ALLA SCOPERTA DI NAZZARENO SALVATORI, UNO DEI PRINCIPALI RINFORZI BIANCAZZURRI. DA MAZZONE A GUARDIOLA, IL PREPARATORE RACCONTA LA SUA LUNGA CARRIERA

Nazzareno Salvatori è il nuovo preparatore atletico della Spal. Di lui abbiamo già scritto qualcosa. Della sua meticolosità, della sua esperienza, del fatto che sia un martello tanto da avergli dato questo soprannome. Di sicuro si tratta di un professionista con un curriculum decisamente notevole visto che ha lavorato in squadre di calcio di serie A di mezza Europa, e anche all’estero. E ha fatto pure diverse esperienze in altri sport.

La sua carriera sportiva è decisamente notevole. Complimenti. Qual è stata l’esperienza sportiva più importante?
“Grazie per i complimenti. Le soddisfazioni più importanti, sia professionali sia umane le ho avute sicuramente al Brescia di Carlo Mazzone. E’ inutile che spieghi cosa vuol dire avere in squadra giocatori del calibro di Baggio, Guardiola, Pirlo, Toni e Appiah. Per non citarne altri poi… Già questo significa “Il Calcio”. Avevamo un’altissima qualità tecnica e anche umana. Da quest’ultimo punto di vista direi quasi un calcio d’altri tempi. Fatto di altri valori. Una situazione che ti regala grandissime soddisfazioni e grandissime emozioni sul campo. Mazzone, poi, è un professionista di uno spessore incredibile, e stargli di fianco è come andare a scuola: c’è solo da imparare. Ecco perché l’esperienza a Brescia è quella che più di tutte ha lasciato il segno. Perché mi ha portato delle esperienze umane, che sono quelle che veramente rimangono. Anche se non sempre sono facili”.


Un momento difficile?

“Sicuramente la scomparsa di Vittorio Mero in quel brutto incidente stradale. Un fatto che sconvolse tutti. Fu veramente durissima, drammatica. Ma ci diede anche una specie di forza. Quell’anno arrivammo a una salvezza a dir poco insperata. Quasi ce l’avesse mandata lui. Anche Emanuele Filippini, suo grandissimo amico, che non aveva mai segnato in serie A, dopo questo fatto, precisamente nella trasferta di Lecce, andò a realizzare il suo primo gol. Sono situazioni che non riesci a spiegarti. Che danno la pelle d’oca. E che mi hanno trasmesso delle emozioni che non riesco bene a spiegare”.

Ha parlato di “calcio d’altri tempi”. Cosa intendeva? E cos’è cambiato?
“Ma, guarda, spiegarlo è difficile. Posso provare a farlo capire con un aneddoto. Ero a Brescia, ovviamente. Una partita in casa, al Rigamonti. Baggio torna finalmente disponibile dopo l’infortunio, ma non parte dal primo minuto. Il capitano titolare di quella partita quindi era il vice, Guardiola. Quando Roberto entra in campo, a partita inoltrata, Pep si toglie la fascia, lo raggiunge, la consegna a Roberto e torna al suo posto. Una cosa proibita dal regolamento, visto che il capitano in quella partita era lui e non era stato sostituito. Ma fu un gesto dal valore morale talmente alto che l’arbitro non disse nulla. Un gesto di rispetto e stima verso il giocatore Baggio. Fu un’emozione fortissima. Ecco, questo intendo per “calcio d’altri tempi”. Non lo dico certo in senso temporale. Non stiamo parlando di un’altra epoca lontana. Ma di un gioco in cui c’erano altri valori, in cui le cose che contavano erano altre. Cosa è cambiato? Una volta il calcio era considerato un lavoro con tante opportunità in più rispetto a un lavoro normale, e non solo economiche. Un lavoro per chi aveva il dono del talento calcistico. Un privilegio da onorare. Quindi la priorità di un calciatore era lavorare e giocare a calcio. Insomma, essere un calciatore. Oggi mi sembra di vedere, soprattutto tra le giovani leve, certa gente che forse tiene di più a “mostrare” di essere calciatore, alla “copertina” diciamo, più che alla sostanza. Forse si ritiene più importante sembrare un calciatore piuttosto che esserlo. Ma averne solo l’aspetto non conta molto. Io credo che il valore di un giocatore si possa misurare solo da ciò di cui è capace dentro al rettangolo verde. Solo lì ci si può guadagnare il rispetto e la stima dei compagni e dei tifosi, come è stato per Baggio, ad esempio. Semplicemente perché, appunto, sul campo non si può “apparire”, lì si può solo “essere” veramente. Non ci si può guadagnare la fama di calciatore solo perché lo si sembra o lo si ostenta. Sono questi i valori che vedo un po’ in calo oggi e che invece erano molto importanti in quella generazione di calciatori di cui parlavo prima. Per inciso, non mi riferisco alla Spal o ad altre esperienze passate in particolare. È una considerazione generale. Un’altra cosa che spesso non mi piace del calcio di oggi sono i procuratori. Credo che con il loro lavoro influenzino e a volte addirittura rovinino la carriera dei calciatori, specie di quelli più giovani. Ma questo è un altro discorso”.

Ci dica qualcosa di Pep Guardiola.
“Beh, quello che Pep è stato in grado di fare a Barcellona è sotto gli occhi di tutti. Ora sarebbe fin troppo facile dire che a Brescia si poteva già vedere in lui un allenatore in erba… Però bisogna ammettere che qualcosa si intuiva del suo talento. Di lui posso dire che è una persona meravigliosa. Con tutti noi dello staff ha avuto un bellissimo rapporto, e forse con me in particolare. Ad instaurarlo, purtroppo o per fortuna, fu la brutta faccenda della squalifica per doping in cui fu coinvolto. Ne uscì pulito. Fu riconosciuto innocente. Ma intanto, nell’attesa della sentenza, i suoi quattro mesi di squalifica se li fece… In quel periodo lontano dai campi si butto un po’ sull’allenamento, e così ebbi modo di lavorare con lui a più stretto contatto. Ricordo ancora che dopo ogni sessione con la squadra si fermava sempre una mezz’ora in più con me per fare altri esercizi. Tornò a giocare in ottima forma sotto ogni aspetto, fisico e morale. La stagione successiva a questa vicenda, nonostante l’età non più giovanissima per un giocatore, andò addirittura alla Roma. Anche questa fu una grande soddisfazione per me. Ancora oggi mantengo qualche rapporto con lui. Poca cosa, perché essere allenatore del Barça è un impegno veramente pressante. Però qualche messaggio ce lo scambiamo ancora, e lui trova sempre il tempo di rispondermi. Lo fa con una cura e un affetto disarmanti. Chiede sempre di me e della mia famiglia. Ho una grande stima nei suoi confronti. Posso dire inoltre che anche come allenatore ricalca perfettamente quei valori positivi di cui parlavo prima. Dopo il suo successo sono arrivate proposte decisamente faraoniche per lui dal Qatar. Forse a scopo più pubblicitario che tecnico. Ma lui le ha sempre rifiutate per continuare a lavorare in un certo modo e continuare a fare quel calcio. Ricordo che a un giornalista che gli chiedeva il perché di questi rifiuti rispose che sarebbe andato solo se uno sceicco gli avrebbe comprato anche il 90% dei giocatori del Barcellona”.

E di Roberto Baggio cosa può raccontare? Ha ancora rapporti con lui?
“Roberto, con i suoi nuovi ruoli molto pressanti in Federazione è meno reperibile. Quindi lo sento un po’ meno. Ma potrei trovarlo in ogni momento, e sono sicuro che sarebbe disponibile come lo è sempre stato. Di lui cosa dire… Credo sia quasi superfluo spiegare che grande persona sia. Anche questo è sotto gli occhi di tutti. Per dire che calciatore e che uomo è, e che cosa volesse dire avere uno come lui in squadra, forse potrebbe bastare una battuta che mister Mazzone gli diceva prima delle partite: “Roberto dai, prendili per mano anche oggi e portali in campo”. Ecco, questo è Roberto Baggio. Un punto di riferimento. Non serve dire altro”.


Cosa le hanno dato invece le altre esperienze all’estero e quelle in altri sport?

“Lavorare all’estero mi ha dato modo di vedere altri modi di intendere il calcio, e forse ha messo anche un po’ in discussione qualche mia convinzione. Un esempio sicuramente importante viene dalla mia esperienza in Scozia. Mi piace sempre ripetere che se i nostri atleti, in Italia, in qualsiasi categoria, avessero lo stesso animo pugnante degli scozzesi noi non avremmo nessun problema nelle competizioni internazionali. Credo che là sia stata l’unica volta in cui invece di spronare a fare di più ogni tanto dovevo chiedere ai ragazzi di rallentare… Una cosa impressionante. Un’altra questione è legata all’alimentazione. Una parte della preparazione atletica alla quale in Italia è dedicata un’attenzione spasmodica, e che invece in altri paesi è quasi trascurata. In Scozia ho visto i giocatori mangiare da McDonald’s prima delle partite. In Romania mangiavano il formaggio fritto. Oppure facevano colazione direttamente al campo prima di fare allenamento. Cose agghiaccianti. Eppure è così. E quindi, dopo lo stupore, vedendo che comunque si fa così in diversi posti, inizi anche a chiederti quale sia la cosa giusta. Chi è che ha ragione? Per quanto riguarda, invece, i miei lavori negli altri sport posso direi che sicuramente mi hanno aiutato ad allargare il mio punto di vista. Con ricadute positive anche sul calcio, in seguito. L’esperienza più particolare è stata forse quella con L’Aquila Rugby. E’ stata molto dura, avevo molti atleti ed ero costretto a doppi turni tutti i giorni per allenarli tutti divisi in due gruppi. Però l’ambiente rugbistico è molto particolare. Diverso da quello calcistico. È viverlo è stata sicuramente un’esperienza che mi ha arricchito”.

Prima di parlare della Spal un’ultima domanda sulla sua carriera è obbligatoria. Argomento: Carletto Mazzone. Sicuramente un grande professionista, un personaggio particolare e, par di capire dalle sue parole, un uomo che le ha dato molto. Non le chiederò di parlare di lui. Forse ci si potrebbe scrivere un libro… Ci racconti di Mazzone attraverso qualche aneddoto.
“Di aneddoti sul mister ce ne sono tantissimi… E a lui non piace molto che si pubblicizzino. Però… Ad esempio, ricordo che dopo la famosa corsa sotto la curva contro i tifosi dell’Atalanta il questore ci mandò a dire in panchina che, per evitare aggressioni, al termine della partita non dovevamo nemmeno andare negli spogliatoi, ma raggiungere subito l’uscita. Là ci aspettava una volante che a una velocità veramente folle per le vie di Bergamo ci portò via. E Carlo, dopo l’ennesima curva a sbandata, intervenne con i due agenti della macchina dicendogli, nel suo classico romano bonaccione :“Ahò, ma nun è che siete più pericolosi voi dei tifosi dell’Atalanta?”. Oppure ricordo che in ritiro, dove il menù a tavola è sempre molto rigido, dopo qualche tempo ci furono rumori da parte dei giocatori per il solito petto di pollo del mercoledì, e il mister li zittì dicendo: “Ragazzi, voi sapete che il mercoledì se magna er petto de pollo. Gli altri giorni a casa nun lo magnate…”. Queste sono cose simpatiche per dire un po’ che personaggio è. La sua caratteristica più forte forse è proprio la spontaneità. Una dote che è simpatica ma che ti consente anche di risolvere delle situazioni critiche. Comunque queste sono battute. Il Mazzone professionista è ineccepibile. Se io sono arrivato dove sono arrivato è grazie a lui, perché è lui che mi ha insegnato il mestiere. Quando ho iniziato ero un giovane rampante, forse anche un po’ saccente. Ma stando vicino a lui ho capito quanto avevo da imparare, e sono cresciuto molto. Come allenatore era veramente un esempio. Le partite lui se le giocava almeno dieci volte prima del fischio di inizio, in stanza con sua lavagnetta. Cercava di calcolare tutte le varianti in risposta a tutte le possibili scelte dell’altro allenatore. E se qualcosa non lo convinceva rimetteva in discussione tutto. Mi ricordo che quando andammo a Torino contro la Juventus di Lippi (quindi non certo una partita semplice) ci presentammo allo stadio e lui ci annunciò che aveva cambiato la formazione. Così, a pochi minuti dal riscaldamento. Questo è Mazzone. Il suo motto poi è sempre stato che “le squadre deboli devono fare di necessità virtù”. Quando con una squadra normale giochi contro il Milan, l’Inter o la Juventus non puoi metterla sul piano tecnico: perdi in partenza. Bisogna puntare su altre cose, la disposizione in campo, i movimenti giusti. Ecco la tattica diventa il “pane dei poveri”. Ma soprattutto bisogna pedalare. La forma fisica, quindi, ha un ruolo importante, e per questo il mister faceva molto affidamento anche sul mio lavoro atletico”.

Parliamo un po’ della Spal. Che cosa pensa del gruppo con cui dovrà lavorare quest’anno?
“Allora: io di solito non faccio i complimenti. Anche perché non lavoro per avere la gratitudine o la riconoscenza dei miei atleti. Però devo ammettere che qui, fin dal primo giorno, ho notato una grande disponibilità a lavorare da parte di tutto il gruppo. Tutti. Giovani e adulti. Esperti e inesperti. Tutti a disposizione. Una cosa veramente positiva e per nulla scontata. Specie se calcoliamo che con il mio arrivo c’è stato un cambio della tipologia di lavoro rispetto all’anno scorso, com’è normale che sia. Ogni preparatore ha i suoi metodi. E io sono particolarmente minuzioso e pignolo. Sono molto esigente durante gli allenamenti e curo molto i particolari. Anche se non è una frase mia dico sempre che “è il dettaglio a fare la differenza”. Credo infatti che in questo lavoro non si possa lasciare niente al caso. Niente. Ogni problema, per quanto piccolo, va preso e affrontato, sviscerato. Solo così si può arrivare al meglio. Mi rendo conto che questo mio atteggiamento magari può un po’ indisporre. Però mi stanno seguendo con una grande serietà. E questo è sicuramente degno di nota”.

Quindi la prima impressione è quella di avere a che fare con un gruppo serio?
“Sono tutti ragazzi seri che mi ascoltano molto. Forse perché conoscono un po’ le esperienze che ho alle spalle. È questo però mi fa un po’ meno piacere, perché vuol dire che sto diventando vecchio”.

Chi l’ha impressionata di più di questo gruppo? E chi promette bene?
“Ma, credo che mi abbia impressionato molto il gruppo in generale. E’ la prima volta che lavoro con così tanti giovani. Poi il fatto che molti di loro abbiano l’età di mio figlio spesso mi suscita anche qualche emozione, perché mi trovo a confrontarmi un po’ con delle situazioni che vivo anche in casa. E questa per me e l’ennesima esperienza nuova. Per quanto riguarda le prospettive dei ragazzi posso dire solo che il futuro è nelle loro mani. Noi siamo qua per metterli sulla strada giusta. Il modo e la volontà con cui la percorreranno dipende solo da loro. Per cui adesso non saprei chi è più promettente di altri”.

Nemmeno un nome?
“No, anche perché non avrebbe senso. Io non lavoro confrontando i giocatori tra loro. Non mi interessa capire chi è il migliore. Di ognuno di loro mi faccio una specie di carta d’identità, con punti deboli e punti forti. Quello che mi interessa è ridurre i difetti e valorizzare i pregi di ognuno. Non fare confronti o classifiche”.

Come si trova con il resto dello staff tecnico?
“Bene. Io e mister Vecchi stiamo lavorando veramente a stretto contatto. Il gioco che lui vorrebbe sviluppare è un calcio d’intensità, di pressione, di ripartenza. Possiamo quasi chiamarlo una specie di “calcio totale”. Questa è un po’ la sua filosofia. Per questo modo di giocare così intenso la preparazione fisica è importantissima, altrimenti non si può proprio fare. Quindi stiamo cercando di lavorare insieme, comunicando il più possibile, perché in campionato arrivino dei giocatori che fisicamente corrispondano alle caratteristiche necessarie per i suoi schemi. Sono molto contento di tutto questo, anche se è molto dura fisicamente. Non è nemmeno un mese che lavoriamo, e il progetto di questa stagione è ancora molto lungo. Quindi non posso pretendere di vedere già i frutti. Però con queste premesse credo che qualche soddisfazione potrebbe arrivare. Sono molto contento anche di lavorare con Damiano Duina, il mio collaboratore diretto. Di solito io lavoro da solo, ma con lui mi trovo bene. E’ un ragazzo giovane che ha già dei buonissimi contenuti per quanto riguarda la preparazione fisica. In più anche buona conoscenze in fatto di software. Questo è decisivo perché ci consente di analizzare tutti i dati che raccogliamo e ottimizzare la programmazione dell’allenamento”.

E della società?
“Ecco. A proposito della società vorrei ringraziare la dirigenza per un investimento che ha fatto. Sono stati acquistati infatti dei macchinari che si chiamano “cardiofrequenzimetri in telemetria”. In due parole dei piccoli dispositivi, uno per ogni giocatore, che ci consentono di monitorare il battito cardiaco, e quindi lo sforzo effettivo di ogni atleta, sul computer, in tempo reale durante l’allenamento. Un test che facciamo periodicamente per vedere come procede a preparazione. E’ uno strumento molto utile. E’ un sistema che le grandi squadre usano ormai da anni, ma è la prima volta che mi viene messo a disposizione, e volevo appunto ringraziare la società perché, nonostante le difficoltà, dimostra che c’è la volontà di investire perché lo staff sia messo in condizione di lavorare nel migliore dei modi. E questo non può che andare a vantaggio della squadra”.

Grazie e in bocca al lupo.
“Crepi. Grazie a voi”.

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