L’INCREDIBILE STORIA DELL’IMMORTALE BOZZIA, IL CALCIATORE PIU’ VECCHIO DI TUTTE LE CATEGORIE: FERRARA LA CITTA’ PIU’ BELLA IN CUI HO GIOCATO

Il nome di Gianmarco Bozzia riporterà alla memoria di molti tifosi spallini doc non proprio di primo pelo, il ricordo di un difensore di una lontana Spal di oltre vent’anni fa. Correva l’annata calcistica 1989/90, la Spal del neo presidente Ravani cercava di risolleversi dopo la rovinosa caduta in C2 dell’anno prima, e Gianmarco Bozzia era un giovane di belle speranze in prestito dal Piacenza. Alla fine della stagione, peraltro avara di soddisfazioni per i colori biancazzurri, quel promettente ragazzo si era ritrovato con una collezione di quindici gettoni di presenza, prima di riprendere a viaggiare verso altri lidi che l’avrebbero visto giocare anche in serie B, nel corso di un’interminabile carriera oggi detentrice di un prestigioso quanto singolare primato. Raggiungiamo Gianmarco nella sua Borgotaro, amena località adagiata nella collina parmense, dove tuttora gioca nella locale squadra di Promozione e vive circondato dalle sue donne: la moglie Luisa e le tre figlie Diletta, Viola e Camilla, di quattordici, dodici e dieci anni.

Innanzitutto qual è la tua data di nascita?
“23 febbraio 1968”.

Da un’inchiesta della Gazzetta di Parma, risulta che sei il più anziano giocatore di campo ancora in attività dalla serie A alla Promozione.
“Il giornale si è basato su una statistica della Figc tra tutti i tesserati. C’è qualche altro nato nel 1968 come me, ma sono tutti portieri, quindi il più anziano giocatore di campo sono io. Per questo primato vogliono anche darmi un premio a Parma sotto Natale”.

Hai un tuo personale elisir di giovinezza?
“No, per giocare da difensore centrale ci vuole soprattutto testa ed esperienza, non serve molto esercizio aerobico”.

Però non può essere solo grazie a questo che riesci a giocare ancora a questi livelli.
“Tutti gli anni mi metto alla prova durante la preparazione estiva. Finché sarò il migliore nei test di velocità e resistenza, continuerò a giocare. Mi sono posto questo limite”.

Ma questi test tengono conto dell’età di ciascuno, o i risultati sono valori assoluti che valgono per tutti allo stesso modo?
“No, no, l’età non c’entra. Io sono quello coi risultati migliori tra tutti i miei compagni. Mi è sempre piaciuto correre, quando giocavo nella Spal battevo anche Paramatti nei test di velocità, e anche oggi corro più dei giovani. Finché arrivo primo, gioco. Quando arriverò secondo, terzo o decimo, smetterò. D’altronde, in campo ti accorgi quando arrivi dopo il tuo avversario su una palla lunga”.

Ti senti più un Highlander o un dinosauro?
“Senz’altro un Highlander, anche perché mi piace molto il film, e poi io godo a giocare. Non ho mai guardato quante presenze ho fatto, e tremo all’idea di quando dovrò smettere”.

Stai molto attento al tuo regime di vita?
“Mi curo molto. Il mio mestiere di agente immobiliare mi aiuta, perché non comporta grandi sforzi. Fondamentale è un allenamento costante, e poi senz’altro la genetica. Magari mi concedo una pizza con mia moglie, ma a mezzanotte sono già a casa, e la differenza in campo tra me e un giovane che magari la sera prima è stato fuori fino alle cinque di mattina, si sente”.

Non segui diete particolari?
“No, nessuna dieta. Anzi, dopo la partita bevo sempre delle birre coi miei compagni”.

Organizzate il terzo tempo come nel rugby?
“Solo noi della nostra squadra. Gli altri rimangono fuori”.

Bevete solo birra o c’è qualcos’altro?
“Beh, qui dalle nostre parti non mancano mai i salami, la spalla cotta, il prosciutto, il Parmigiano…”.

Cosa ricordi della tua esperienza spallina?
“Per me fu l’anno peggiore, perché ero militare. Il mio più grande rammarico è stato di non aver potuto vivere la città più bella dove ho giocato. Arrivavo il venerdì, e dopo la partita dovevo subito rientrare in caserma. Per questo motivo non posso parlarti del gruppo. Ricordo il presidente Ravani, buonissima persona, molto seria, e Schwoch, molto divertente. Ricordo anche il boato della curva quando si segnava: un tifo d’altri tempi, che ho ritrovato solo al Sud, a Lecce, dove ho giocato in B, e a Casarano. Ferrara è una realtà a parte,  diversa da altre città anonime. Lì tutti sono stretti attorno alla squadra, per la storia che ha avuto. Ne parlavo poco tempo fa con Andrea Bottazzi, che è mio amico: anche lui non ha più ritrovato il calore del pubblico ferrarese, dopo aver lasciato la Spal. Lo stesso vale per Schwoch, che mi ha detto di averlo ritrovato, centuplicato, solo a Napoli”.

Quando hai lasciato il calcio professionistico per passare nei dilettanti?
“L’anno dopo la promozione in C1 col Crevalcore, di cui ero anche il capitano, le cose cambiarono in società con l’arrivo della Parmalat di Tanzi. Era il periodo in cui il Parma, e non solo, mandava i propri giocatori nelle serie inferiori, pagandone gli stipendi pur di farli giocare. Così io rimasi a casa un anno stipendiato dal Crevalcore, che poi fallì. A quel punto, a ventisei anni, decisi di aprire la mia attività di agente immobiliare, che svolgo tuttora, e di giocare vicino a casa mia nei dilettanti. Questo è il diciottesimo anno che gioco qui”.

Percepisci un rimborso spese?
“No, assolutamente. Gioco per la maglia, come tutti quelli di Borgotaro. Questa è la squadra del mio paese, la squadra della valle. La nostra fortuna è che, essendo una squadra di montagna, tutti la sostengono come possono. Ci autofinanziamo, e i soldi che guadagniamo con gli incassi e le varie iniziative sono tutti destinati all’attività dei bambini delle giovanili, alla manutenzione delle docce e altre cose di questo tipo”.

Quante persone vengono a vedervi?
“Abbiamo una media di duecento persone che, se rapportate alla popolazione, non sono poche. Fino all’avvento di Sky, col calcio di serie A in diretta, venivano anche in cinquecento. E’ lo stadio più caldo della provincia, ed è molto bello”.

Cosa pensi quando vedi i tuoi compagni di un tempo che, a differenza di te, non giocano più?
“Li vedo allenatori, dirigenti, e penso: “Cosa mi sono perso”? Però mi piace da morire correre, andare al campo… Sono molto duro con me stesso, non ho riguardi verso di me, e se gli altri fanno tre allenamenti a settimana, io ne faccio cinque; se gli altri fanno dieci scatti, io ne faccio quindici. La molla è sempre l’agonismo, che dev’essere presente, nella giusta misura, sia nello sport che nella vita e negli affari”.

Quindi il tuo modo d’intendere lo sport ti accompagna anche nella vita di tutti i giorni?
“Sono andato via di casa a quindici anni, ho sempre badato a me stesso, e queste cose te le porti dietro anche nel lavoro”.

Cos’è cambiato nel mondo del calcio, sia tra i professionisti sia tra i dilettanti da quando hai iniziato a giocare?
“A livello dilettantistico non è cambiato molto. Vedo sempre tanto entusiasmo, soprattutto tra i ragazzini. Molto dipende dai genitori, che devono appoggiare i figli nella scelta di uno sport, invece di lasciarli per ore in balìa dei giochi elettronici a casa. Il bambino trova un equilibrio se prova entrambe le cose. A livello professionistico, invece, quando giocavo in B e in C, erano categorie d’eccellenza, mentre ora, tranne la A, tutto il resto è noia. C’è un dislivello enorme, sia dal punto di vista tecnico che retributivo, e si va verso l’inevitabile diminuzione delle squadre professionistiche, altrimenti sarà sempre più difficile andare avanti”.

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