A-ME-RI-GO PA-RA-DI-SO, IL BOMBER CHE DIVENTO’ UN CORO: CHE ERRORE LASCIARE LA SPAL!

Se si pensa al Big Ben, la campana principale del Grande Orologio di Westminster a Londra, viene subito alla mente il suo inconfondibile suono. Se un frequentatore del Mazza almeno dagli anni ’80 pensa ad Amerigo Paradiso, l’associazione col coro che la curva gli dedicava sulle note dell’orologio londinese è inevitabile. “A-me-ri-gooo Pa-ra-di-soooo!”, intonava a gran voce la Ovest, e un Mazza gremito celebrava le gesta di questo attaccante dalla tecnica sopraffina, che a Ferrara ha vissuto gli anni migliori della sua carriera.Dopo un lungo peregrinare sui campi dello stivale, il milanese Paradiso ha messo radici in Emilia, ma non nell’amata Ferrara, perché le circostanze l’hanno spinto in “territorio nemico”.

“Negli ultimi anni della mia carriera ho giocato a Sassuolo, mi sono trovato bene, così io e mia moglie abbiamo deciso di prendere casa da queste parti, e ora viviamo a Castellarano, in provincia di Reggio Emilia, coi nostri tre figli: due maschi di 21 e 18 anni, e una femmina di 15. Da quest’anno alleno gli Allievi Nazionali del Modena”.

I tuoi figli stanno percorrendo le tue orme calcistiche?
“No, giocano solo a livello dilettantistico”.

Sei cresciuto nell’Inter, che ti ha fatto debuttare in serie A a diciannove anni. Sei rimasto interista?
“Sì, e lo ero anche prima”.

Il tuo debutto è rimasto la tua unica presenza nella massima serie. Ti ritieni comunque soddisfatto della tua carriera?
“Qualche rimpianto, con l’esperienza maturata poi, ce l’ho. Le prospettive a diciotto, diciannove anni erano diverse. Ero uno dei pochi che l’Inter aveva prestato in serie B, perché riponeva molte aspettative in me”.

Perché le cose non sono andate come si pensava?
“Soprattutto per la mia immaturità nei primi anni. Davo tutto per scontato, ero un po’ pigro e avrei dovuto allenarmi con un altro impegno, pensando solo al calcio. Anche a Ferrara non avevo la mentalità giusta negli allenamenti. Gli allenatori mi rimproveravano, e adesso che sono allenatore anch’io, so che avevano ragione. L’ho capito tardi, quando giocavo in B nella Sambenedettese, dopo essere andato via da Ferrara. Da quel momento ho saputo gestirmi molto meglio, tant’è vero che ho continuato a giocare fino a 39 anni”.

Perché te ne andasti da Ferrara?
“Eh, quello fu l’errore più grosso! Mi ero impuntato su un aumento di contratto, il presidente Nicolini non voleva, e Cipollini cercava di mediare. Avevo anche l’offerta della Sambenedettese in B, così decisi di andare nella categoria superiore, ma Ferrara era una piazza più importante, ci stavo bene e dovevo rimanere là. Con la Samb fu un anno disastroso, finito con la retrocessione”.

Non c’è più stata l’occasione di tornare a Ferrara?
“Qualche anno dopo era tornato Gibì Fabbri, che mi vedeva bene, e io ci avevo provato, ma la società era appena cambiata, presidente e direttore sportivo erano diversi (Donigaglia e Botteghi: ndr), e non se ne fece nulla”.

Tre stagioni piene con un buon rendimento per te a Ferrara, dal 1985 al 1988, ma nessuna delle tue Spal è stata vincente, visto che i piazzamenti sono andati dal quarto al settimo posto in C1. Che ricordi hai di quegli anni?
“L’ultimo anno ho avuto un rendimento superiore agli altri due. Con Gibì Fabbri, subentrato a Cella, abbiamo fatto una grande rimonta. Eravamo arrivati in zona promozione, poi ci siamo giocati tutto a Lucca a poche giornate dalla fine, perdendo 2-0”.

A Ferrara ti hanno allenato, tra gli altri, Galeone e lo stesso Fabbri, due tra i tecnici più amati a Ferrara negli ultimi trent’anni. Che allenatori erano?
“Gibì dava tranquillità e una serenità incredibile. Dal lato tattico era un tecnico vecchio stampo: i giocatori sapevano già cosa fare in campo, e non curava molto questo aspetto. Puntava invece molto sul lato tecnico, con allenamenti sempre con la palla. Era sempre positivo e ottimista. Con Galeone non ebbi un impatto positivo, ma per colpa mia. Mi chiedeva certi movimenti là davanti, ma io ero pigro e non lo seguivo abbastanza: aveva ragione lui. Capivo però che era diverso dagli altri. In quel periodo si cominciava a giocare a zona, lui fu uno dei primi e leggeva il calcio molto bene”.

Quale dei tuoi compagni di allora era più dotato tecnicamente?
“Direi Perinelli e anche Massimo Pellegrini, arrivati entrambi giovanissimi a Ferrara: avrebbero meritato di più in carriera”.

Che ambiente era quello di Ferrara quando giocavi tu?
“Giocare in casa ti metteva pressione, dovevi entrare in campo concentrato e motivato. Ferrara è un incentivo”.

Anche adesso che allo stadio vanno meno persone?
“Trovo che sia sempre così, serve personalità in più. L’anno scorso e quello prima ho visto i giocatori scendere in campo contratti a Ferrara. Il tifoso ferrarese è simpatico, ma anche molto esigente. Ha il palato buono, e Ferrara è una piazza difficile”.

Per tre anni, fino alla stagione scorsa, hai allenato la Berretti della Reggiana, che ormai da parecchio tempo fa compagnia alla Spal in campionato. Che differenze ci sono tra l’ambiente reggiano e quello ferrarese?
“C’è lo stesso pubblico, con identiche esigenze. Anche a Reggio sono abituati alla A, ci sono diverse testate locali che dedicano molte pagine alla squadra, e anche lì vogliono risalire in B, ma non ce la fanno”.

Perché, secondo te?
“Il discorso economico conta. Se arrivasse qualcuno coi soldi per quattro o cinque giocatori di livello superiore, le cose potrebbero andare diversamente, ma non stiamo parlando di società con le possibilità dello Spezia, ad esempio. A Reggio c’è una buona società, che non può fare il passo più lungo della gamba, e per questo sta cercando di fare contratti molto bassi a giocatori giovani, anche se poi magari succede che non reggano la pressione e non si torni su”.

Della Spal attuale, come società e squadra, cosa pensi?
“Quest’anno non l’ho ancora vista, anche perché sto vedendo molte partite del campionato Primavera come osservatore per il Modena, ma so che anche lì hanno puntato sui giovani, con un settore giovanile con ragazzi del posto, e fanno bene a seguire questo progetto”.

Però hai detto che i giovani faticano a reggere piazze così…
“Sì, ma la strada è obbligata, e ci vuole pazienza”.

Cosa pensi dell’attuale Lega Pro?
“Credo che si sia fatto un passo indietro come qualità dei giocatori, dettato dalla crisi economica che costringe le squadre a spendere meno per non scomparire, com’è successo a tante negli ultimi tempi. Una volta i campionati erano più livellati, perché le squadre avevano disponibilità economiche più simili.”.

Hai visto qualche giocatore interessante nella Spal?
“Quando allenavo i ragazzi della Reggiana, la società mi aveva dato la possibilità di fare l’osservatore dell’Albinoleffe: lavoravo per Aladino Valoti, altro ex spallino, che ne è il direttore sportivo. L’anno scorso avevo steso buone relazioni su Melara. A un certo punto sembrava che potesse fare il salto in B, ma poi è calato nella seconda parte della stagione. So che quest’anno sta facendo bene Laurenti, che avevo seguito”.

Perché hai scelto di allenare sempre e solo i giovani?
“In futuro non escludo di allenare una prima squadra, ma sono più portato ad allenare i ragazzi. Non m’interessa il risultato, e non trasmetto la pressione”.

Quali doti deve avere un buon allenatore delle giovanili?
“L’allenatore bravo è quello che trasmette qualcosa ai ragazzi. Deve aiutarli a crescere, a migliorare, deve dare loro quella spinta in più. Comunque il merito dell’allenatore è solo il 20-30%, perché, se il ragazzo vale, viene fuori”.

Però uno dei tuoi baby prodigio a Reggio, Gianluca Di Chiara, classe 1993, ora gioca nella Primavera del Palermo, e ti ha ringraziato pubblicamente per aver avuto il merito di cambiargli ruolo e rendere così possibile la sua esplosione.
“E’ stata un’intuizione. Giocava in diversi ruoli tra attacco e centrocampo, ma per me aveva il passo da difensore, così l’ho convinto a provare da terzino. Ci credevo solo io, all’inizio è stato difficile, ma ha avuto pazienza ed è stato bravo. Il più l’ha fatto lui”.

Ci sono dei giovani del tuo Modena che consiglieresti alla Spal per la Lega Pro?
“Sì, ci sono, ma i nomi non te li dico! Ah ah ah!”.

Dodici squadre in carriera, ma quella dove hai giocato e segnato di più…
“… E’ la Spal”!

E’ la squadra cui sei rimasto più legato?
“Gli anni vissuti a Ferrara sono stati i più belli della mia carriera. Sono stato bene bene bene, e Ferrara mi è rimasta nel cuore, dentro e fuori dal campo”.

 

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