FERRARA E LA SPAL DI OGGI, CITTA’ E SQUADRA D’AMARE SE NON FOSSE PER IL PESSIMISMO E NON SOLO

Amo Ferrara non è, almeno nel mio caso, uno slogan politico. E’ il sentimento che nutro per questa città. La amo visceralmente per qualcosa di difficilmente spiegabile a parole. Questione di sensazioni, di ricordi, di odori, di colori, di atmosfere. Quelle che magari non ci sono più, con le nebbie autunnali ed invernali ormai dimenticate. Per non parlare del profumo dei tigli sul finire della primavera, od i riflessi del tramonto sulla facciata del Duomo. Una Ferrara che ritrovo in pieno in “Amore amaro”, forse non il più bel film di Florestano Vancini ma sicuramente quello che ha “dipinto” meglio la città.
Eppure, questa Ferrara che ho così dentro, la trovo anche gretta, chiusa, pettegola ed autolesionista, pessimista per essere felice se poi tale pessimismo si concretizza nei fatti, quasi auspicati in una sorta di compiacimento delle proprie disgrazie. Penso di poter affermare tutto ciò sia in virtù dell’amore che ribadisco, sia perchè credo di essere sufficientemente libero da radici esclusivamente territoriali: mio nonno paterno era originario del mantovano, ho parenti – proprio da parte del nonno – che da dagli anni ’40 vivono in Brasile, mia mamma è romagnola e mia moglie brasiliana. Penso quindi di possedere una visione globale ed un confronto con altre realtà che mi autorizzano la criticità nei confronti di Ferrara.
Il riferimento, nello specifico, è ovviamente alla Spal. Chi la porta nel cuore ha alle spalle un deserto, arido di soddisfazioni. Ma la prolungata crisi di astinenza da gioie sportive, che poi sono un potente anestetico anche per le cose della vita, non penso possano giustificare non tanto il distacco, quanto il negativismo, lo scontento, in taluni casi il livore, che colgo negli ambienti cittadini e della tifoseria in senso ampio. Non va mai bene niente, ma proprio niente, quali che siano le scelte, la politica, le strategie. Qui, per dire, verrebbe guardato con sospetto anche un Maradona (troppo piccolo, sicuramente). Senza ricostruire la storia della Spal negli ultimi vent’anni, e ribadito che personalmente non credevo – di partita in partita – alla squadra della scorsa stagione (anche quando vinceva, e la piccola diatriba verbale avuta con Butelli e Pozzi negli spogliatoi di Como ne è una prova) perchè la trovavo priva di un fondo di gioco che consentisse di avere fiducia sul lungo termine, io mi sento molto più coinvolto, partecipe e soddisfatto da e di questa squadra che ha un’anima e dimostra di manovrare in maniera plausibile, con un manico di qualità. In sintesi: preferisco perdere a Taranto con ragazzi di prospettiva come Ghiringhelli e Canzian (ad esempio) che cogliere qualche successo illusorio con alcuni dei giocatori della scorsa stagione. Però Ferrara mugugna, brontola, irride, non ha pazienza, non aspetta e non sostiene i propri ragazzi. Un conto è la critica, un conto il disfattismo a priori.
Pensavo a ciò, domenica scorsa mentre seguivo a distanza l’andamento di Taranto-Spal. Pensavo a ciò ed a mio padre, al quale devo l’amore per certi valori (anche sportivi), l’amore per Ferrara e l’amore per la Spal. Lui mi prendeva per mano e mi accompagnava allo stadio, con lui ho visto l’ultima serie A, la De Martino, i primi anni di C. Lui mi stringeva la mano, in centro, per indicarmi Paolo Mazza dall’altra parte della strada. Lui mi ha strinse la mano quando Salvatore Cascella segnò il terzo gol al Taranto. Spal-Taranto fu l’ultima partita, nel 1975, che vedemmo insieme. E con me, erano tanti i bambini ed i ragazzini che “andavano alla Spal” per mano al proprio genitore.
Ora, con tutto il rispetto, allo stadio vedo soprattutto… nonni. E senza nipotini. Ecco, da domenica mi piacerebbe cogliere qualche papà per mano col proprio figlio. Per (ri)trasmettere quei valori e quell’amore per la Spal che nel mio animo pesa più delle dirette Sky della serie A.

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