Il più è fatto. La rivoluzione è quasi compiuta. Le basi dell’anno zero sono lì, a portata di raduno. Il campo, poi, dirà come sempre dove si è fatto bene e dove, invece, c’è ancora da fare. Ma una cosa è sicura e va fissata bene in mente. Quella che sta nascendo è la prima Spal di un progetto triennale obbligatorio dopo il fallimento degli anni precedenti. Un progetto che guarda al futuro e che, quindi, riparte dai giovani e da una filosofia societaria completamente diversa, se non addirittura opposta. A leggerla come autocritica è un gran bel segnale. Gli errori sono dietro l’angolo e stanno tutti, o quasi, dentro l’ultima stagione, quella del sogno svanito, anzi dilapidato, infranto. L’anno che poteva essere e non è stato si è portato appresso l’infinita delusione del popolo spallino disamorato e fuggito dal Paolo Mazza. Questo, in fondo ma nemmeno troppo, è il vero, grande problema. Risolvibile, però. Come tutto. Come la sopravvivenza in un torneo che non regala risarcimenti economici e, spesso, riserva solamente delusioni.