STORIA DI ALBERTO BRUNETTI, UN PERSONAGGIO VERO DA TRENTADUE ANNI AL SERVIZIO DELLA SPAL. I BIANCAZZURRI VISTI DALLA BIGLIETTERIA DEL MAZZA

Alberto Brunetti. ex elettricista comunale, ragioniere, economo per passione, ma sopratutto spallino. Da trentadue anni al lavoro nel servizio biglietteria dello stadio “Paolo Mazza”.

In cosa consiste il lavoro della biglietteria?
“Per una partita casalinga della Spal il lavoro inizia tre giorni prima della domenica. Nei pomeriggi di giovedì e venerdì sistemiamo gli accrediti e i primi biglietti. Il sabato c’è la prevendita e la domenica la vendita regolare. Il giorno della gara, prima di aprire i botteghini consegno il fondo cassa a tutti i cassieri, in appositi borselli. Poi rimango a disposizione per eventuali problemi alle postazioni durante la vendita. Alla fine del turno gli addetti mi riportano i borselli con l’incasso complessivo. Io riprendo il fondo cassa da ognuno e predispongo quindi l’incasso netto della giornata, in contanti, che verrà ritirato da un dirigente. Infine mi segno ogni dato di ogni postazione in una tabella riassuntiva che faccio io. Cartacea. Mio figlio mi sgrida sempre perché non uso il computer. Ma io mi trovo meglio così”.

Com’è cambiato questo lavoro negli anni?
“Beh, oggi è tutto informatizzato. Il biglietto è nominale e gli addetti non sono più nostri, ma di una ditta esterna. Devo essere onesto, rimpiango il lavoro cartaceo. Una volta c’erano meno norme ma, paradossalmente, più tranquillità. In anni non è mai sparito né un biglietto né un centesimo d’incasso. Avevo collaboratori di fiducia assoluta. Oggi che tutto è computerizzato l’errore di conteggio è impossibile, certo, ma ogni volta che si sbaglia a spingere un tasto o a mettere una virgola è un dramma. Ci sono problemi, rallentamenti. Comunque i tempi cambiano, è normale”.

Qual è la caratteristica di questo lavoro più importate per lei?
“Forse il fatto che mi “obbliga” a conoscere tanta gente. C’è chi ormai viene da me per fare il biglietto o l’abbonamento da anni e anni. Questa in verità è sia una bella cosa, perché ho tanti amici e conoscenti. Forse troppi; ci sono delle volte che mi sento salutare per strada. “Ciao Berto!”, mi urlano. Io rispondo, ma non sempre ho presente chi sia la persona. Ma è anche una cosa triste a volte, specie andando avanti con gli anni. Ad esempio qualche mese fa ho fatto l’abbonamento a Mauro Cavallini, che purtroppo ci ha lasciati poco tempo dopo. Ho fatto l’abbonamento a Raimondo Luppi. Come ogni anno, da trent’anni. E ora è deceduto anche lui. Gente che avevo conosciuto negli anni, e che quindi non può che mancare adesso. Pezzi di storia della Spal”.

Com’è arrivato qui?
“La prima partita l’ho vista nel 1949. Avevo undici anni. A lavorare per la Spal, invece, ho iniziato grazie al fatto che ero elettricista del comune, e insieme all’amico Brancaleoni venivo ad accendere i fari per le partite in notturna. Per questo servizio “extra” la società ci dava un paio abbonamenti omaggio. Per problemi di salute smisi di fare l’elettricista, e dopo aver studiato da ragioniere mi diplomai col massimo dei voti. Avevo cinquanta anni. Vinsi un piccolo concorso interno e il mio lavoro diventò gestire le case del comune. Ma grazie a questa mia nuova qualifica dal 1980 cominciai a fare il cassiere, e da allora sono ancora qui. Trentadue anni in questa “casetta” tra curva e tribuna, che è l’ufficio principale della biglietteria, ma ormai è un po’ il mio “bunker”. E lo sento davvero un pochino “mio”.

In che senso?
“Nel senso che in quello che vedi c’è la mano della mia famiglia e mia. Nel tempo qui hanno lavorato tante persone, ma non tutte hanno voluto bene a questo posto. Quando arrivai qui era ridotto a una latrina militare, scusa il termine. Non cadeva a pezzi, ma ci andava vicino. Io, mio fratello, e dopo anche mio figlio abbiamo dato una sistemata. Cose fondamentali, come dare una mano di bianco per renderlo vivibile, oppure fare pressioni sul comune perché mettesse a norma l’impianto elettrico, questo in fondo è luogo di lavoro. Ma anche piccoli dettagli, come a esempio un piccola lavagna di legno che avrà l’età stessa della Spal. Io l’ho trovata nel pattume, l’ho recuperata, sistemata e da allora ci scriviamo il numero degli abbonati a inizio stagione e poi l’appendiamo in vista per tutto l’anno. Oppure tutti questi gagliardetti di squadre che sono attaccati alle pareti (alcuni in foto) li abbiamo messi noi. Mi accorsi che spesso venivano portati via, persi, se non addirittura gettati nella spazzatura. Eppure ognuno di questi è una partita giocata qui al “Mazza”! E allora mi sono messo a recuperarli, a chiederli ogni volta che c’è uno scambio tra le squadre, e ad attaccarli qui in biglietteria, dove li conserviamo tutti. Mi rendo conto che possono essere piccole cose, ma sono attenzioni che vengono naturali amando questa società”.

Dalle sue parole si percepisce un forte affetto verso questa società.
“Assolutamente sì. Io voglio bene alla Spal. Questo, come ho detto, non è il mio lavoro. Facevo altro, e ora sono pensionato. Ma servire questa società è un onore, e lo faccio proprio in nome di questo affetto immenso. E’ per questo motivo che vengo qui tutte le mattine almeno per una mezz’ora. Perché qualche piccola faccenda da sbrigare c’è sempre. Ed è per questo che se un domani una dirigenza dovesse mettermi a casa sarebbe come se mi fosse tolta parte di me. Io sono spallino. Mio figlio Emiliano lo è, e lo era anche mio padre. In questa bacheca (indica una bacheca alla parete) ho una foto di Ottavio Bugatti, grande portiere, con dedica a mio padre. Quella affianco invece è una foto della Spal degli anni cinquanta. Una delle grandi annate in serie A. Eccoli, pronti per giocare: Bertocchi, Guaita, Carlini, Emiliani, Macchi, Nesti, Trevisani, Bennike, Biagiotti, Colombi e Fontanesi. E chi se li scorda. Pensa che Nesti, qualche anno dopo questa foto, quando giocava nell’Inter, andò con la Nazionale ai mondiali in Svizzera del 1954, e risultò essere il miglior mediano di quell’edizione. Un aneddoto invece su Niels Bennike, attaccante danese scoperto da Paolo Mazza, è di quattro o cinque fa. Venne qui in biglietteria una famiglia. Una bimba piccola con mamma e papà. Non erano italiani, e si vedeva. Lei, la signora, era la figlia di Bennike, e la bambina appena vide questa foto indicò subito e disse “nonno!”. Era la nipotina di Niels. Fu un momento emozionante”.

Quali altri ricordi ha della Spal?
“Beh, ricordo che quando facevo il militare vicino a Bari riuscii a convincere i miei superiori a organizzare una corriera per portare me e altri compagni allo stadio “Delle vittorie”, per vederla giocare lì, in trasferta. E mi ricordo di quando le suonammo al Milan qui a Ferrara, in Coppa Italia. Mi ricordo tanti gol e tanti talenti. Oggi il calcio è molto cambiato, e per certi versi, forse, anche un po’ scaduto”.

Cosa intende?
“Beh, a livello tecnico si vedono molte meno azioni da gol. E questo, oltre al minor spettacolo, fa in modo che eventuali errori arbitrali diventino tanto, troppo influenti. Per quanto riguarda l’ambiente invece vedo troppa violenza. Troppa. E non la capisco. Io ricordo, molti anni fa, di aver visto una partita a Bologna in curva “Costa”, vicino ai tifosi bolognesi. Ed ero tranquillo”.

E di questi botteghini che ricordi ha?
“Tanti. Ci sarebbe da parlare per giorni. Comunque fatti principalmente legati alla gente che è passata di qui. Ricordo che anni fa veniva sempre un ragazzo. Aveva qualche problema con droga e alcool. Io lo conoscevo, e ogni tanto si presentava allo sportello e mi diceva: “Berto, a son in buleta…”. Io, come responsabile disponevo sempre di un paio di biglietti omaggio, e uno lo davo spesso a lui. Non so se facevo bene, ma se questo poteva servire per quel pomeriggio a tenerlo lontano da altre “cose” ero contento. Beh, poi c’è Nino D’ambola, della Città del Ragazzo, che viene sempre con i suoi ragazzi. Che persona, una vera forza. Anche loro abbonati fissi. Stesso settore, posti vicini, da anni. Qui poi, a ritirare i loro accrediti passano anche persone famose e tanti ex spallini. Per molto tempo è venuto Boninsegna. Veniva Donati, grande ala spallina ai tempi di mister Caciagli. Adesso c’è sempre Giorgio Zamuner, che tutte le volte per ritirare l’accredito continua a mostrarmi un documento. “Giorgio, mo sa vot mustrar al document…!” mi tocca rispondergli sempre. Questi per dirne alcuni”.

Il ricordo più bello, e quello più brutto.
“Beh, le soddisfazioni e le delusioni più grosse qui sono sempre legate agli incassi, bene o male. Mio figlio ha fatto il cassiere per un po’ di tempo, e ha iniziato da piccolo, a dieci anni. E ha un record: a dodici anni, in un Spal-Reggiana di Coppa Italia, quando le due squadre erano ancora gemellate, incassò, da solo, diciotto milioni di lire. Il record assoluto della biglietteria invece è Spal-Bologna di campionato nella stagione 1993/94. Nella prevendita, che durò giovedì, venerdì e sabato, incassammo centottanta milioni. La partita finì uno a uno e a Bologna poi vincemmo due a zero. Con quel gran gol di Zamuner su punizione, e la rete di Olivares nel finale. Questi sono i ricordi più belli. I momenti peggiori invece sono degli ultimi tempi, con incassi di poche migliaia di euro e pochi spettatori”.

Speriamo di rivedere presto quella Spal da “sold out”.
“Già, speriamo. Sarebbe la gioia di tantissima gente. Degli abbonati storici, che sono lo zoccolo duro. Molti anziani e pensionati, che sono qui da una vita e continuano a esserci. Mi piace paragonarli, per scherzare, ai vecchi iscritti al partito comunista: Sempre quelli, inossidabili, e presenti per una questione di fede. Gente che non sentirai mai parlare di Juventus o di Milan. Solo Spal. Poi per i tifosi della curva, anche loro sempre presenti. Ma anche per gente non di Ferrara. Ci sono Spal club a Milano, Torino, Genova, e chissà dove ancora. Il popolo spallino è grande, e merita di nuovo la soddisfazione di giocare in serie superiori”.

 

 

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