LA DOMENICA DEGLI ERRORI DI TUTTI, LA SITUAZIONE CHE PEGGIORA E LA SPAL DA SALVARE IN TUTTI I SENSI

Si potrebbe anche lasciare uno spazio vuoto. Desolatamente vuoto. Tanto quello che c’è da dire e scrivere, nella maggior parte dei casi sono sentimenti diffusi, cose lampanti, problemi evidenti. L’ultima atroce domenica spallina fa male soprattutto perché l’aria che si respira a bocce ferme è un’aria di rassegnazione. Colpa della classifica, dei problemi societari, stavolta anche di alcuni segnali tipicamente esemplari e non solo nel mondo del calcio. Di solito, e ovunque, la caccia al capro espiatorio è esercizio facile e ricorrente. Non adesso visto che trovare un barlume di speranza e un esente da responsabilità è un po’ come provare a essere ottimisti in un contesto francamente complicato per non dire già segnato.
Domenica hanno sbagliato tutti. La squadra che non ha ripetuto le precedenti prestazioni, l’allenatore che ha ammesso il suo errore tanto da richiamare in panchina Bedin dopo nemmeno mezzora, lo stesso Bedin perché in questa situazione è un peccato mortale uscire dal campo in quel modo e con quell’atteggiamento, e poi Pozzi (ma anche il mister limitatamente alle parole su Bedin, però) che nelle dichiarazioni post partita invece di tacere, di risolvere la cosa nello spogliatoio e di buttare acqua sul fuoco ha rincarato la dose raccontando di fatto ai quattro venti che ci sono state alcune scelte di mercato non condivise all’interno della stessa società. Inutile, banale, fuorviante stare a discutere sulla mossa di Vecchi. Visto che siamo un popolo di allenatori ognuno avrà la certezza di stare nel giusto. Personalmente, invece, ho soltanto un parere. Il tecnico ha ammesso il suo errore di partenza, e non è cosa di tutti i giorni, e ha deciso di escludere dalla contesa il giocatore meno tecnico. Con tutta la simpatia e anche la stima che ho nei confronti del “Don” spallino, dei tre di centrocampo l’unica cosa che continua a parermi ovvia è appunto il sacrificio di Bedin. Per quanto riguarda l’esclusione di Migliorini a inizio ripresa, esclusione che a chiunque, giustamente, ma soltanto senza sapere, pareva un’ulteriore sconfessione, va invece dato atto al tecnico che si è trattato di una mossa obbligatoria per la distorsione riportata dal giocatore, infortunio che quasi certamente lo terrà fuori anche domenica prossima.
Ma anche questi sono dettagli. Perché di fronte alla situazione che c’è e di sicuro non è soltanto la classifica a rappresentare il metro di giudizio, è proprio l’aria che si respira a preoccupare, e tanto, il tifoso spallino qualunque. L’incertezza, la paura di sparire, il terrore di non sapere che cosa succederà per chi, tragedie simili, le ha già vissute. La sconfitta contro una signora squadra come il Benevento – per la cronaca costata otto volte di più della Spal – è paradossalmente l’ultimo dei problemi. Quest’estate, per fare un esempio, il sogno del mercato in bianco e azzurro è stato Rajcic, quel fenomeno ammirato domenica che però era molto lontano dalla disponibilità economica dei ferraresi.
Scrivevo di una domenica piena di sbagli. L’ultimo, ma solo in ordine temporale, è stato quello del Presidente Butelli. Che in questo momento non ha nulla da dire, e si può anche comprenderlo visto che almeno per un’altra decina di giorni novità societarie non ce ne saranno, ma per il ruolo che ha avrebbe comunque fatto bene a presentarsi in sala stampa. Ma anche qui continuo a scrivere di passato. Si dirà: non ci sono alternative visto che il futuro è impossibile anche solo da immaginare. Vero ma fino a un certo punto. E qui sarebbe meglio che tutti gli amanti della Spal ragionassero sullo stato delle cose senza lasciarsi prendere dalla rabbia o dal panico, atteggiamenti comprensibili, per carità, ma comunque poco utili. Lo stato delle cose è che la società è in vendita. Lo stato delle cose è che finora ci sono due, tre soggetti o cordate interessate all’Ars et labor, nessuno dei quali o delle quali, di Ferrara e dintorni. Lo stato delle cose è che nel frattempo la società sta continuando a lavorare sull’anticipo di questi benedetti, o maledetti, soldi del fotovoltaico. Lo stato delle cose, infine, è che siccome il club costa meno della metà delle altre squadre della categoria nonostante abbia un credito in-dis-cu-ti-bi-le di trentacinque milioni di euro, tutto sto interesse a comprare a fronte, invece, di una volontà ormai esasperata a vendere, almeno per ora non c’è.
Soltanto per questo, per la Spal cioè, ironizzare sul domani, auspicare (di fatto e magari anche in buonafede) un fallimento, farsi prendere dalla rassegnazione… sono tutti leciti stati d’animo ma destinati a vedere un unico cadavere passare. Che non è quello di Butelli o di Tomasi o di chiunque altro. No, è quello della Spal, della nostra Spal, che negli ultimi trent’anni ha già vissuto un fallimento e respirato crisi clamorose già diverse volte. Ecco qual è l’unica cosa da fare. Evitare un altro disastro, l’ennesimo.
Nel frattempo c’è questo campionato terribile da portare a termine. Nella speranza che si sia in grado di portarlo appunto a termine, perché senza questa premessa anche un Rajcic e forse pure un Messi sarebbe inutile, tocca ricominciare a far punti subito. Provando a giocare – facile a scriversi – con meno paura e prendendosi anche qualche rischio in più. Tanto peggio di così è impossibile.

Ps.: a proposito di allenatori. Soltanto per guardare agli anni della gestione Butelli quasi da subito è cominciata con puntualità disarmante una caccia al tecnico di turno e chi difendeva il mister era un sacripante o un truffaldino. Prima Dolcetti, ora alla guida del Milan del futuro (“non ha le palle, è troppo buono, non ha coraggio, gioca sempre e solo con una punta”), poi Notaristefano ora in zona promozione (“ha una squadra da ammazzare il torneo, non fa giocare i suoi, non li fa allenare, è presuntuoso”), quindi Remondina ora alle prese con una sorta di miracolo calcistico con la Feralpi Salò (“va bene che la china era già presa ma fa giocare Belleri, insiste su un modulo senza avere i giocatori adatti, accetta tutto dalla società”), e adesso è arrivato il turno di Vecchi che prima di arrivare a Ferrara ha vinto quattro campionati in realtà allucinanti (“è rinunciatario, è troppo duro con i giocatori, cambia sistematicamente modulo e calciatori”). Lo stesso si potrebbe dire per una marea di giocatori considerati brocchi e poi, lontano da qui, invece all’altezza della situazione perlomeno in categoria. Dove porta questa tesi? Onestamente non lo so. Ma rifletto e penso preferendo il dubbio al lancio sistematico e ovunque di facili anatemi al presunto colpevole di turno.

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