invece si divertivano, giocavano per ore, fino a quando il sole diceva stop perché non si vedeva più lo specchio della porta. Erano esausti, ma felici. Quel “ci troviamo al campetto” che sottintendeva “ci troviamo al campetto a giocare a pallone”, quell’abnegazione che tutti, neanche uno escluso, riservavano a quella sfera tonda con i pentagoni bicolor cuciti, beh, mi affascina proprio da allora. All’inizio mi sembrava strano e non capivo bene. Come ci si divertiva a correre due ore avanti e indietro gli stessi 50 metri, sotto il sole delle tre del pomeriggio d’estate con la canotta o sull’erba con la brina d’inverno e il lupetto di lana? Ma loro instancabili, mai un tentennamento. Mi sembrava che giocare a pallone dovesse proprio essere la cosa più bella e divertente del mondo. Ho fatto diversi tentativi, a più riprese, per cercare di vivere anche io da dentro quella cosa meravigliosa. Ho elemosinato qualche spezzone di partita ai miei amichetti maschi ma non c’entrava nulla… Un po’ come adesso quando capita di volere giocare a racchettoni sulla spiaggia e vengo liquidata con un “Dai, dobbiamo fare un beach serio”. Ecco, se giocavo io diventava una farsa di partita, l’atmosfera magica si vaporizzava, tutti attenti a non farmi male e a passarmi il pallone per esser gentili. Quindi era come non giocare. Da lì però avevo capito cosa mi affascinava irrimediabilmente del pallone: fare gruppo, mettersi con tutta l’anima per raggiungere un obiettivo, ma insieme agli altri. Da soli non si faceva niente. Era quella micro-realtà che si instaurava in quel rettangolo di prato ad attrarmi. Ho provato con il basket, ma non era la stessa cosa. L’unica soluzione era di iscrivermi ad una squadra di calcio femminile ma dopo le minacce di mamma Fiorella di mandarmi fuori di casa (a tredici anni? Come avevo potuto crederci?) decisi di appendere le mie scarpine da calcio mai usate al chiodo. E con loro le mie speranze di vivere da protagonista quella realtà. Però dalla porta di servizio potevo ben entrare, e cioè diventando tifosa. Sì, non sarebbe mai stata la stessa cosa, neanche lontanamente, ma piuttosto che niente… Perché anche vederlo, questo calcio, doveva essere una cosa meravigliosa, se il nonno Irmo negli anni cinquanta partiva in bicicletta da Salvatonica, vicino a Bondeno, con mio papà Gianni che era un bimbo sul cannone, più di venti chilometri di strada, per andare a vedere la Spal. Dunque, la Spal, che per me è sinonimo di calcio. Ma soprattutto sinonimo di casa. Il centro di via Copparo distava poche centinaia di metri da casa mia. Avevo sedici anni, la Spal era stata promossa in serie B e da quell’anno il virus non mi ha mai lasciato. A Pontegradella c’era anche il mito dell’Adele, il baretto che su via Pioppa era stato per anni in ritrovo di tanti spallini, quando i giocatori soggiornavano anche al centro di via Copparo. Io non l’ho mai visto, troppo giovane, ma ogni volta che passo davanti al luogo dove si trovava penso: “Ecco, lì c’era l’Adele, e forse ci sarà anche passato Fabio Capello o Oscar Massei per un caffè”. La Spal per me è senso di appartenenza, di casa, di infanzia, di adolescenza, di crescita, di, forse, maturità. Di certo non andrà più via. La domenica significa Spal, la domenica senza Spal la noia. “Tiè propria un masciuzz”. Eh sì, grazie del complimento.

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