La pioggia, una landa desolata e le differenze tra il tifo formato X-Factor e quello incondizionato

La prendo lunga. Sveglia alle 5 per andare a lucci in un’indefinita provincia veneta. Freddo nelle ossa e una spruzzatina di pioggia a colazione, ma ne vale la pena. Ne vale sempre la pena, saper fermare il tempo e cogliere lo spettavolo della natura che si manifesta sotto i tuoi occhi. Un birbante con la faccia da paperotto da settanta centimetri abbocca, due foto di rito e la dovizia di un rilascio accurato. Lo vedo tornarsene sereno nelle acque che lo ospitano. Mi auguro sia il preludio di una bella giornata. Torno a casa giusto in tempo per cambiarmi e mangiare qualcosina. Sì parte alla volta di Verona. Piovono birrette sarde non filtrate come temporali. Sfogliando un album di ricordi che trasuda alcol e nostalgia ripercorriamo tutti i concerti delle nostre vite. Erano belli quei tempi quando non tutto era mercificazione, abusivismo etico e sfruttamento degli ideali. Non rende l’idea ma ci piace omaggiarlo così il nostro piccolo mondo indelebile fatto di Nick Cave e concertini in bettole tra le valli romagnole. L’X-Factor non era un indice di gradimento da telecomando, la vera passione non era una cover fatta come se non si avesse rispetto per l’originale.
E’ buio pesto, diluvia. Entro allo stadio e pare l’abbiano vietata ai tifosi locali. Una landa di desolazione che non ha niente da invidiare ai campetti della serie C, fatte salve le dimensioni. Quando il tasso alcolico sale inizio a scorgere poesia ovunque, la pista di atletica blu che riflette a specchio quella cazzo di pioggia. I volti degli anziani coi nipoti al seguito, i loro sorrisi. Mondi da tramandare di generazione in generazione. Una SPAL sontuosa. Sì, sontuosa nella prima parte, Lazzari che con le sue sgroppate li fa ammattire, Paloschi contro un’altra ex. Siamo tanti e bellissimi in uno stadio desolatamente vuoto. Il vantaggio ci galvanizza, tiriamo tanto in porta, loro nient’altro oltre i tanti falli sistematici. Finisce il primo tempo e ci va stretto. Come spesso accade da neopromossa non reggiamo alla pressione prolungata e prima o poi incappiamo in un errore. Pareggiano e ci può stare. Segnano di nuovo e non ci può stare. Non ci può stare che duemila anime restino in silenzio. Troppo umorali, figli del risultato e con la memoria corta. Lo zoccolo duro della curva è encomiabile, un sostegno da brividi, tutto attorno gente illuminata che già mette in discussione i propri beniamini.
Non riusciamo a raddrizzarla, quando i ragazzi vengono sotto la curva e viene applaudita accade una delle cose più belle che abbia mai vissuto; ormai prossimi agli spogliatoi i giocatori vengono nuovamente richiamati, più che un coro sembra uno sfogo, dentro ci sono tutti i sentimenti del mondo. Piango perché questa è la vera poesia. I giocatori quasi inermi applaudono la loro Ovest. Fa male, tantissimo, ma non s’è perduto nulla. Non camminerai mai sola/solo gli ultras vincono sempre. Vorrei rovesciare in testa la mia birra a chi conosce la chiave di tutto, la verità in tasca. Ti amo quando vinci col Genoa, quando pareggi col Crotone, quando perdi a Verona. Mi sveglio nel parcheggio di una pizzeria febbricitante e vomitino. Direi che per oggi è tutto.

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