Gli alti e bassi della squadra preoccupano Furlani: Siamo un rebus da risolvere

Dopo l’amichevole contro Verona, la Mobyt è tornata a lavorare in vista della trasferta di domenica a Reggio Calabria. Coach Furlani sente però nell’aria un’atmosfera distratta. Alcuni errori banali, sintomo di un approccio all’allenamento non ottimale lo fanno andare su tutte le furie. La difesa è un po’ sulle gambe e l’attacco tiene la palla troppo ferma. Troppa staticità sia da una parte che dall’altra e l’allenamento viene spesso interrotto per cercare di rilanciarne l’intensità. Niente da fare. Al termine la squadra viene riunita al centro del campo, come alla fine di ogni sessione, e Furlani parla con fermezza ai suoi giocatori. Abbiamo incontrato il coach poco dopo, trovandolo alquanto contrariato.

Coach, quanto può influire sul morale l’ottima figura fatta a Rimini? Che ricadute possiamo aspettarci sul gioco della Mobyt?
“Questa è una squadra che non ha una sua personalità definita. Squadre mature raccoglierebbero il risultato per ottenere ancora più convinzione. Squadre immature prendono quel risultato come un punto di arrivo e non di partenza e, di conseguenza, dormirebbero sugli allori. Io metto un punto di domanda. È un po’ provocatoria la mia risposta, ma ci sta tutta. Basta vedere l’allenamento di stasera in cui sembravamo i fratelli scemi di quelli che hanno giocato contro Verona. Malgrado l’assenza di Benfatto abbiamo giocato bene, con le spaziature giuste sapendo sempre dove andare. Questa sera no, siamo sembrati degli sprovveduti. Gente che si è trovata in palestra l’altro giorno. La cosa mi fa tremendamente imbestialire perché abbiamo questo problema di testa. Non riusciamo a mantenere la giusta costanza di attenzione, applicazione e concentrazione. Probabilmente non ce la facciamo, non penso sia una questione di stanchezza fisica, ma una cosa puramente mentale”.

Quindi potremo avere una risposta sull’identità della squadra solo dopo la partita contro la Viola?
“La risposta ce la darà il campo. La stessa partita contro Mantova ha fatto vedere una squadra che sembrava morta, cadaverica. Poi a distanza di una settimana l’immagine è cambiata drasticamente contro Ravenna e siamo ulteriormente migliorati contro Torino e Trento. Siamo un rebus che risolviamo fra qualche domenica. La consapevolezza che ci stiamo giocando qualcosa di importante penso che ci sia, la capacità di sapersela giocare fino in fondo non so se l’abbiamo acquisita”.

Come fa un allenatore a indirizzare i suoi giocatori verso la giusta mentalità?
“Se avessimo una chiave per poter accedere alla psiche dei singoli sarebbe troppo facile. Come ci si può spiegare la metamorfosi di Jennings da giocatore ameba a giocatore realizzatore e protagonista? È una serie di coincidenze e fattori. Ma io non ho sfiducia nella mia squadra. Mi arrabbio perché a volte mostriamo superficialità. Abbiamo risorse e capacità e non sempre le esprimiamo e le mettiamo sul campo. Non siamo in grado di gestirci, i nostri giocatori più inesperti devono sempre giocare ai propri limiti. Ma stasera Jennings, ad esempio, è tornato nella versione ameba di qualche settimana fa. Ci vogliono pazienza e lavoro, incazzature. Questa è la ricetta, sperando che scatti quel qualcosa che faccia la differenza. L’importante è che tatticamente ci siano nella testa i concetti che servono per affrontare le singole partite. Quando invece ti alleni distratto mi viene voglia di tirare dei calci sul sedere: questa sera abbiamo corso, ma non abbiamo fatto un lavoro di qualità. Questa è la realtà delle cose”.

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