“La società Nuovo Campobasso Calcio ringrazia l’Associazione Molise Emergenza e le unità operative di pronto soccorso, di radiologia e di cardiologia del Presidio Ospedaliero Cardarelli di Campobasso per la collaborazione, in special modo per l’intervento di pronto soccorso prestato al proprio tesserato Raffaele Ioime. La società inoltre a nome di tutti i dirigenti, dello staff sanitario, dello staff tecnico, e di tutti i calciatori augura a Raffaele di tornare quanto prima sul terreno di gioco”.
Così recitava il comunicato emesso dalla società molisana all’indomani di una trasferta in quel di Perugia che poteva trasformarsi in tragedia. Da allora, fortunatamente, Raffaele Ioime si è ripreso alla grande, ed è tornato a difendere con ottimo rendimento la porta dei lupi rossoblù. Nonostante le zero presenze nel campionato di due stagioni addietro in maglia spallina, lo scugnizzo Ioime è riuscito a non farsi dimenticare dai tifosi ferraresi, grazie ad una personalità sopra le righe, ed è bello sapere che sta riuscendo a togliersi qualche sassolino dalla scarpa, dopo la deludente stagione in biancazzurro.
Racconta quello che ti è successo il 5 febbraio scorso.
“Durante la trasferta in bus verso Perugia stavo già male, avevo la febbre a 39° e pure la bronchite, anche se non lo sapevo. In campo c’era la neve e un vento freddo, che hanno peggiorato le cose”.
La febbre però sapevi di averla: non potevi rinunciare a giocare?
“Ero appena arrivato a Campobasso, era la mia seconda partita, giocavamo contro il Perugia primo in classifica, e non volevo mancare”.
Col senno di poi, lo rifaresti?
“Non lo so. Non mi mettere davanti a certe scelte. Diciamo cinquanta e cinquanta”.
Cos’è successo dopo la partita?
“La sera stessa non riuscivo a respirare, e mi hanno ricoverato d’urgenza all’ospedale. Devo ringraziare il Pronto Intervento di Campobasso”.
A quanto era salita la febbre?
“A 41°, ma la cosa più grave era l’infiammazione al miocardio, la membrana che avvolge il cuore. Ero più di qua che di là, e mi veniva da ripensare a tutta la mia vita, alle cose più belle e a quelle più brutte”.
Qual è la cosa più bella a cui hai pensato? E quella più brutta?
“La più bella, la mia famiglia. La più brutta, che non volevo finire la mia carriera così”.
Hai ventiquattro anni e mezzo e giochi in Seconda Divisione. Hai ancora tempo di risalire, ma hai qualche rimpianto per quanto fatto finora?
“Mi spiace dirlo, ma l’unico flop è stato l’anno di Ferrara, l’unico in cui non ho mai giocato, e ancora non so per quale motivo non mi è stata data qualche chance, vista la classifica e come stava andando Capecchi. A gennaio avevo anche la possibilità di andare in B a Crotone, in uno scambio con Concetti, ma il direttore Pozzi mi disse di no: “Rimani e giochi”! Poi, però, non è andata così. Il mio rimpianto più grande era per i tifosi, che pensavano fossi scarso e si chiedevano perché mi avessero comprato, visto che non mi facevano giocare, nemmeno quando Capecchi non stava facendo bene. Anch’io avrei pensato la stessa cosa”.
Capecchi sta continuando a tenere dietro altri portieri giovani. Cosa pensi di lui?
“Luca è un buon portiere e una grandissima persona. Calcisticamente, però, c’era rivalità, com’è giusto che sia tra portieri della stessa squadra. Quell’anno credevo di partire titolare, di giocare almeno in Coppa Italia ma ha sempre giocato Luca, anche dopo le prime due o tre partite di campionato, dov’era andato male. Poi mi sono infortunato e sono rimasto fuori tre mesi prima di rientrare. Sono stato comunque sempre zitto fino alla fine della stagione. Era un anno particolare, eravamo partiti per vincere il campionato e ci siamo salvati all’ultima giornata a Foggia, e non volevo creare problemi”.
Recentemente hai dichiarato: “Adesso sono in Seconda Divisione, dopo aver toccato il cielo con un dito”. Quando l’hai toccato?
“L’anno in cui ho debuttato in serie A col Catania”.
Cosa ricordi di quel giorno?
“Eravamo già salvi sul finire della stagione, e venni mandato in campo a un quarto d’ora dalla fine con l’Udinese. Mi tremavano le gambe, anche al pensiero che i miei genitori erano lì a vedermi. Feci una sola parata su Amoruso, ma andò bene, e quando finì la partita lanciai un urlo che credo fu sentito da tutto lo stadio”.
Il tuo allenatore era Walter Zenga, cui sei rimasto molto legato.
“L’ho avuto per pochi mesi, ma mi ha insegnato tanto. E’ una persona diretta, costruttiva in tutto quello che dice e fa e, dall’alto della sua esperienza di grande portiere, sapeva dove cogliere per darmi qualche consiglio”.
Se ti proponesse di raggiungerlo andando a giocare negli Emirati Arabi, dove allena ora, ci andresti?
“Certo. Prima però devo cercare di fare bene qui”.
Zenga a parte, torneresti a giocare all’estero, dopo la negativa esperienza in Romania? E dove vorresti giocare?
“Dipende dal campionato. Se mi proponi una serie A greca e una B spagnola, ti dico sicuramente la B in Spagna. La Liga è il campionato dove tutti vorrebbero giocare”.
Quello che una volta era la nostra serie A.
“Sì, ma loro sono andati avanti, e noi ci siamo fermati”.
Come può uscire il calcio italiano dalla crisi economica che attraversa, soprattutto nelle serie minori?
“Spiace dirlo, ma bisogna tagliare gli stipendi partendo dalle categorie superiori, e non da quelle inferiori, com’è stato finora. Anche quando hanno fatto lo sciopero per non pagare le tasse, non ero mica d’accordo! Se penso che mio padre lavora dalle sette di mattina alle undici di sera per portare a casa 7/800 Euro”…
Qual era il potiere tuo idolo da piccolo?
“Taglialatela”.
Ovviamente, per un tifoso sfegatato come te! Qual è la pazzia più grande che hai fatto per il tuo Napoli?
“Quando sono andato a vederlo l’anno scorso ad Anfield col Liverpool in Europa League, io e miei cugini siamo rimasti svegli due giorni in aeroporto dopo aver perso il volo di ritorno. Avevamo le valigie con gli effetti personali, e non ci fidavamo a lasciarle in giro, così ci spostavamo solo per bere e mangiare”.
Quanto ti è costata alla fine la trasferta?
“Ottocento euro”.
E quanto ha inciso il costo del biglietto?
“Quello è costato duecentoventi euro”.
Contro un valore di…?
“Nemmeno un centinaio di euro”.
Vi è andata anche bene! L’avete comprato da un bagarino sul posto?
“Certo! Eravamo partiti senza niente”.
Il bagarino era napoletano, suppongo.
“Ovviamente”.
A cosa avresti rinunciato per essere presente a Londra, per la partita che il Napoli ha giocato recentemente contro il Chelsea?
“Per amore e passione non avrei mai rinunciato, ma… diciamo che non avrei rinunciato a giocare una mia partita, questo no. Però a mezzo stipendio sì, tanto adesso prendo mille euro, il minimo!”.
Quali sono i migliori tre portieri in Italia al momento?
“Al primo posto metto De Sanctis”.
Per motivi di tifo o perché lo pensi veramente?
“No, no, lo penso davvero. Per me, se il Napoli ha fatto la Champions League, lo deve soprattutto alle sue parate. Poi al secondo posto metto Buffon, e al terzo uno tra Handanovic e Julio Cesar. Considerando che Julio Cesar è un po’ calato, metto Handanovic”.
Come sta andando quest’anno a Campobasso?
“Abbastanza bene. La squadra è giovane e ha fame. La maggior parte di noi è arrivata a gennaio, e fino ad allora era fuori rosa o senza contratto, compreso me”.
Da quando sei arrivato a gennaio hai sempre giocato, a parte l’assenza forzata dopo Perugia?
“Sì, ho subito iniziato da titolare, e sto andando bene, con voti sempre sopra la sufficienza. Dopo Perugia sono stato fermo venti giorni, ma ho perso solo due partite”.
L’anno scorso eri all’UTA Arad, nella serie B della Romania. Che esperienza è stata?
“Bruttissima. Ero convinto di trovare un ambiente come in Italia, e invece là sono tanti anni indietro”.
Per esempio?
“Ti dico solo che per fare una trasferta di trecento chilometri ci si mettevano quindi ore e passa in treno. Poi non ti dico cosa mangiavamo prima delle partite…”.
E invece dimmelo!
“Insalata di cipolla rossa e pasta con maionese e ketch-up”.
Ma avevate intenzione di stendere l’avversario con una fiatata, come Superciuk?
“Ahahah! E’ quello che ho detto anch’io quando sono arrivato là. Comunque devo dire che in serie B c’erano sempre cinque, seimila tifosi allo stadio. Il calcio è molto seguito”.
A che livello è la loro serie B?
“E’ tra una nostra C1 media e una C2 forte”.
Calcisticamente com’è stata quella tua stagione?
“Ho fatto undici presenze giocando molto bene, tanto che a gennaio dovevo andare al Cluj, nella massima divisione, ma c’erano problemi con gli stipendi (non ne ho preso neanche uno!), ero già in contatto con la Cavese e sono andato via”.
Ma a Cava de’ Tirreni sei andato?
“Sì, ma quando sono arrivato, il 20 gennaio, i giochi erano già fatti. Mi hanno preso per fare il terzo portiere, e questo ho fatto fino alla fine del campionato”.
Almeno a Cava gli stipendi li hai avuti? Anche là avevano dei grossi problemi.
“Sì, tutti, anche se poi la società è fallita al termine della stagione”.
Se segui ancora le vicende di casa Spal, saprai che il momento societario è a dir poco difficile. C’erano delle avvisaglie anche quando c’eri tu?
“Della Spal non posso che parlare bene. La proprietà è seria, io ho preso tutti i soldi, e quando ho chiesto una mano me l’hanno data. L’unica cosa, come ti ho detto, è stata quella di non aver ancora capito perché non mi hanno dato la possibilità di giocare”.
Cosa ti è rimasto di quella stagione?
“Di Ferrara porto sempre un bel ricordo. La città, i tifosi… Io ero un po’ il pagliaccio della situazione, entravo in campo, andavo sotto la curva a parlare coi tifosi, ma lo facevo per dare la carica. Non sempre però sono stato capito, come quella volta che andai sotto la curva durante l’intervallo di Spal-Reggiana, un derby molto sentito, con le squadre sull’1 a 1, a chiedere ai tifosi di incitarci di più. Giuro che volevo solo essere amico e portare entusiasmo verso la squadra. Non l’avevo fatto perché non cantavano, ma i tifosi se la presero, e qualcuno mi diede pure del mercenario, mentre io cercavo solo di dare il mio contributo anche senza giocare. Ferrara è una piazza dove tutti vorrebbero giocare, e mi dispiacerebbe tantissimo se la Spal retrocedesse o la prendesse qualcuno che non ci tiene”.
Come avvenne la tua separazione dalla Spal al termine della stagione? Eri in prestito o in comproprietà col Catania?
“Ero in comproprietà con opzione per il secondo anno. Quella di andar via fu una mia decisione. Chiesi a Pozzi se le cose sarebbero cambiate l’anno successivo, e lui mi disse che non lo sapeva, così decisi di rescindere. Allo stesso tempo, rescissi anche col Catania, per motivi personali tra me e il direttore Lo Monaco. Però non ero proprio senza squadra, perché ancora una volta dovevo andare a Crotone. Fu una beffa all’ultimo giorno di mercato, per colpa di chi mi seguiva. Questo è il brutto del calcio. Mi aveva detto che era tutto a posto, e mi aveva pure fatto vedere una bozza di contratto, che poi risultò fasulla”.
Immagino che tu abbia cambiato procuratore…
“Sì, sì. Quello, dopo avermi preso in giro, non si è fatto più vedere. Meglio così, o gli mettevo le mani addosso!”.
Sei arrivato a Ferrara dal Catania insieme con Bortel: vi sentite ancora?
“E’ un po’ che non lo sento. Io, lui e Meloni eravamo sempre insieme, a pranzo, a cena, la domenica sera. Non so nemmeno dove giochino ora”.
Bortel ha rescisso con la Spal al termine della scorsa stagione. Sembrava in procinto di tornare qualche tempo fa, ma poi non se n’è fatto nulla, e ora sta perdendo l’anno. Meloni è andato a gennaio al Savona in C2.
“Ah sì, di Melo avevo sentito. Potevano far meglio entrambi a Ferrara. Soprattutto Milan per me è un difensore che meritava molto di più”.
A Ferrara veniva impiegato più che altro fuori ruolo.
“Proprio così. La gente lo criticava, ma non era un terzino, e avrebbe dovuto giocare centrale”.
Perché non lo facevano giocare nel suo ruolo?
“Forse perché, per non far notare che sulla fascia c’era una falla, mettevano lui, che comunque se la cavava, ma così si ammazza un giocatore. Se degli osservatori vengono a vederlo giocare, le loro relazioni saranno negative, perché non l’avranno visto giocare nel suo ruolo”.
La decisione di far giocare certi giocatori anziché altri, o di impiegarli in altri ruoli, dipende solo da considerazioni tattiche, o possono influire anche motivazioni extra-calcistiche?
“Speravo di non arrivare a questa domanda. Non voglio neanche pensare che una società arrivi a tagliarsi le palle da sola, ma… può sempre succedere”.
Sei cambiato da quando hai lasciato Ferrara?
“Come uomo tantissimo. Ho imparato a non avere determinati atteggiamenti, anche coi tifosi, e ho capito che non va bene cercare di essere un leader. In allenamento una volta mi scappava qualche parolina in più per istigare l’allenatore o il preparatore, ora non più. E poi non prendo più le difese di nessuno: adesso mi faccio i cazzi miei!”.
Qual è il sogno più grande per la tua carriera?
“Far bene in questi due o tre anni, andare nel Napoli e giocarmi la Champions contro il Barcellona”.
Magari potresti far bene tornando alla Spal, prima di vincere la Champions col Napoli!
“Non sono paraculo, e dico sempre quello che penso: Ferrara è una grandissima piazza, e se mi chiamano, non importa in quale categoria, vengo anche a piedi, per riprendermi quello che mi è stato tolto e smentire quelli che credevano fossi un brocco. Magari l’anno prossimo torno, vinciamo la B e poi vado in A col Napoli. Maial la Spal…”.