Con tutta probabilità quella che leggerete di seguito è l’ultima intervista di Cesare Butelli nella veste di presidente della Spal. Attenzione, presidente e proprietario sono due cose diverse per quanto la differenza sia sottile. A quarantotto ore dalla terribile delusione per la retrocessione in Seconda Divisione l’attuale numero uno della società biancazzurra ha accettato di parlare dei temi più disparati attorno all’Ars et Labor: dalla “fuga” dallo stadio nel finale di partita col Pavia al ritorno in scena di Gianfranco Tomasi in diretta televisiva, passando per i rapporti con la città e le trattative per la cessione della società. Una lunga chiacchierata in cui tutto viene affrontato con estrema naturalezza, senza disdegnare la rimozione dei proverbiali sassolini nelle scarpe.
Cesare, è inevitabile partire dalla più stretta attualità: vederti andare via in anticipo dallo stadio domenica ha dato un’impressione poco confortante, è sembrata una vera e propria fuga. Molti, soprattutto i cronisti, speravano di poter sentire la tua opinione dopo la partita.
“Mi sarei fermato e lo avrei fatto volentieri se avessi avuto la certezza di poter parlare in un contesto civile, ma poiché in quei venti metri di percorso per prendere la macchina sono stato riempito di insulti abbastanza fastidiosi e gratuiti, ho capito che la mia scelta di uscire anzitempo era opportuna visto che, anche se mi fossi fermato a fine partita, avrei detto cose che non avrebbero cambiato nulla. Sono certo che non sarebbe stato un confronto tranquillo e sereno. Non fatico a immaginare quanto girassero i coglioni ai tifosi, figuratevi se non giravano a me. C’è stata una campagna violenta e aggressiva nei miei confronti, vorrei ricordare a tutti che abbiamo fatto i playout perché ci hanno levato otto punti, ecco, su questo sono in troppi ad aver creato degli alibi, questo ha esacerbato troppo gli animi. L’ho sempre detto, pur tra le mancanze sono una persona perbene e nel momento in cui mi sento dare del delinquente mi girano i coglioni”.
Però gli otto punti sono figli di mancanze della società.
“Sono d’accordo solo parzialmente, nel senso che comunque sia c’erano da giocare due partite che non sono state giocate bene, obiettivamente anche all’andata abbiamo fatto il compitino: a Pavia è stato colto un risultato onorevole, ma non una grande prestazione. Il ritorno poi è stato abbastanza inguardabile e lì non è che la società c’entri molto. C’entra qualcosa d’altro. Visto che erano venti giorni che eravamo mentalmente predisposti ai playout, queste partite si potevano preparare un pochino meglio, fermo restando che la questione degli otto punti è un conto che chiunque sa fare. Dico anche che sarebbe stato sufficiente anche non prendere il gol al 49’ con la Pro Vercelli per evitare i playout, così come sarebbe stato sufficiente che la palla calciata da Marconi fosse stata indirizzata cinque centimetri più a sinistra e non staremmo a fare questi discorsi. Chiaro che questa retrocessione avvelena un po’ l’ambiente, perché se ci fossimo salvati i conti non li avrebbe più fatti nessuno. Ripeto: si è creato un esagerato clima d’odio verso una società e una persona che comunque ha preso una squadra in Seconda Divisione – perché sembra quasi che abbia preso una squadra di A e l’abbia portata in Seconda Divisione – e forse la lascia in Seconda Divisione dopo quattro anni di Prima con un paio anche in maniera divertente. Sinceramente non mi sento responsabile di tutti questi disastri, soprattutto nel contesto di una crisi economica pazzesca. In questi quattro anni ho cercato di mandare avanti da solo una baracca molto pesante, non mi sembra un dettaglio da poco”.
Magari conviene dire quanto ti sia costata tutta questa avventura.
“Mah, penso siano questioni che non è opportuno sbandierare, principalmente per ragioni di privacy. Però ci ho rimesso tanto e non si pensi che ho smesso di pagare nel momento in cui ho deciso di smettere di rimetterci. Ci ho rimesso fin da subito: ho avuto immediatamente la fortuna-sfortuna del ripescaggio che ha scombussolato tutti i piani, perché io avevo preso una società in Seconda Divisione con alcuni soci. Essermi ritrovato dieci giorni dopo con la società in Prima Divisione e dopo tre mesi da solo, con costi diversi da quelli preventivati ha complicato le cose. Da un punto di vista sportivo è stato un bene, ma da quello finanziario ha rappresentato l’inizio di un problema grosso. Sottolineo: un problema affrontato completamente da solo. Comprendo i tifosi, per carità, ma devono contare anche questo”.
Insomma i problemi di oggi hanno radici profonde.
“Ho sempre detto che quella era la mia dimensione e purtroppo sono stato catapultato subito in una realtà diversa. Poi si può anche crescere col tempo, si poteva instaurare un percorso che poteva portarci in Prima Divisione attraverso dei passaggi. Il passaggio invece è stato bruschissimo e per certi versi traumatico, perché di fatto al primo anno è andato via il budget che era stato pensato per i successivi tre. Non per niente in serie Prima Divisione sono pochi i presidenti che tengono la squadra nel momento in cui non riescono a fare il balzo: mi sembra che in tutta la categoria ci siano solo cinque presidenti in carica da più di tempo di me. Questo credo voglia dire qualcosa: è un dato che nessuno sottolinea e che secondo me ha un’importanza straordinaria, perché dà la misura di quanto sia difficile mantenere una società professionistica con incassi da dilettantismo”.
Tornando all’attualità: da quanto sappiamo il terremoto ha fatto saltare l’incontro con Arslab e Zanardi, a quando il prossimo appuntamento?
“A dire la verità degli incontri leggo sempre sui giornali! In realtà oggi ci dovevamo sentire telefonicamente ma immagino cosa possa esserci a Ferrara ora, quindi chiamerò Zanardi nei prossimi giorni. Non dovendoci vedere da un notaio abbiamo appuntamento molto flessibili. I temi comunque sono sempre quelli, la cessione del fotovoltaico è stata fatta e si tratta di capire altre cose. Va detto poi che – al di là di tutto – gli ultimi eventi ci hanno avvilito tutti quanti. Per metabolizzare quello che è successo domenica un giorno in più non può fare altro che rendere tutti più lucidi”.
In questi giorni sono stati anche sollevati dubbi sull’affidabilità della finanziaria Il Gioiello, la società che dovrebbe finanziare l’operazione fotovoltaico.
“I discorsi relativi al Gioiello sono solo in parte corretti: la società in passato ha subito una grossa truffa e a fronte di questo ha trovato sulla propria strada una situazione che ha dovuto gestire con difficoltà, proprio perché frutto di una dinamica illecita. Tanto è vero che poi le cose sono state chiarite e ora Il Gioiello è una società con una forte patrimonializzazione e che quindi offre tutte le garanzie del caso per il pagamento. Peraltro proprio stamattina mi dicevano essere in anticipo rispetto ai tempi prospettati inizialmente”.
Proviamo a tornare sul versante sportivo per un momento: quali sono i tuoi rapporti con squadra e staff allo stato attuale? La sensazione è che si sia creata un po’ di freddezza, nel senso che ritengano palesemente responsabile la società per le retrocessione.
“Sinceramente non so a cosa alludi. Ora è molto semplice giocare allo scaricabarile. Ti dico, le responsabilità maggiori sono della società e questo non l’abbiamo mai negato, purtroppo la società è del 100% mia e quindi l’equazione è molto semplice. Però dico che tutto questo malcontento francamente non l’ho avvertito, tanto che numerosi giocatori mi hanno telefonato ieri mattina, non hanno nemmeno aspettato che la cicatrice si rimarginasse. Ho sentito i giocatori e sono assolutamente tranquilli. C’è chi aspetta l’esito delle le future novità dalla Lega Pro che potrebbero riproporre la Spal in una Prima Divisione rivista. E ovviamente ci sono giocatori che per curriculum, prospettive e prestigio difficilmente potranno partecipare alla Seconda Divisione, però da qui a dire che il clima è velenoso ne passa. Lo era qualche mese fa, poi si è rasserenato, ci siamo chiariti perché ci sono stati segnali concreti – leggi alla voce pagamenti – e chiaramente ci siamo detti delle cose. Mi rifiuto di credere che la sconfitta col Pavia possa sconfessarle. C’è anche chi insiste a dire di essere moralmente salvo, mi è parso di capire che squadra era intenzionata a giocare al massimo, ho visto entrambe le partite dei playout e francamente la prestazione nella sua globalità è stata molto deludente. Non giocava il presidente, giocava la squadra”.
Dietro l’angolo c’è una nuova stagione sportiva da programmare: un compito che rimarrà a carico dell’attuale dirigenza?
“Beh, la Spal non è un trovatello che abbiamo abbandonato dentro al cassonetto delle immondizie. Credo, al di là degli insulti, di aver dimostrato grande coerenza e grande attaccamento alla Spal e a Ferrara, perché sono riuscito a dribblare quattro udienze del tribunale fallimentare ed è evidente che questo percorso si è concretizzato perché mi sono dato da fare. Ho messo a disposizione risorse anche personali per cercare di soddisfare i creditori. Quindi, ripeto, finché la Spal avrà questa proprietà continuerà a comportarsi con una certa etica perché non accetto l’equazione per cui se uno paga male è un delinquente. Se uno paga male può essere una brava persona che si trova in difficoltà, perché se la dignità viene misurata solo col denaro vuol dire che io ho ricevuto dai miei genitori indicazioni sbagliate durante l’educazione. Purtroppo nel calcio è così: sei dignitoso solo se sei pieno di soldi e invece sei un delinquente nel momento in cui si va in difficoltà con i pagamenti. Dietro ci sono tanti motivi, ma tra questi non ci sono assolutamente né cattiva volontà né cattivo animo anche perché dopo quattro anni qui mi sembra evidente che l’intento fosse quello di costruire e non certo di distruggere. Però posso dare una notizia che può essere considerato uno scoop in anteprima…”.
Ovvero?
“Domenica scorsa è stata sicuramente la mia ultima partita da presidente della Spal, alla prima occasione mi dimetterò da tutte le cariche. Al di là degli assetti futuri riguardanti la proprietà, sicuramente non avrò più alcun incarico all’interno della società, quindi la prossima stagione sicuramente ci sarà un altro presidente. Un paio di idee le avrai già, ma evidentemente prima mi devo confrontare con altre persone. Se Ferrara tiene tanto a un presidente ferrarese e dovessimo tracciare un identikit, direi che sarà senz’altro ferrarese e se rimarrò – a prescindere dalla quota – sarà certamente una Spal molto più ferrarese di quanto lo sia stata in questi quattro anni”.
Un discorso che sembra capitare a fagiolo proprio nel giorno in cui l’ex presidente Gianfranco Tomasi ha lasciato intendere di essere ancora particolarmente affezionato alla Spal.
“Ho saputo distrattamente di questa cosa da un amico e sinceramente non mi va particolarmente di impiegare troppo tempo nel parlarne. Tomasi è stato contattato a suo tempo, quando ce n’era bisogno, e ci ha fatto fare un viaggio inutile a Comacchio il sabato precedente al mancato pagamento degli stipendi di novembre. La data che poi è diventata lo spartiacque in cui è iniziato tutto il casino. Credo che se avesse avuto veramente a cuore la Spal quello poteva essere il momento di intervenire e non adesso attraverso comizi fatti in tv. È molto semplice: la società è lì per chi la vuole. Se la Spal la vuole prendere Tomasi non mi interessa, non ho un motivo di principio per essere contrario. Dico solamente che dovrebbe evitare – per rispetto nei confronti della città, non mio – di fare comizi. Perché lui la Spal ha avuto la possibilità di salvarla e non l’ha voluto fare. Io ero disposto a cedere a diverse soluzioni, il problema è che non è stato preso in esame alcun tipo di opzione. C’è dell’altro: ne approfitto per dire che è inutile che insista con la storia che nel 2008 non ha lasciato debiti: perché è vero che nel momento in cui ha lasciato la società non esistevano debiti palesi, ma poi ne è uscito uno molto grosso che la Spal aveva nei confronti di ICA. Ce ne era poi un altro nei confronti di Hera, ma all’epoca l’abbiamo sistemato”.
Si può parlare di cifre?
“Quella di Hera ammontava a 40mila euro, mentre ICA aveva un valore di diverse centinaia di migliaia di euro e chiaramente non spettando a noi il primo anno abbiamo preferito spendere i nostri soldi per la squadra. Se si uno osserva attentamente, per quanto concerne il fallimento, ICA è l’istanza con la cifra più importante in senso assoluto. Sarebbe stato sufficiente che a novembre, quando siamo andati a umiliarci – è proprio il caso di dirlo – Tomasi pagasse il suo debito. Ovviamente quei soldi li avremmo utilizzati per pagare gli stipendi e non per saldare ICA. Poi si sa, denaro chiama denaro e le cose si sarebbero potute sistemare. Visto che non ci sono prove tangibili della sua estraneità a quel debito abbiamo mandato ai nostri legali di agire per recuperare quella cifra che in totale si aggira attorno ai 300mila euro. Ci sono delle carte a parlare chiaro e non ho motivo di essere smentito”.
Quindi il contenzioso legale è tuttora in corso?
“Il contenzioso è in corso da poco e durerà molto, perché negli anni abbiamo confidato nel buonsenso e non su altro. Abbiamo sempre esortato l’ex presidente in maniera molto gentile, ma non abbiamo mai ricevuto riscontri positivi”.
Credi che la Seconda Divisione e di conseguenza i minori costi di gestione della categoria possano contribuire ad avvicinare qualcuno allo scopo di far ripartire la Spal?
“Può essere: la mia priorità assoluta è quella di sistemare i conti, in modo da poter lasciare una società pulita e fare dei ragionamenti. Sul valore di quanto viene consegnato ci dovrà essere una normale trattativa commerciale, anche se non considero la Spal alla stregua di una merce. Ci stiamo già ragionando perché sappiamo che ci sono delle trattative e col dottor Zanardi ho un ottimo rapporto. Una persona squisita, disponibile, misurata e di buonsenso di cui mi fido molto. Credo potrà indirizzare le trattative nella giusta maniera”.
Vedi i margini per una riconciliazione con Ferrara una volta risolta la situazione debitoria e ceduta la società?
“(Ride amaramente) Per come sono fatto credo di no, temo che il rapporto tra Butelli e Ferrara sia abbastanza deteriorato. Non sono in assoluto un permaloso, ma credo ci sia un limite a tutto: a me francamente non consola di sapere che Della Valle è contestato, che Moratti è contestato, che Corioni da quindici anni viene insultato a Brescia e che Lotito deve girare con la scorta. Tutti quelli che mi fanno coraggio mi dicono che è normale sentirsi dire di tutto. Io però ho sempre rivendicato di essermi posto in maniera diversa, ho sempre detto di essere una figura anomala e so che questo ora può suscitare ilarità e dileggio. Ma io sono una persona diversa, il solito cliché del presidente non mi appartiene e le cose che ho sentito già a partire dalla trasferta di Terni mi hanno amareggiato. Con tutto il denaro che ho speso e tutto il tempo sottratto alla mia famiglia in questi quattro anni sentirmi dire ‘sei un delinquente, tornatene a Lucca’ credo rappresenti una frattura insanabile. Questo non significa che in uno scenario futuro le cose possano essere gestite in maniera diversa da quella attuale. Ma non sono più disposto a prendere insulti e a ricoprire ruoli, mi rendo conto che dopo un’annata del genere sarebbe quasi una provocazione ripresentarsi tali e quali per il quinto anno. Parlo proprio in generale, la società ha bisogno – a prescindere da me – di un assetto diverso, di facce nuove, più ferraresità”.
Questo discorso sembra coinvolgere necessariamente anche la posizione di Bortolo Pozzi.
“Con Bortolo dobbiamo ancora discutere del futuro. Certamente uno dei bersagli della contestazione è lui. Chiaro che se io faccio un passo indietro dovrò chiedere di farlo anche a lui. Dovremo sederci a un tavolo e vedere: Bortolo è una persona molto intelligente non ha bisogno di sentirsi dire da me che serve un restyling della dirigenza. Devo dargli pubblicamente elogio del fatto che è stata l’unica persona a non abbandonarmi in senso assoluto: è sempre stato al mio fianco, ha sempre cercato di tenere unita e compatta la squadra, ha fronteggiato i creditori e quindi di questo gli va dato atto. Che poi al quinto anno ci siano delle valutazioni da fare è fuori discussione. La Spal ora è un cantiere aperto e quindi ogni valutazione sulle caselle da riempire è abbastanza prematura. Presumibilmente non sarò più io a comandare, ma magari chi subentra avrebbe piacere di vedere Bortolo Pozzi presidente”.
Sarebbe una prospettiva quantomeno singolare.
“Ti rispondo che sono curioso anch’io di vedere le dinamiche future, perché c’è ancora molto che deve andare al suo posto. Sono tranquillo perché abbiamo messo in sicurezza i conti, ma mi permetto anche di di vedere quali scenari ci potranno essere. Ho questo interlocutore che è Arslab dietro al quale non è che si sia palesata una forza cittadina, un imprenditore. Col discorso del terremoto non so fino a che punto la Spal rientri nelle priorità di un soggetto che – a titolo di esempio – può avere tre crepe nella sua azienda. Forse vorrebbe di più investire nel calcestruzzo per mettere in sicurezza la sua attività. In questo momento a Ferrara c’è anche questo tema. Si tratterà di vedere quali sono gli equilibri nelle prossime settimane”.
Ai cronisti locali non mancherà di certo il lavoro…
“No, affatto, non mancherà, ma l’importante è che venga svolto con correttezza, lucidità e obiettività. Qualità che di recente non ho visto molto. Il settanta percento delle cose riportate non corrispondono al vero e mi rendo conto che non smentire ogni volta possa equivalere a una conferma, ma in realtà non è così. A un certo punto mi sono stancato per mancanza di voglia, per mancanza di tempo di stare lì con la biro a puntualizzare. Le puttanate più grosse le ho portate in questura facendo due querele, poi sulle cose piccole ho sorvolato. Di cazzate comunque ne sono state scritte tante. Spero quindi che sugli scenari futuri si possa discutere con meno imprecisioni, per così dire”.
Al momento dei saluti la comunicazione si interrompe. Fine del credito sul cellulare di chi scrive. Tempo trenta secondi e Butelli richiama: “Vabbé, ora puoi dire che almeno i saluti li paga Butelli”. Ci si ride su, poi il presidente precisa: “Oh, è una battuta”. Per carità, gli viene risposto, immaginiamo che non sia semplice essere Cesare Butelli oggi – “No, non lo è affatto”.