Dal caos di Serbia-Albania, al confronto Serbia-Albania… nel Kaos

Pochi se l’aspettavano, tutti hanno visto. E non è questione di tre punti, partita persa (o vinta) a tavolino, squalifiche e cartellini rossi. Il calcio c’entra poco questa volta, Serbia-Albania dello scorso 14 ottobre vale molto di più e va spiegata. L’occasione la offre involontariamente il Kaos Futsal, che nel suo organico ha rispettivamente un giocatore albanese, Roald Halimi, e il vice allenatore serbo, Velimir Andrejic. Impossibile non approfittare di questa curiosa – e inusuale – coincidenza per avere un punto di vista differente, più profondo e autorevole sulla questione, che per la stragrande maggioranza della gente non coinvolta sarà sembrato il solito parapiglia balcanico a sfondo politico, ma che rischia di diventare un precedente scomodo e un episodio tanto imponente da essere addirittura emulato (Nizza-Bastia di domenica 19 ne è la dimostrazione).

Sembra di assistere a un film di fantascienza quando un drone, con appeso un vessillo caro agli albanesi raffigurante Ismail Quemali e Isa Boletini ai lati di quella considerata dai media più battuti “La Grande Albania”, sorvola le teste dei giocatori impegnati sul campo del Partizan Belgrado per la sfida valevole per le qualificazioni a Euro 2016. Mitrovic, serbo, lo afferra, e il resto è storia nota. La partita viene definitivamente sospesa, ma una cosa è certa: “Secondo il mio punto di vista, nessuno può uscire vincitore da questa partita e i tre punti hanno un’importanza relativa“. A parlare è Roald Halimi, subito sostenuto da “Vezza” Andrejic: “Le due nazioni hanno perso l’occasione per stemperare le tensioni che storicamente vedono coinvolte Serbia e Kosovo. Il conflitto non riguarda lo sport, è evidente che il discorso è a raggio più ampio“.

HalimiPartiamo da qui. Quali sono i motivi del conflitto tra Serbia e Kosovo e cosa c’entra l’Albania? “Il punto è che la popolazione kosovara è nella stragrande maggioranza albanese, ma in teoria, nonostante l’indipendenza unilaterale proclamata dalla repubblica nel 2008, resta pur sempre un territorio serbo. Autonomo, ma serbo, e in quella zona è radicato parte del nostro orgoglio nazionale per motivi storici. Lo dicono i libri, gli avvenimenti“, afferma Andrejic. Uno su tutti, la Battaglia della Piana dei Merli tra l’esercito serbo e l’Impero Ottomano. Poi la palla passa ad Halimi (Aldo in confidenza), e si vola ai tempi nostri (1996-1999), con gli scontri tra la Jugoslavia di Slobodan Milosevic e la regione al nord dell’Albania: “Quando c’era la guerra del Kosovo io ero già in Italia, ma essendo albanese di Albania e non albanese del Kosovo non l’ho vissuta in prima persona e sinceramente non mi riguardava. I kosovari si sentono albanesi, si sentono rappresentati dall’Albania, e questa partita l’hanno sentita molto di più dei miei connazionali. Noi albanesi non abbiamo niente a che vedere con la Serbia, non siamo mai stati sotto il loro potere. Discorso diverso per il Kosovo, che è stato a lungo sotto il dominio serbo. Quindi non è un problema di confini, ma di popolazione. Le etnie all’interno del Kosovo sono fondamentalmente due: serba e albanese, che vanno rispettivamente d’accordo con gli stati di riferimento. C’è questa voglia di indipendenza, e’ tutto racchiuso qui“.

Purtroppo l’episodio del drone è servito come pretesto per riacutizzare ferite troppo recenti per essere considerate chiuse, e l’episodio ha fatto scuola secondo Andrejic: “Noi serbi siamo avanti anche in questo (ride; ndr). Battute a parte, credo che quanto accaduto in Nizza-Bastia, con il secondo portiere ospite sceso in campo a festeggiare la vittoria a fine partita sventolando la bandiera corsa del moro bendato, sia un’episodio identico. Faccio un esempio: se durante Real Madrid-Barcellona passasse per aria un drone con la bandiera della Catalogna sarebbe normale? Un evento sportivo non è il luogo adatto per discutere questo tipo di problematiche. Lo sport dovrebbe unire, non alimentare i conflitti“. Punto di vista ovvio per un uomo che dello sport ne ha fatto il suo lavoro. C’è da aggiungere, però, che le premesse per Serbia-Albania non erano delle migliori. Trasferta vietata in blocco ai tifosi delle aquile nere, ma questo non è servito ad evitare il caos: “I due governi unitamente avevano preso questa decisione per prevenire disordini di ogni natura; sicuramente sarà così anche a campi invertiti per la gara di ritorno. Quello che è successo dopo è un peccato anche perchè i rapporti tra Serbia e Albania iniziavano ad essere più distesi, c’era dialogo“, continua il tecnico di Belgrado.

Poi prende la parola Halimi: “La tensione era palpabile già nei giorni antecedenti la sfida. Sembrava quasi che la Nazionale albanese fosse confinata sotto scorta, e qualche tifoso avrà interpretato le misure di sicurezza adottate come troppo ‘limitative’ nei confronti della squadra di De Biasi. Alla luce dei fatti, e non parlo col senno di poi, i punti fondamentali sono due: in primis, la Uefa avrebbe dovuto assolutamente impedire che queste due nazionali finissero nello stesso girone, come successo, ad esempio, per Spagna e Gibilterra o Azerbaijan e Armenia. Poi, garantire maggior protezione ai giocatori in campo: al primo fumogeno, la partita doveva essere sospesa. Dopo l’episodio del drone sono successe troppe cose poco chiare, compresa l’invasione di una quindicina di tifosi serbi. Ovvio che poi l’Albania non abbia voluto continuare l’incontro, le condizioni non lo permettevano, nonostante i calciatori serbi si siano comportati in maniera del tutto corretta. Tra campo e panchina c’erano solamente professionisti che volevano limitarsi a giocare una partita di calcio. Purtroppo questo non è stato possibile, ma non è dipeso dai giocatori“.

Ancora una volta il calcio è stato strumentalizzato, e le sentenze Uefa, per quanto politically correct (3 a 0 a tavolino a favore della Serbia, che comunque vengono allo stesso tempo penalizzati di 3 punti; ragionamento cervellotico in stile Ponzio Pilato), non migliorano la situazione: “Non credo che l’Albania abbia grandi colpe nell’accaduto – è il parere di Halimi -. Un drone non lo vedo più grave di un fumogeno“. Ma, come invece sostiene Andrejic “La provocazione c’è stata. E’ un peccato che la nazionale serba venga penalizzata per colpa di un atteggiamento deplorevole di pochi tifosi caldi“. Ed è inevitabile tornare a parlare di sicurezza: “Mi sembra impossibile che una Federazione importante come quella serba non sapesse che tifosi come Ivan Bogdanov avrebbero potuto dare fastidio al corretto andamento della partita“, è la puntualizzazione del giocatore albanese, subito spalleggiato dal vice di mister Capurso e primo allenatore dell’Under 21 del Kaos: “Nel calcio ci sono punti caldi, è evidente, e le misure di sicurezza competono agli organi attrezzati per garantire che tutto si concluda per il meglio. Non voglio puntare il dito contro la Uefa, ma la sua politica di non tolleranza verso avvenimenti come questo dovrebbe implicare anche che sia lo stesso Platini a fare in modo che non vengano a crearsi le condizioni per innescarne“.

AndrejicTroppo presto mettere nello stesso gruppo Serbia e Albania? “Forse sì, forse no, forse non sarà mai il momento giusto – dice con una punta di amarezza il mister -. Bisogna avere un quadro globale della situazione, evidentemente la Uefa ha sottovalutato la pericolosità di questa partita. Però va sottolineato che i giocatori volevano solamente giocare, e questo è un fatto positivo, si deve ripartire da questo buon esempio“. E’ innegabile, però, che l’allerta, ogni qual volta ci sia un derby balcano, sia sempre massima, come sostiene il tecnico serbo: “La nostra è una zona sempre sotto la lente d’ingrandimento, per questo dobbiamo dimostrarci all’altezza della situazione. Ma lancio io una provocazione: sembra ci siano due pesi e due misure tra Kosovo e Crimea. Questo va oltre le nostre competenze, ovviamente, ma credo che quando si parla dei Balcani ci sia sempre la tendenza a mettersi sul chi va la“.

Questione bandiera, forse la più mediatica per via del drone; qual è quella in cui si identifica il Kosovo? A rispondere è ovviamente Aldo, fiero della sua aquila nera su campo rosso: “A parte la sua nuova, è sicuramente quella albanese. Il Kosovo è sempre stata una terra di nessuno, e territorialmente in prevalenza serba. Il punto è che storicamente i kosovari, sottomessi in passato dai serbi, vogliono l’indipendenza dalla Serbia per motivi d’orgoglio. E’ impossibile stare dalla parte di chi ti comanda contro il tuo volere. Il conflitto, comunque, va valutato da persona a persona. Ci sono individui che sentono maggiormente queste motivazioni, ma l’Albania in sè non è coinvolta, se non per via trasversale. I giocatori, strappando la bandiera a Mitrovic, volevano difendere solamente il loro simbolo: per noi la bandiera ha un’importanza fondamentale, è come uno striscione per una curva“, tanto per restare in tema.

Peccato, perché tra Serbia e Albania sembrava che le cose potessero andar meglio negli ultimi anni, dopo un periodo di tensione psicologica: “Abbiamo perso un’occasione, lo sport ha perso un’occasione. Ma era da mettere in preventivo, la guerra del Kosovo è troppo fresca“, dicono in coro i due. Poi riprende la parola Andrejic: “In sede di sorteggio c’era la volonta di aggregare due nazioni con un evento sportivo. Trasferta vietata ai tifosi? Ok, ma intanto a dare il buon esempio dovevano essere i tesserati. Invece, quando si parla di noi, è tutto più amplificato. La Uefa si è presa le sue responsabilità decidendo di punire tutti e nessuno, vedremo quali saranno le reazioni“. E a tal proposito è giusta la considerazione dell’ex Luparense: “Se la partita fosse stata sospesa su un punteggio diverso dallo 0 a 0? Sarebbe stato ancora più difficile. Le decisioni a tavolino avrebbero aumentato l’odio tra le nazioni nel caso in cui fosse stata penalizzata solamente una sola nazionale. Nel dubbio, la Uefa ha di fatto scelto di lasciare le cose com’erano prima del fischio d’inizio, togliendo, però, a Serbia e Albania la possibilità di giocare, fregandosene delle volontà dei giocatori e favorendo Portogallo e Danimarca. Vedo più politica che buon senso sportivo in questa presa di posizione. Vanno pesati tutti gli avvenimenti, c’è in palio un Europeo. Da sportivo posso dire che sarebbe stato bello ricominciare il match con entrambe le tifoserie e non in territorio superpartes. Rifarla a Belgrado, con le dovute misure di sicurezza, sarebbe stato giustissimo, ma in campo neutro no, perchè avrebbe voluto dire ammettere che in Serbia non ci sono state le condizioni per affrontare un evento sportivo così sentito, e per questo tipo di situazioni sono previste sanzioni da mettere in atto“.

Infine immancabile l’appello finale, doveroso per navigati uomini di sport: “Speriamo ci siano nuove occasioni di convivenza e che vadano a finire diversamente. Soprattutto per le nuove generazioni. La vita va avanti, la storia resta ma in futuro è importante condividere. E’ assurdo che la gente debba aver paura di andare in Serbia o in Albania per problemi di sicurezza che invece non esistono e sono tutte cose pompate dai media” è il messaggio di Andrejic e Halimi, disponibili a parlare di un argomento così attuale, così scottante e troppo spesso snobbato.

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