Si parla pur sempre di solo calcio. Dello sport, dicono, più bello che c’è. Nessuna questione di vita o di morte, quindi, ci mancherebbe. Ma la Ferrara calcistica, quella ancora innamorata della sua Spal, oggi ha tremato per davvero, in uno dei giorni più lunghi dei suoi centotrè anni di storia a questa parte.
Partiamo da ieri sera. Roberto Ranzani, a metà pomeriggio, aveva già parlato con il suo avvocato di fiducia, confermando quello che avevamo anticipato sulle nostre pagine: “Me ne vado” ci aveva confessato giovedì pomeriggio al suo arrivo al Centro, avvilito come mai lo avevamo visto. “Sono stato fino a cinque minuti fa con i ragazzi”, aveva continuato il Presidente. “Eravamo io e tutti loro, insieme, da un’altra parte, i colloqui erano finiti da un pezzo. Mi hanno chiamato loro. Volevano capire cosa stava succedendo. Se io ne sapevo qualcosa. E perché non ero insieme a Benasciutti, Cestari, Mazzoni, Fiori e Sassarini negli uffici della sede. Erano smarriti, si sentivano traditi come uomini. Non avevano più punti di riferimento, sfiduciati da tutto e tutti. Tu pensa, prima della Fortis, che casino siamo andati a fare. Ho ascoltato in silenzio le loro parole. A settantuno anni suonati, con mezzo secolo di calcio sulle spalle, non pensavo di essere ancora in grado di stupirmi di qualcosa. Hanno parlato uno per uno. Si sono confrontati a vicenda in modo che tutti sapessero tutto. Tra di loro e con me presente. Sono talmente uniti che non hanno segreti tra di loro. Mai vista una cosa del genere. Mentre ero in macchina, quando ormai ero in prossimità di arrivare al Centro, ho detto tra me e me che era tutto finito. Perché l’esperienza mi insegna che novantanove su cento, errori come quelli commessi durante quella sciagurata mattinata, in genere, distruggono tutto”.
A pugni stretti e con gli occhi spenti. Furioso e con lo sguardo di chi si è sentito tradito nei valori più importanti che vanno oltre le solite manfrine di campo, giovedì pomeriggio, Roberto Ranzani si era estraniato dalla seduta pomeridiana, andando via quasi subito dopo l’arrivo dei giocatori. “Ma quale ritardo di comunicazione”. Ci aveva accolto così, il venerdì, il giorno dopo. Con una notte di sonno, si fa per dire, su cui riflettere e pensare. “Hanno parlato volutamente con i miei ragazzi e in mia assenza, senza che io ne sapessi qualcosa. Mi hanno fatto fare una figura insopportabile agli occhi di tutti. Non mi hanno rispettato”. Ma è sullo sciopero che il Presidente, poi, vuole soffermarsi un po’ di più: “Scelta sul momento discutibile, non sbagliata del tutto, ma io avrei aspettato ancora qualche giorno. Prima di una partita importante come quella di Borgo San Lorenzo bisognava stare tranquilli. A posteriori però, ho pensato più di una volta che, senza quei due giorni, domenica ne avremmo presi quattro, anche se non ho la prova del contrario. Quella scossa, ho pensato, ci voleva. Sono stati uomini fino in fondo. Ci hanno messo la faccia come io ad agosto ci ho messo la mia. Hanno rischiato di venire scaricati da tutti: prova a pensare come sarebbe finita se domenica avessimo perso. Cosa gli avrebbero detto? Che sono dei mercenari, che pensano solo ai soldi, che di Ferrara non gliene frega niente, che non onorano la maglia. Che persino dei dilettanti ci prendono in giro. Le solite cose, dai, il calcio è così. Vincendo si sono messi in una posizione di privilegio adesso. Forse sono io un inguaribile ottimista, sarò io il più matto di tutti qui dentro. Ma ho deciso di rimanere. Sono quattro giorni che ho il telefono che scotta. Mi stanno chiamando tutti. Mi chiedono di non mollare. Di passare sopra a un gesto gravissimo come quello dell’avermi lasciato fuori da quell’incontro. Sia chiaro, lo faccio per i giocatori, per quello che per me rappresenta la Spal: mi hanno convinto domenica sul campo. Di abbandonarli non me la sono sentita, avrei mancato di rispetto al lavoro che faccio da più di cinquant’anni, alla Spal, a questa città. Mi assumo tutte le responsabilità del caso. Se vinco avrò fatto bene, se perdo la gente avrà tutto il diritto di seppellirmi”.
Ma la tentazione di andarsene è stata davvero tanta questa volta: “So benissimo che non c’era occasione migliore di andarmene di questa. Ho combattuto andando contro la mia famiglia che mi ha chiesto ufficialmente di lasciare tutto. Dopo giovedì, niente è più come prima. Ho passato tre giorni difficili, la passione, alla fine, ha preso il sopravvento su tutto e su tutti. E sono ancora qui. In tanti mi hanno detto più volte che se avessi deciso di andarmene lo avrei fatto a testa alta. Nessuno avrebbe potuto biasimarmi o additarmi di qualcosa in particolare. Sono perfettamente consapevole che se ho sbagliato i miei conti, pagherò questa decisione con gli interessi. Ho pensato alla Spal, diciamo così, non ho pensato a Roberto Ranzani. Ma questo, eventualmente, non mi salverà comunque da giudizi negativi se le cose non dovessero andare per il verso giusto. Lo so e sono pronto anche a questo”.
Oggi l’ultimo atto, la firma su di una tregua ufficiale, una pace firmata per il bene della Spal. “Ho parlato con tutti, con Benasciutti, con Fiori e con Mazzoni. Mi hanno detto che è stato tutto un malinteso, che non ci siamo capiti, che non volevano scaricarmi. Nei fatti, però, è andata esattamente così. La gente non è mica stupida. Il cinque marzo è il giorno in cui hanno promesso che ci saranno i soldi per pagare il mese di dicembre. Adesso è iniziato il conto alla rovescia”. E se anche quella scadenza fosse non rispettata? Il Presidente fa un lungo sospiro, resta un po’ in silenzio, accenna un sorriso: “Non lo so”. E i suoi ragazzi cosa le hanno detto? “Quello che mi dicono da giovedì: che il campionato lo vinciamo noi, ma che a maggio io devo essere lì con loro a festeggiare, insieme ai tifosi”.