Di ritorno da Te. Buongiorno, o buonasera, signori e signore, come si conviene da sempre in una cronaca che sia tele, quanto web, parafrasando i costumi dei giorni nostri. Ci avevo dato un taglio con le velleità artistico-narcisistiche di scriver l’amore, non per l’esser diventato così, tutto ad un tratto, anaffettivo, quanto piuttosto, per l’essermi scontrato con un mondo che, gioco forza, il mio mondo non poteva più essere. Mi facevo tutte le trasferte ed esausto, arrivato a casa, anzi, ancor prima, durante il viaggio d’andata e ritorno, scrivevo le mie domeniche, le domeniche di tutti noi. E ci trovavo un senso, e ne avevo gratitudine; da sempre, come scriveva Thoreau, “la felicità è tale se condivisa”, ebbene sì, la mia, valutando l’immaginifico SPAL, lo era, eccome. Poi, dapprima Maroni e la sua tessera, dopodiché assurdi divieti ed infine, beh, infine appunto, la fine, la nostra fine.
Provo a battere sulla tastiera pensieri che battuti lo sono di per sé, righe che non han più da offrire alla speranza, la speranza d’arrampicarsi su specchi e camminare su ardenti carboni. Ultimamente m’ero quasi spento, lasciato vincere da notizie che lasciavan lo spazio di un’illusione, buona a passare la colazione, salvo poi esser smentite e derise nell’arco della giornata.
La Spal è sotto eutanasia, io credo nel diritto alla “dolce morte”, non ha più senso continuare questa atroce sofferenza che quasi mi vergogno a chiamarla tale, me ne vergogno se penso a quei dipendenti, tutti quegli uomini invisibili che dietro la Spal c’han speso una vita, non come il sottoscritto, una vita, il loro lavoro, la loro vita, insomma, dovranno reinventarsi qualcosa ben consci che ciò che spetta loro, probabilmente non avranno nemmeno, e non parlo di un Pino Brescia in groppa a Zamuner sotto la Ovest, di una città che sogna, di una curva da paura, dei dodicimila, dodicimila ripeto, di Verona, non una, ma due volte, parlo di quelle persone che devon render conto a figli, mogli e mariti. Oramai non so più in chi riporre la fiducia, e nemmeno, so a chi attribuire “meriti” o per meglio, colpe di questa disfatta.
E’ di ieri la notizia che si farà fatica ad effettuare la trasferta recupero di Lumezzane (legge del contrappasso eh? ), perché vorrei che fosse come a giocare a football manager, spegni, riavvii, vinci, pareggi, quantomeno tiri a campare. Ecco, qui non si tira più a campare, cazzo! Ci s’incazza, ci si divide, si consuma il tempo nella speranza di un messia, fosse anche l’ultimo degli stronzi, ed in tutto ciò, il nervoso d’esser impotenti, veder la tua amata che si spegne, calpestata giorno su giorno dalla realtà dei fatti.
E mi viene in mente un bellissimo passo dell’Antologia di Spoon River (Dorcas Giustine…), e mi viene in mente la terraferma di Venezia quando i traghetti stavano quasi affondando della nostra gioia, ricordo un ultimissima giornata di due anni fa, ad espugnare lo Zaccheria di Foggia dove a fine partita i raccattapalle ci mostravano orgogliosi l’esiguità dei loro pisellini e una scritta a bomboletta spray, io e un amico, con quella stronzissima scritta di Moccia “Io e te, tre metri sopra il cielo”. Mi ricordo tante cose che ho vissuto, che m’hanno insegnato, che ho forse solo sognato, ed adesso sono qui, a buttar fuori pensieri come fossero peti dopo un’abbuffata, e ho ben chiaro che tra qualche giorno starò ancora peggio, ma esisterà un domani, perché la S.P.A.L. non muore mai, la S.P.A.L. è un patrimonio storico-culturale che le generazioni future dovrebbero avere a disposizione, e magari, goderne come abbiam avuto la possibilità di goderne noi tutti, da nonni a nipoti.
E allora, già nel peggio, continuiamo a camminare a testa alta, continuiamo ad applaudire questi ragazzi che giocano da mesi, non lesinando sudore e sacrifici, continuiamo indissolubilmente ad amare, che in fondo lei non ci ha mai traditi, non ci è mai venuta meno.
E mentre ascolto “I cant’ help falling in love whit you” di Elvis (eseguita dai Pearl Jam), rileggo: “Non ero amato dagli abitanti del villaggio, solo perché parlavo apertamente, e affrontavo chi mi offendeva, con vivaci proteste, non nascondendo o nutrendo segreti dispiaceri o rancori. Fu molto lodato l’atto di quel ragazzo spartano, che nascose il lupo sotto il mantello, lasciandosi divorare, senza un lamento. E’ più valoroso, io penso, strapparsi il lupo di dosso e combatterlo apertamente, anche per la strada, tra polvere e urla di dolore. La lingua è un membro indocile ma il silenzio avvelena l’anima. Mi condanni chi vuole-io sono contento”.
Forza S.P.A.L.