Metti che di amici (veri) nel mondo del calcio è difficile trovarne ma quando capitano diventano preziosi come e più di un tesoro e durano una vita. E nel momento del bisogno ci sono. Sempre. Proprio come stavolta. Aggiungici che il silenzio stampa in casa Spal non aiuta ed è destinato a durare ancora e chissà fino a quando. Capirete che per chi fa informazione non è proprio il massimo della vita. Così, mentre in settimana tornava in silenzio alla base Filippo Fabbro, consapevoli che lui, almeno ufficialmente, di dichiarazioni non ne può rilasciare, ecco accendersi la lampadina e prender corpo l’idea di “aggirare”, si fa per dire, il diktat estense contattando l’ex ala biancazzurra Marco Valtulina (nella foto qui a destra con la maglia del Lecco), suo compagno di squadra proprio in riva al lago negli ultimi sei mesi. In attesa di conoscere il suo destino calcistico (“Valtu” dovrebbe firmare per il Monza n.d.r.), dopo la promozione in B con la Juve Stabia, accompagnato come sempre dai suoi mille acciacchi che da troppo tempo ormai frenano la carriera di un giocatore dalle qualità indiscusse, ci convinciamo che nessuno meglio del ventiquattrenne di scuola interista può dirci qualcosa sul bomber friulano. Proviamo a chiamare Marcolino (come affettuosamente lo chiamiamo noi) di buon mattino apposta per disturbarlo invece, ecco la sorpresa, lo troviamo bello arzillo mentre è in fila sull’autostrada per andare al mare. E come sempre, quando si tratta del “Valtu” (ma anche di tanti altri, va detto) facciamo subito centro. Gentile, disponibile, educato, gli anni passano ma lui è sempre quello di Ferrara. Anche se l’orologio segna le sette e dieci minuti del mattino lui non si scompone. Anzi. Sa perché lo abbiamo cercato e non si tira indietro nel descriverci l’ex numero nove lecchese.
“Ammetto che non sapevo nemmeno che la Spal fosse riuscita a riportarlo a casa, qui a Lecco dicevano che la busta voi non l’avreste fatta” – dice Marco– “I giornali devono essersi sbagliati. E pensare che i giornalisti peggiori pensavo di averli incontrati quando ho avuto a che fare con quelle brutte facce de LoSpallino (ride)! Scherzi a parte, che dirti di Filippo? Senza alcun dubbio per voi è un ritorno azzeccatissimo, Fabbro è un animale da gol come non ce ne sono in giro e decisivo come pochi altri attaccanti che ho visto in circolazione in Lega Pro. Con lui avete fatto centro, otto gol quest’anno, tredici l’anno prima, tanta roba credimi, tecnicamente non è bellissimo da vedere ma quando c’è da metterla dentro stai sicuro che è lì pronto a concretizzare l’azione”.
Noi, per quel poco che lo abbiamo visto all’opera, lo ricordiamo abile di testa quanto di piede, un giocatore che può indifferentemente giocare da solo al centro dell’attacco, con un trequartista a supporto o in coppia con una seconda punta veloce, ce lo confermi?
“Tieni presente che a Lecco quest’anno abbiamo cambiato tre allenatori e un po’ di confusione c’è stata. Quando sono arrivato io, dopo poco è giunto mister Modica che, da bravo zemaniano, aveva in testa solo il 433 e Filippo si alternava spesso con Gianluca (Temelin, altro ex biancazzurro n.d.r.) al centro dell’attacco con i due esterni a supporto e anche così se l’e’ sempre cavata egregiamente. Sicuramente è una prima punta, bravissimo ad attaccare gli spazi in profondità e creare superiorità numerica in fase di non possesso portando via il difensore lasciando ampi spazi di inserimento per i compagni che salgono da dietro: è un attaccante completo, qui è entrato nel cuore dei tifosi, è un bravissimo ragazzo e per la C è un signor attaccante, vedrete che se riuscite a sistemare la vostra situazione societaria vi toglierete parecchie soddisfazioni con lui”. Ringraziamo Marcolino e lo lasciamo alla coda del primo esodo stagionale, mentre noi torniamo al lavoro e riavvolgiamo il nastro cercando di mettere insieme i pezzi del collage e ricostruire “ex novo” l’identità calcistica di questo poderoso attaccante.
Ventotto anni il prossimo novembre, papà friulano, mamma bolzanina e una carriera alle spalle trascorsa a mangiare la polvere dei campi di provincia per inseguire il sogno di diventare da grande calciatore: Sevegliano, Manzanese, Pordenone, Sacilese, Eurotezze e infine Este sono simbolo di una gavetta in D che ha pochi eguali, a pochissimi centri dalle cento marcature in carriera. Non c’è bisogno tanto di girarci attorno per capire il carattere di ferro e determinato frammisto alla voglia di emergere di questo ragazzone di quasi un metro e novanta centimetri che si è, come si dice, fatto le ossa da solo e senza aiuti dall’esterno.
Arrivato troppo presto per esser preso in considerazione dal settore giovanile dell’Udinese (che a quei tempi curava la Primavera mentre lui era ancora un bambino che sgambettava sul rettangolo verde), ha conosciuto sulla propria pelle quanto sia difficile vivere di solo calcio e ha capito subito quanto sia importante soprattutto, nella vita, considerare anche quello che sarà una volta appesi gli scarpini al chiodo. Già, perché a diciotto anni Filippo Fabbro ancora non sapeva, a differenza di molti altri suoi coetanei di oggi, che un giorno avrebbe fatto dello sport che amava da sempre, la sua professione. Tutto è nato per gioco e venuto con una naturalezza pressoché disarmante. Per questo adesso sente di essere arrivato al punto di svolta definitivo della propria carriera. Un treno che non può lasciarsi scappare.
Ad appena sette esami dalla laurea in Economia torna quindi alla base, due anni, ventuno reti e sessantadue presenze dopo scandite in quel di Lecco, Filippo Fabbro (qui a sinistra nella foto in maglia bluceleste). Per la Spal, senza dubbio rappresenta qualcosa di più del semplice erede di Rachid Arma, destinato a sua volta a fare il percorso inverso e proseguire la propria carriera lontano dal Castello Estense, un sacrificio economico pressoché inevitabile che attende solo di conoscere con precisione l’esatta destinazione.
Fiero e orgoglioso come solo i friulani sanno essere, personalità schietta, lontana dagli schemi e dagli stereotipi della maggior parte dei calciatori, leale e sincero fuori e dentro il campo di gioco, stiamo parlando di un calciatore che, in punta di piedi ha saputo guadagnarsi la fiducia, l’affetto e la considerazione del popolo lecchese a suon i gol, oltre che con la serietà, la voglia e la fame di calcio.
Al suo arrivo a Ferrara due estati fa, dopo i ventisei centri realizzati a Este, capì subito di essere chiuso da giocatori del calibro di Cipriani e Fofana (anche se a posteriori avrebbe fatto comodo uno come lui visti gli infortuni patiti da entrambi i giocatori durante quella disgraziata stagione) e finì per essere sacrificato. Il più lesto di tutti ad accaparrarsi le prestazioni dell’atleta fu l’allòra diesse dei blucelesti Walter Seeber, che l’ultimo giorno di mercato strappò Fabbro a una nutrita concorrenza. Fu un’intuizione tanto geniale quanto vincente al punto che quello stesso anno, con i gol di Fabbro e con quel Roselli in panchina che meno di due mesi fa ha mandato la Spal in C2, con un budget irrisorio, il Lecco solo per una manciata di punti mancò i playoff.
Adesso il bomber friulano si gode il ritorno alla Spal ed è in attesa, come tutti noi del resto, di conoscere il destino dei biancazzurri insieme al suo procuratore (Gabriele Savino, lo stesso di Arma e Bedin n.d.r.). Tra una puntata a Lignano e qualche giorno di vacanza qua e là a cercar di dare riposo alle stanche membra dopo una stagione incredibile e iniziata in riva al lago con ben altri obiettivi ma finita (proprio come la Spal) con l’amara retrocessione dei blucelesti in D nell’anno del centenario, ora Fabbro spera di rilanciarsi una volta per tutte nel calcio che conta.
Più maturo, smaliziato ed esperto, i biancazzurri ritrovano tra le proprie fila un calciatore che ha tutto per entrare nel cuore dei tifosi. Noi glielo auguriamo e, nell’attesa di (ri)vederlo all’opera sul campo, gli diamo per la seconda volta il benvenuto in maglia spallina. Bentornato Filippo!