I PIETRO VERRI (POCHI) E I TAFAZZI (TROPPI)

Da ragazzino, prima ancora di compiere un decennio, diventai tifoso della Roma perché passavo tutte le estati a Fregene, avevo una marea di amichetti, come si dice nella Capitale, di quelle parti e poi mio cugino cercava, e non faceva fatica, di inculcarmi il germe della Magica un giorno sì e l’altro pure. Così, qualche giorno prima della Pasqua, siccome mi trovavo a Roma dagli zii, mi portarono a vedere gli allenamenti della Roma di Liedholm a Trigoria. Avevamo un amico che lavorava per l’aesseroma e che riuscì a farmi vedere i miei beniamini da vicino. C’erano già Bruno Conti, Carlo Ancelotti, il bomber Pruzzo, il Re Falcao e il mio mito Toninho Cerezo. Durante l’allenamento successe che il mitico Ago (oh Agostino, Ago-Ago-Ago), spappolò la faccia di un altro giovane tifoso che si era appoggiato alle reti di recinzioni – quelle vecchie, verdi – per tentare di fare qualche foto. Tirò una punizione delle sue, il povero Di Bartolomei, e quel ragazzino finì dritto all’ospedale con chissà quali danni facciali. Io, che ero, sono e spero di restare un cojone romantico e malato di calcio, pensai che avrei voluto essere al posto di quello sfortunato così da ricevere poi la visita della Magica in ospedale, magari la maglia di “Toninho il tappetaro”, la divisa della Patricks e tutti quei vari gadget che ancora oggi, scioccamente mi affascinano.
Ma ero diventato tifoso della Roma che era gialla come er sole e rossa come er core mio soprattutto perché non mi capacitavo (e ne rimanevo affascinato) del fatto che anche quando obiettivamente la squadra faceva schifo (all’inizio, ma ancora per poco, era ancora la cosiddetta Rometta) il mitico Commando Ultrà Curva Sud, i Cucs, cantava lo stesso, tifava lo stesso, anzi sosteneva la Roma ancora più forte e tutte le domeniche che scendevano in terra esponeva uno striscione con scritta rossa su sfondo bianco con scritto: “La Roma non si discute, si ama”. Trovavo, e trovo tuttora, magnifico quell’attaccamento a prescindere, quel sostenere sempre e malgrado tutto, quella passione anche becera che ti porta a difendere i tuoi eroi pure quando sono indifendibili, persino quando fanno un autogol, addirtittura quando passano alla squadra nemica. Sei sotto di un gol? Bene, si canta ancora di più. Mancano cinque minuti e stai perdendo all’Olimpico contro l’Ascoli? Benissimo, è colpa di quelle fottute calze rosse di Rozzi, ma in Sud si sente solamente il coro: “Canteremo fino alla morte innalzando i nostri color… che ci vien dal profondo del cuor…”. Ecco, a me venivano i brividi e anche se la partita non la vedevo perché rimanevo rapito da quei tamburi e da quei ragazzi che erano viola per gli sforzi che facevano, non mi fregava nulla, e anche a loro credo, del risultato. Poi, quando l’arbitro decretava la sconfitta casalinga, si usciva dallo stadio e se qualcuno provava anche solo a mettere in discussione l’impegno chessò di Sebino Nela o pure di Claudio Valigi si prendeva due vaffanculo perché, appunto, la Roma non si discute, si ama.
Pensavo a tutto quello di cui sopra anche in questi giorni, ma mi succede spesso,  mentre leggevo su Facebook e un amico mi riportava altri commenti su Monza-Spal a spasso per il web, e devo sinceramente dire che lo sconforto mi ha preso da dietro, sì mi ha sodomizzato, perché credo di essere malato per l’unica squadra di calcio in Italia che non viene mai, ma proprio mai, difesa dalla maggioranza dei propri tifosi. Anche dopo lo scempio di Monza  (raccontato persino dai giornali locali e ammesso addirittura da qualche giocatore avversario!) che chi era in Brianza ha riferito avere  pochi precedenti, molti tifosi spallini hanno cominciato a sparare nel mucchio. A parte le solite sentenze da pseudo allenatori è ripartita la caccia grossa. Quella che non tanto tempo fa faceva scrivere a un bel po’ di ultras (si fa per dire) da tastiera che, per fare solo un esempio, Zamboni era un ubriacone. Gli stessi, che poi si potrebbero catalogare alla voce “soliti noti”, oggi scrivono che Notaristefano non capisce un cazzo di calcio (cristo, ha giocato quindici anni in serie A!), che Pozzi è un pazzo, che anche Butelli si è bevuto il cervello, che Melara è bollito, che Fofana in pratica è uguale a Bisso e via di questo, triste seguito. A prescindere dai giudizi personali, per me il discorso è un altro. E non è nemmeno nuovo. Intanto parlare, o peggio ancora scrivere con quel certo e non inusuale livore, senza aver visto, fa un po’ senso e aggiungerei schifo, anzi ribrezzo per essere più ferrarese. Ed è il motivo per cui io stesso, nella mia rubrica di ieri, mi sono avventurato poco sull’arbitraggio di Monza in quanto i cinquanta (!) euro spesi per pagare il corriere che mi portasse a Roma, ieri mattina, il dvd della partita registrata da Telestense mi ha consegnato due ore di “nero” perché, a Ferrara se ne saranno accorti in tanti, la partita di domenica di fatto non è stata trasmessa.
Ritorno a bomba, come si dice, per ribadire che mai potrò capire questo tafazziano (e ci vado leggero) atteggiamento di molti, anzi troppi, tifosi della Spal nei confronti della loro squadra e non certo da oggi.  In tutti i posti del mondo, anche beceramente, quando subisci un’ingiustizia va in scena la rivolta. Qui no, qui succede il contrario.  Si mette in campo, anzi on line, una rivolta sì, ma del gambero. Contro la propria squadra, cioè. Ci si è sempre lamentati per il fatto di accettare qualunque cetriolo in silenzio. Ecco, stavolta persino uno come il Presidente Butelli, che mai ha parlato di arbitri, perde la brocca e, a caldo, dice fin troppo. Ma non va bene nemmeno questo perché, appunto, è colpa nostra, della nostra squadra, dei nostri giocatori, del nostro allenatore. Sempre e soltanto critiche. Sempre e soltanto ironia, anch’essa di tafazziana memoria. Vinci a Como tre a due? Non si esulta, non si manifesta felicità, no. Ci si chiede, invece, perché si sono presi due gol. Soltanto noi, e intendo ferraresi, non manteniamo nulla di quel sano, anche becero ripeto, modo di vedere il calcio che porta tutto il mondo a valutare con un unico metro di giudizio, il proprio, le sorti e le prestazio,ni della propria squadra del cuore. Non capisco, nemmeno mi adeguo e mai lo farò. La mia squadra, in questo caso la Spal, da tifoso la difenderò e, sempre beceramente, incolperò l’erba messa male o l’arbitro o la pioggia o la diarrea del centravanti tutte le volte che lo spettacolo non sarà entusuiasmante e i punti portati a casa non saranno tre.
Anche la Spal non si discute ma si ama. Le disamine tattiche, tecniche, così come gli schemi, possono andare a cagare. Anche quando in panchina ci sarà Oronzo Canà. Saprà lui ciò che per noi è meglio perché io, tifoso qualsiasi e ovviamente (insisto!) becero non ci capisco un cazzo. La Spal, quando non vince, è sfortunata. La Spal, se va in svantaggio, va sostenuta. La Spal, se perde, va giustificata. La Spal, se fa fatica, va incoraggiata. Tanto, la notte seguente, sono io e quei tifosi veri, a non prendere sonno. Mi faccio una pippa per rilassarmi piuttosto che scrivere accuse e sentenze al buio nei confronti di questo o quell’altro. Ci sono i giornalisti, per le analisi varie, o i diretti protagonisti che quando si è giocato male non mi pare abbiano accampato chissà quali scuse. Io faccio come Pietro Verri, mio indiscusso idolo da quando avevo la fortuna di poter andare alla Spal in casa e pure in trasferta. Parlo d’altro, cioè, e mi godo la gita con gli amici a Monza o a Pieve di Soligo. Mi bevo quindici birre di più. Cerco , nell’alcol, un’allegria che non ho perché l’arbitro quando non mi concede tre rigori inesistenti a partita è un cornuto a prescindere. Perché se il mio bomber spara alto da mezzo metro è colpa di quel ciuffo d’erba maledetto e l’inserviente del campo in questione va impiccato. Perché se Zambo sbaglia un intervento (ma che esempio del cazzo, quando mai Zambo sbaglia un intervento?) è perché ci sarà un magazziniere coglione che gli ha dato due scarpe destre. Perché se la squadra ics ci ha battuto è soltanto merito di quel bucio di culo infinito che ha. Ma che cazzo? Ma basta! Ma la vogliamo finire di frantumarci i coglioni da soli? Ma vogliamo dire che negli ultimi vent’anni sono cambiati presidenti, direttori generali, direttori sportivi, giocatori, medici, accompagnatori e continuiamo a non vincere mai? Che cosa non è cambiato, a parte tutti i protagonisti, nei tanti, troppi, decenni vuoti che precedono questa stagione? Siamo solo noi – Vasco non c’entra – che siamo rimasti gli stessi. Noi tifosi, o presunti tali. Anzi voi.
Perché io andavo in curva Sud e  in curva Ovest, io sul mio Iphone ho lo screen saver con PV vestito con il cappellino da vichingo e i ragazzi a tavola nella trasferta di Potenza, io canto ancora che Pance e Fioro sono i capi degli ultras, io innalzo la povera Daniela a mio prototipo di tifoso ideale, io quando scrivo su facebook parlo di gnocca e mi incazzo sulla situazione politica italiana se la Spal non ha vinto. Giro al largo, io. Non mi accanisco. Non mi faccio prendere da questa ingiustificabile, inutile e dannosa cattiveria. Io voglio essere felice. E lo sono a prescindere perché tifo Spal mica Juventus, Internazionale, Albinoleffe, Atalanta. Quando l’argomento è la Spal io rinasco. Io passo ore della mia giornata a obbedire ciecamente all’unico motto mondiale che riconosco. Quello che mi invita a fare quello che posso per la mia Spal. Io tifo. Io bestemmio. Io urlo. Io soffro. Io piango. Io non dormo. Io me ne sbatto quando perdo. Io mi preparo psicologicamente per la domenica dopo o per l’anno seguente. Io sono la Spal. Perché “La Spal siamo noi” è una frase del cazzo se poi si vomitano le proprie frustrazioni avventurandosi in ridicole analisi tattiche a scatola chiusa volendo sostituire o cacciare tizio o caio a ogni partita sbagliata. Io, per chiudere, sono uno che si andrà a fare il suo prossimo tatuaggio, il sesto, con scritto: “Tafazzi vai a cagare, e tifa per il Portogruaro che è meglio”.

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