E quelli della prima squadra sono bolliti. E non si comportano bene. E sono vecchi. E sono ex calciatori. E bisogna cacciarli tutti. E questa Spal non diverte. E io allo stadio non ci vado più. E pappappero. E basta. E bisogna ripartire da zero. E occorre cambiare tutto. E fate giocare i ragazzi della Berretti. Non c’è uno spallino che non abbia sentito o pronunciato una di queste frasi negli ultimi sei mesi. Ma c’è, invece, una frase che tutti, con fierezza, convinzione e spirito di appartenenza, ripetono da decenni. Siamo noi la Spal. Si dice così. Giustamente. Il problema è chi lo dice. Perché se lo dice un tifoso che ogni anno, nonostante le delusioni, si fa il suo bel abbonamento o va comunque a vedersi le partite o, per citare un altro slogan biancazzurro, fa quel che può per la sua Spal, se l’ormai storico motto, cioè, lo sbandierano gli spallini veri è tutto giusto e sacrosanto. Diverso è se lo spifferano in piazza o dietro una scrivania gli imprenditori locali che non comprano nemmeno un cartellone pubblicitario o se la demagogia va in bocca a quelli che parlano parlano oppure scrivono e scrivono e poi non conoscono neanche la rosa della prima squadra e l’ultima volta che sono andati al Paolo Mazza fu quel giorno che Pezzato fece una doppietta.