Matteo Balboni, top player del Subbito Gol: Passione, costanza e tanto divertimento

Non pensate mai di non avere più nulla da imparare (…) perché ogni giocatore può sempre mostrarti un’idea o una mossa che tu non avresti mai pensato di fare”. Sono parole di Matteo Balboni, il giocatore di calcio da tavolo che più di tutti ha saputo rappresentare Ferrara in questi anni. Uno dei più grandi talenti (per qualcuno ancora non pienamente espresso) che il nostro club sia mai riuscito a produrre nella sua piccola storia. 15 anni con la maglia del Subbito Gol Ferrara cucita addosso “perché nonostante tutto” – ci racconta – “spero ancora nella crescita del nostro gruppo”.

Da qualche tempo si sente parlare poco dei risultati sportivi di Matteo Balboni, dato che nell’ultimo anno e mezzo, per motivi personali (niente di grave, per fortuna, anzi!) ha deciso di staccare quasi del tutto la spina dal panno verde, per dedicarsi a tempo pieno ad aspetti della vita sicuramente più importanti: come dargli torto!
Nonostante questo, se anche oggi si dovesse andare in giro per l’Italia a chiedere il nome di un giocatore, tra i tanti, da abbinare al club estense del Subbito Gol Ferrara … State pur certi che la stragrande maggioranza degli intervistati vi risponderebbe “Matteo Balboni”. Perché Balboni è, da sempre, l’icona di Ferrara. Il giocatore più rappresentativo, quello su cui “studiare” gli abbinamenti, l’avversario da evitare, da contenere, oppure su cui provare a fare il punto in un match vis-à-vis.

Matteo
Al pari di Alessandro Billi, forse, ad oggi il giocatore più forte che mai sia stato tesserato per il nostro club. Sicuramente il più talentuoso, capace di raggiungere traguardi (e vittorie) che hanno fatto la storia, con le dovute proporzioni, del nostro piccolo team di provincia.
Se una cosa si può imputare a Matteo, è forse quella della discontinuità ad altissimi livelli (è capace, in uno stesso torneo, di sconfiggere un campione del mondo, e subito dopo “ingarbugliarsi” contro un giocatore di terza categoria) e soprattutto la facile propensione ad abbattersi ed a lasciarsi trascinare nel baratro, quando spesso e volentieri sono i compagni a chiedergli di essere un trascinatore. Ecco … Il ruolo di “leader” e “guida” è un ruolo a cui Matteo ha rinunciato spesso e volentieri in questi anni, ma leggendo tra le righe della bella intervista che qui riportiamo di seguito, è facile comprendere che il vestito da capitano, è un abito che sembra disegnato su misura per lui, e che potrebbe indossare senza particolari problemi.
E’ chiaro che però, come tutte le cose che si vuole realizzare nella vita, bisogna prima volerle fortemente “perché” – rubando le parole proprio a Matteo – “il Subbuteo è come la vita, è un percorso fatto di fasi diverse l’una dall’altra”.
La speranza è quella di avere presto una nuova “fase” della vita subbuteistica del nostro campione, in cui gli stimoli ed il desiderio di tornare grande (e di superarsi) tornino a rivestire un ruolo determinante, consentendo al nostro giocatore di riuscire a conciliare gli importanti impegni famigliari, che vengono sempre prima di tutto, con la pratica del nostro amato hobby/gioco/sport, che “nonostante tutto” rimane una bella palestra della mente.
Ecco 8 domande 8 (o forse qualcuna di più) al nostro grande Balboni. Seguite dalle sue risposte, mai scontate e molto interessanti.

Quando hai cominciato a giocare a Subbuteo? Come hai conosciuto il gioco? Ricordi il tuo primo torneo ufficiale?
“Ricordo ancora perfettamente quando (avevo poco più di dieci anni) al di là del muro di cinta di casa mia vidi un tavolo di legno che camminava… Era il mio vicino di casa che veniva a regalare (a mio zio) il suo campo montato! Mio zio è un artista, e gli piaceva più dipingere le squadre che non giocare, per questo all’inizio lo vedevo più come una cosa simile al modellismo; solo qualche anno dopo lo rispolverai con il mio grande amico ‘Pando’, e cominciammo a giocare tutti i santi giorni, come due malati. Pomeriggi interi a provare di imparare a tirare…
Di lì a poco, il primo torneo ufficiale (credo nel 1996), di cui onestamente non ricordo molto: solo che arrivammo in clamoroso ritardo perché assieme a tutta la truppa ci eravamo persi in centro a Bologna”.

Come si fa a migliorare nel gioco? Che consigli dai a chi vuole crescere nella pratica del calcio da tavolo? Quali sono i metodi di allenamento che ti hanno dato i migliori risultati?
Per migliorare ci vuole passione, costanza e applicazione, anche maniacale, curando tutti i dettagli. Se volete crescere, giocate e confrontatevi sempre con i migliori, e non pensate mai di non aver più nulla da imparare, anzi… Per allenarsi bene, a mio parere, bisogna fare tanto “muro” (ovvero allenarsi da soli sui fondamentali, come quando da piccoli ci mettevamo con il pallone di fronte a un muro a palleggiare), poi provare in partita ciò che si è imparato… Infine, bisogna sempre porsi degli obiettivi. La crescita di un giocatore avviene sempre attraverso delle fasi, così come nella vita. Questo gioco, sembrerà incredibile (ma non tanto, per chi conosce di sport), è davvero una metafora della vita!”.

Tu sei l’unico giocatore ferrarese (e l’unico tesserato della storia del Subbito Gol Ferrara) a poter vantare in carriera, fra le tante imprese, una vittoria in una partita contro un Campione del Mondo Open, esattamente contro Efrem Intra, a Modena.
Come si fa a vincere una partita di calcio da tavolo contro un giocatori di questo spessore? Hai qualche consiglio da dare?
“Innanzitutto, bisogna crederci. Se non ci credi per primo tu, chi altro lo farà? Per vincere contro un giocatore del calibro di Efrem, bisogna semplicemente non sbagliare mai, ma proprio mai. E’ un po’ come quando il Chievo vince contro la Juventus: capita molto di rado, ma può capitare… Poi, non bisogna mai alimentare cattivi pensieri, tipo “e se sbaglio?”, “e se mi segna?”, perché è il primo passo per farli diventare realtà”.

Da 15 anni sei un pilastro del Subbito Gol Ferrara, nonostante tantissime richieste anche da blasonati club di serie A: che cosa ti ha fatto scegliere, almeno fino a questa stagione, di rimanere a difendere i nostri colori?
Tanti motivi. Prima di tutto l’amicizia con tutto il gruppo, poi il fatto di sperare ancora nella crescita di tutti quanti, infine anche questioni logistiche… Andare a giocare nella squadra di Castellammare di Stabia sarebbe un tantino scomodo, non credi?!”.

Il torneo individuale che ti ha dato più soddisfazione da quando hai iniziato a giocare? La tua più grande soddisfazione a squadre, invece?
“A squadre la promozione in Serie B, frutto di costanza e applicazione di tutto il gruppo, come dicevo prima, e anche di grande coesione e unità di intenti. Individualmente, le soddisfazioni non sono state poi tante come avrei voluto (non ho ancora mai vinto un Torneo Nazionale), comunque direi a Chieti un paio di anni fa, quando battei uno dopo l’altro giocatori veramente “top”, prima di perdere in finale con Nastasi, comunque giocandomela alla grande”.

C’è una partita che puoi considerare “perfetta” (o quasi) tra quelle che hai giocato in carriera? Quali sono le vittorie, in singole partite, che ti hanno dato più soddisfazione?
Non saprei, io gioco (ed è un mio difetto) poco di testa e molto di istinto, quindi mi ricordo poco le partite che gioco. Mi ricordo però alla fine di una partita vinta contro Ogno del Brasilia Chieti, venne da me Daniele Bertelli (mica un pirla qualunque!) a farmi un sacco di complimenti. Che soddisfazione!”.

Il gol più importante (se ce n’è stato uno in particolare) della tua carriera? E il più bello? Ce li descrivi?
Mah, ne ho fatti parecchi, ma onestamente non me ne ricordo tanti, per quello che dicevo prima. Io sono un perfezionista, quindi la “partita perfetta” per me non esiste, c’è sempre qualcosa che avresti potuto fare meglio. Paradossalmente però, preferisco i gol di astuzia che non quelli di tecnica e bravura. Me ne ricordo uno a Francesco Torano, che è servito a qualificarmi ai Campionati Italiani Open come rappresentante dell’Emilia-Romagna: entrata in velocità sulla sinistra, aggancio da lontano con leggera spizzata, e tiro immediato senza che lui facesse in tempo a prendere il portiere in mano”.

C’è un giocatore (o anche più giocatori) a cui ti sei ispirato come gioco, atteggiamento in campo, eccetera?
“Mah, direi Giulianini e Bari, due campioni che ho potuto ammirare anche da vicino: li ho sempre ammirati per la loro tranquillità e il tipo di gioco, per la capacità di variare soluzioni a seconda dell’avversario, e ovviamente anche per i risultati! Poi sicuramente Flores (uno spettacolo); infine Mastropasqua, cavallo pazzo un po’ come me. Simone Bertelli per la sua feroce applicazione che poi lo porta a non sbagliare quasi niente, come una macchina… Insomma, tutti giocatori dai quali prendo sempre scoppole mica da ridere! Poi, uno che stimo moltissimo sia come giocatore che come persona è Gianluca Galeazzi, che mi ricorda un po’ Zeman… Ma la cosa interessante di questo gioco è che potenzialmente ogni giocatore può sempre mostrarti un’idea o una mossa che tu non avresti mai pensato di fare. Di questo te ne accorgi quando vedi giocare i ragazzini”.

 

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