CARERI, AMICO DELLA SPAL E UN TIPO DA OVEST

Ci sono calciatori che magari non battono il record di presenze con la maglia della propria squadra, nè, dopo averla lasciata, spiccano il volo verso l’olimpo del calcio per manifesta superiorità tecnica, eppure rimangono nel cuore dei tifosi più di altri, grazie alla loro umanità. Questa descrizione calza a pennello a Gianni Careri, portierone spallino per tre stagioni, l’ultima delle quali vissuta all’ombra del primo Capecchi. Careri a Ferrara ha saputo farsi voler bene da tutti, indipendentemente dalle presenze domenicali o dai voti in pagella del lunedì, ed è tuttora molto legato all’ambiente spallino e ai suoi tifosi. La chiacchierata con lui avviene mentre porta a spasso i suoi tre splendidi e impegnativi cagnoloni: due boxer e un Dogue de Bordeaux di sessanta chili, somigliante al Tequila della serie televisiva “Tequila & Bonetti”, tanto per intenderci. Queste due razze presentano parecchi elementi caratteriali simili: hanno grande saldezza di nervi e stabilità caratteriale, sono coraggiosi senza mai essere aggressivi, hanno un’indole positiva ed un’inarrestabile gioia di vivere, sono affettuosi e leali, socievoli e protettivi, curiosi e giocherelloni. Non a caso, queste caratteristiche si ritrovano facilmente anche nell’ex biancazzurro: si spiega così l’intesa perfetta tra lui e i suoi cani, e anche la naturalezza con cui Gianni conquista inevitabilmente le simpatie di tutti quelli che entrano nella sua sfera d’azione. Se i tre cagnoni abbaiano in continuazione, Gianni è un fiume in piena di parole, ed è un piacere starlo ad ascoltare mentre si racconta.
“Sono nato a Bologna da papà calabrese e mamma di Riccione. Sono cresciuto a Borgo Panigale, terra di motori e della Ducati. Ho fatto tutta la trafila delle giovanili del Bologna fino alla Primavera, poi ho scelto di andare nei dilettanti per poter giocare. A seguire, sono venuti dieci anni di C, faticosi”.

Cos’è cambiato in serie C (chiamiamola così per semplicità), rispetto a dieci anni fa?
“Innanzitutto, le regole erano diverse. Quelle attuali sugli under obbligatori sono giuste, perchè il livello tecnico ed economico generale si è abbassato. La vittoria ai mondiali è stata solo uno specchietto per le allodole, mentre la riprova di quanto dicevo prima è, ad esempio, il Cesena, che tre anni fa era in C con la Spal, ed ora è in serie A. Fino a un paio d’anni fa, anche la C2 era un buon campionato, dove potevi permetterti un lusso come La Grotteria, mentre ora economicamente le società non ce la fanno più. Spero che queste regole degli under siano un modo per recuperare il movimento, e che tra cinque o sei anni il livello torni ad alzarsi, grazie alla crescita dei giovani”.

Però, con l’obbligo di impiegare i giovani, sono andati in difficoltà tanti giocatori non certo “vecchi”. Anche tu, a soli ventotto anni, sei una vittima della crisi del calcio e di queste nuove regole.
“Sono molti i giocatori a spasso. Giusto o sbagliato che sia, è inutile discutere. La fascia più colpita è quella tra gli ’80 e gli ’85, che è stata distrutta, con l’inevitabile conseguenza che molti di questi calciatori andranno a giocare nelle categorie inferiori. Io ho scelto di svincolarmi dal Melfi al termine della scorsa stagione, rinunciando ad un altro anno di contratto, e di aspettare nuove opportunità dal mercato, ma chi ha famiglia ha deciso di accontentarsi delle serie inferiori”.

Anche a Ferrara avevi rinunciato ad un anno di contratto per andare a giocare da titolare. Poi, però, cos’è andato storto a Melfi?
“A Ferrara, in una realtà dove il giocatore è tutelato, ero abituato molto bene. A Melfi mancava tutto, non avevo a che fare con gente dalle buone competenze. Erano molto più dilettanti che professionisti”.

Hai già dei contatti con qualche squadra per tornare a giocare?
“Ci sono state alcune occasioni che non si sono concretizzate, così adesso ci si deve concentrare sul mercato di gennaio. Il ruolo del portiere ha meno spazi, e bisogna stare in allerta sulle piazze dove può succedere qualcosa”.

Descrivi la società ideale dove ti piacerebbe giocare, per non incontrare i soliti problemi che hai vissuto negli anni scorsi.
“L’importante è compensare: se non hai una soddisfazione di un genere, devi cercarla di un altro. A Melfi c’era la soddisfazione economica, ma non organizzativa, ed io ora sono portato a scegliere l’organizzazione nel tempo, perché le società che programmano hanno più soddisfazioni. I giocatori sono in balìa del movimento, i contratti pluriennali sono più rari perché manca la sicurezza economica, e quelli di sei mesi o un anno non gratificano. Per come vivo il calcio, preferisco guadagnare meno ed essere tutelato da una programmazione pluriennale in una Promozione che ambisce alla C2, piuttosto che guadagnare di più in C1 ed arrivare a fine stagione giusto per mantenere la categoria e non scomparire”.

Che momento è, per te, quello che stai vivendo?
“Non mi preoccupo, anche se ora mi annoio. Nel Bolognese mi hanno cercato in tanti, ed usufruisco dell’ospitalità delle società dilettantistiche allenate dagli amici. Alleno i loro portieri, che sono stimolati perché vedono come sono fatti gli esercizi nelle categorie superiori. A Zola Predosa. dove giocano in Promozione, stanno investendo: ad esempio, hanno ingaggiato Chomakov (ndr: una carriera spesa tra la massima serie bulgara, quella greca, e la B e la C in Italia).

Lì gioca Millemaggi, anche lui ex portiere spallino.
“Sì, infatti alleno anche lui. Allenare i portieri a Zola è il mio passatempo maggiore, che si sta prolungando e sta diventando un lavoro impegnativo, anche perché sono diventato il riferimento tra squadra e l’allenatore Biagini, un amico. Comunque spero sia una cosa provvisoria, perché a ventott’anni voglio giocare. A dire il vero, lo faccio al lunedì negli Amatori, ma come centrocampista, perché mi diverto”.

Stai ponendo le basi per un futuro da allenatore dei portieri?
“E’ un assaggio per vedere se potrà essere il  mio futuro”.

E’ un ruolo in cui ti sei già cimentato coi ragazzini della Spal.
“Sì, sempre in amicizia li ho allenati anche l’estate scorsa al camp estivo. Sono portato ad allenare i ragazzini. E’ più un piacere mio e, se l’estate prossima dalla Spal non mi chiamano, li chiamo io!”.

Cosa ti dà più soddisfazione allenando i giovani?
“La cosa più bella è vedere il sorriso sulla loro faccia. Quando eseguono un movimento giusto sono contenti, e io con loro, perché ce l’ho fatta a spiegarglielo”.

A Ferrara hai avuto due preparatori: Ferroni e Lazzarini. Quali sono le differenze tra i due?
“Ferroni ha un carattere molto forte e va a tirare fuori il carattere di chi allena. A me ha dato una grande consapevolezza del mio fisico e delle sue caratteristiche. Lazzarini è il polo opposto. Riesce a venire fuori bene perché l’età gioca a suo favore ed è giovanile, ma entrambi sono completi. Se senti i preparatori, uno dice che l’altro non ha ragione, ma, se tante persone la vedono in maniera diversa, è perché il ruolo del portiere è complesso”.

Qual è la tua squadra del cuore?
“Non c’è. Sono più legato ai giocatori. Da piccolo tifavo Milan, poi sono cambiati i giocatori e non sapevo più per chi tifare. Ho sempre tifato per la squadra dove giocavo: ad esempio, il Castelnuovo Garfagnana, e non il Bologna, dove sono nato. In generale seguo la Champions League e i giovani, dove il calcio è più puro (il caso Moggi ne è la riprova). Più che la squadra, mi rimane impresso il fuoriclasse, la giocata: tanto per farti un esempio, se penso all’ultima finale di Champions League, mi viene in mente Milito, più che l’Inter ”.

Come spieghi il grande affetto che la Curva Ovest di Ferrara prova ancora per te?
“Ho conosciuto molti ragazzi che vivono di Spal, mi sono presentato a diverse serate, ho pure giocato a calcetto a Vigarano l’estate scorsa. Sono solare e ho legato bene coi tifosi. Ero molto in sintonia con la loro voglia di vincere, e si vedeva, così la curva si è affezionata”.

Ricordo i tuoi riti, soprattutto prepartita, sotto la curva.
“Sì, c’era la sciarpa da legare alla rete, la magliettina da regalare, il saluto e l’applauso ai tifosi, la chiacchierata per dire se c’era bisogno d’incitare di più. Ero il tramite dei tifosi nei momenti meno belli”.

Sei rimasto legato anche alla città?
“Vengo spesso a Ferrara, perché è una città organizzata, piena di eventi, che a Bologna, ad esempio, non ci sono. Penso ai Buskers, alle mostre di Palazzo dei Diamanti, ed anche ai locali serali”.

Ora Capecchi è nel ruolo di secondo che fu tuo l’ultimo anno a Ferrara, con lui titolare. Tu come vivevi questo scomodo ruolo?
“Un anno di panchina poteva starci, e mi ha dato la possibilità di conoscere persone che mi hanno capire che il calcio è a livelli più alti di quelli a cui ero abituato. Avevo altre offerte, ma ho scelto di rimanere per vivere la C1 dopo la promozione, seppure a seguito del ripescaggio. Un altro anno in panchina, però, non l’avrei fatto perché ero ambizioso, irrequieto. Capecchi ha stretto un eccellente accordo con la società per il futuro, ha fatto una scelta di vita, e l’età aiuta ad accettare la panchina, dalla quale può far bene con mille atteggiamenti positivi”.

A differenza di Capecchi, si può dire che tu sia capitato troppo presto a Ferrara?
“Sì, quando sono arrivato avevo fatto un pensierino a Pierobon, e avevo sperato di rimanere a lungo come lui. Far parte di una società come la Spal e lavorare in una città come Ferrara è una gran cosa, e qualsiasi telefonata col prefisso di Ferrara avrà sempre una risposta positiva, anche solo per un saluto”.

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